Dizionario di eretici, dissidenti e inquisitori nel mondo mediterraneo
Edizioni CLORI | Firenze | ISBN 978-8894241600 | DOI 10.5281/zenodo.1309444
La visita delle Sette Chiese è un percorso a forma di anello di circa venti chilometri (corrispondenti a sedici miglia) praticato a Roma fin dal Medioevo, ma fu per iniziativa di Filippo Neri che questa forma di pellegrinaggio cristiano assunse particolare fervore devozionale.
Storia e descrizione
Il percorso delle Sette Chiese, nella sua forma originaria, tocca le maggiori quattro basiliche papali e le tre basiliche minori più importanti: San Giovanni in Laterano, San Pietro in Vaticano, San Paolo fuori le mura, Santa Maria Maggiore, San Lorenzo fuori le mura, Santa Croce in Gerusalemme e San Sebastiano fuori le mura. Inizialmente, per portare a termine l’intero percorso, si doveva impiegare una giornata intera, dai primi Vespri a quelli del giorno seguente. Successivamente si dedicò una prima giornata alla basilica di San Pietro e una seconda alle restanti sei chiese, con partenza dalla basilica di San Paolo e conclusione del giro a Santa Maria Maggiore. Si tratta di un percorso ricco di testimonianze di Roma pagana e cristiana e di aree catacombali tra le più suggestive, come le catacombe di Domitilla e quelle di San Callisto, che a metà Cinquecento si saldava egregiamente con il gusto antiquario e il “revival” paleocristiano del tempo1.
Le prime notizie inerenti il culto cristiano delle Sette Chiese risalgono al VII secolo e in particolare a santa Begga, badessa franca, figlia di Pipino di Landen e di s. Itta. Di ritorno dal suo pellegrinaggio a Roma, Begga prese ispirazione dalla madre Itta che, alla morte del marito, si era ritirata nel monastero belga di Nivelles, da lei fondato, decidendo così di abbandonare il mondo. Analogamente Begga, a seguito della morte del consorte, fondò un monastero ad Andenne-sur-Meuse, dove decise di vivere da eremita. A Begga si attribuiva la fondazione di sei oratori, disposti a circolo intorno alla sua fondazione, che rappresentavano simbolicamente le sette basiliche romane e valsero ad Andenne il nome di “Sept-Églises”. D’altra parte, il numero sette, oltre che rimandare alle Sette Chiese dell’Asia Minore menzionate nell’Apocalisse, ricorre con frequenza nelle Sacre Scritture per indicare la perfezione. Non è da escludere che tale culto sia collegato al rituale pontificio di celebrare gli uffici sacri nelle chiese stazionali di Roma in coerenza con il calendario liturgico del tempo2. Di fatto, esse si ridussero alle sette principali, trattate da Onofrio Panvinio nel suo pionieristico lavoro sulle chiese stazionali romane, che includevano per l’appunto le cinque chiese patriarcali e le due di Santa Croce in Gerusalemme e San Sebastiano fuori le mura3.
Filippo Neri riporta in auge la visita delle Sette Chiese di Roma
In virtù della sua condizione di testimone oculare della vita di padre Filippo fin dai primi anni Cinquanta, il fiorentino Monte Zazzara fu in grado di fornire al processo di canonizzazione notizie assai precise sui primi tempi dell’Oratorio, quando le riunioni si tenevano nelle stanze del Neri a San Girolamo della Carità4. Filippo Neri si era trasferito a San Girolamo subito dopo il sacerdozio, nel maggio del 1551, non ancora trentaseienne, dando seguito al perentorio “comando” di Persiano Rosa, suo amico e padre spirituale, come ricorda Germanico Fedeli in una sua lunga deposizione: «per humiltà, non ardiva farsi sacerdote, et repugnò tanto, sino che fu astretto a farsi, per comandamento del suo padre spirituale, che credo fosse il p. Persiano»5.
In questo periodo padre Filippo decise di mandare inizialmente ogni domenica sette dei suoi discepoli a visitare le Sette Chiese di Roma, estraendoli a sorte. Fu così che fin dal Carnevale del 1552, col proposito di contrastarne i bagordi e gli eccessi mondani, Neri esortava il suo già largo seguito alla visita delle Sette Chiese, divenuta grazie alla sua intuizione «una specie di Oratorio all’aperto straordinario»6. Monte Zazzara ricorda che «il padre ci menava alle sette Chiese in numero di vinti cinque et trenta persone, et sempre multiplicò, in sino che ci trovammo del numero dei doi milla persone» e «per la strada si cantavano salmi et letanie et nelle chiese si facevano li sermoni»7. Il suo resoconto viene confermato, tra gli altri, da Domenico Migliacci, secondo cui durante questa «usanza» – promossa da Neri «almeno una volta l’anno» – «il numero della gente passava forse il migliaro, et vi andavano molti religiosi di diverse religioni»8. Nel 1560 si aggregarono al pellegrinaggio i novizi domenicani del convento della Minerva, per i quali la visita filippina diventerà la più attesa ricreazione dell’anno. Come pratica devozionale il giro delle Sette Chiese si conciliava bene con la refezione all’aperto, a cui provvedeva di solito Costanzo Tassoni, legato al cardinale Giulio Antonio Santori, e «quando si sapeva che ‘l p. Filippo andava alle Chiese, tutti correvano». In questo singolare carnevale cristiano i partecipanti «non pensavano ad altro che mettersi in terra a mangiare», ascoltando festanti «musica di voce, cornetti et flauti», ragion per cui non deve stupire se «nel tornare a casa, le gente li pareva di esser stati in Paradiso»9. Carlo Borromeo vi prese parte nel 1563, provvedendo personalmente alle spese per la refezione. Il testimone napoletano Pietro Focile si soffermò in particolare sull’affollata visita del 1565, fatta secondo abitudine nel giorno di «giovedì grasso», quando la schiera dei rumorosi fedeli crebbe fino a contare tremila persone10. Antonio Talpa precisa a proposito che padre Filippo invitava alle Sette Chiese non solo i suoi devoti, ma persone «d’ogni conditione», di cui facevano parte sempre «prelati e signori principali», e «in ognuna delle dette chiese haveva ordinato che si facesse un sermone familiare»11.
Col rinnovare il pellegrinaggio delle Sette Chiese, Filippo Neri volle conferire a tale culto nuovi connotati e significati religiosi, facendo recitare durante il lungo percorso i sette salmi penitenziali al fine di invocare per analogia il perdono divino dei sette peccati capitali e favorire la riflessione intima e collettiva sulle sette principali tappe di Cristo durante la Passione, le sette effusioni del suo sangue, le sette parole di Gesù in croce, i sette doni dello Spirito Santo, le sette opere di misericordia. Praticato originariamente come esercizio individuale, padre Filippo seppe trasformare questo rito in un pellegrinaggio popolare del giovedì grasso straordinariamente efficace sul piano psicologico12. Il nuovo impulso filippino alla visita delle Sette Chiese appariva del tutto coerente con gli atteggiamenti mentali della Controriforma devota e con il suo peculiare metodo, radicato nel Concilio di Trento, di «sapientiam cum pietate coniungere», per usare la felice espressione del gesuita Antonio Possevino13. Con tale azione il prete fiorentino favoriva un ritorno per lo più emotivo alle testimonianze del cristianesimo antico, diffondendo una concezione perseguibile di perfezione cristiana e un ideale di laetitia quale espressione più appropriata del comune sentimento dei fedeli, conquistati dalla santità di vita del Neri e dal carisma della sua parola14. In pieno Seicento si avvertì l’esigenza di conferire a questa pratica apposite norme, attingendo alla ricca esperienza filippina dei decenni precedenti, senza dimenticare che col tempo essa si era diffusa ad ampio raggio oltre i territori dell’Urbe, particolarmente nelle città in cui era sorta una casa della Congregazione15.
Fonti
- Giuseppe Antonio Fioravanti, Visita privilegiata delle Sette Chiese …, per Filippo e Fabio Maria Lazzarini, Fermo 1763, pp. 169-171.
- Antonio Gallonio, Vita di San Filippo Neri, pubblicata per la prima volta nel 1601. Edizione critica a cura dell’Oratorio Secolare di S. Filippo Neri di Roma, a celebrazione del 4. centenario della morte del Santo, con introduzione e note di Maria Teresa Bonadonna Russo, Roma, Presidenza del Consiglio dei Ministri, Dipartimento per l’informazione e l’editoria, 1995, pp. 44-48.
- Il primo processo per san Filippo Neri nel codice vaticano latino 3798 e in altri esemplari dell’Archivio dell’Oratorio di Roma, edito e annotato da Giovanni Incisa della Rocchetta e Nello Vian, con la collaborazione di Carlo Gasbarri, 4 v., Biblioteca Apostolica Vaticana, Città del Vaticano 1957-1963 [I: Testimonianze dell’inchiesta romana: 1595, 1957; II: Testimonianze dell’inchiesta romana: 1596-1609, 1958; III: Testimonianze dell’inchiesta romana: 1610. Testimonianze «extra urbem»: 1595-1599, 1960; IV: Regesti del secondo e terzo processo. Testimonianze varie. Aggiunte e correzioni alle note dei volumi I-III. Indice generale, 1963], vol. IV, p. 413 (Indice generale, voce “Sette Chiese, visita delle”).
- Onofrio Panvinio, De praecipuis urbis Romae, sanctioribusque basilicis, quas septem ecclesias vulgo vocant. Liber, apud haeredes Antonii Bladii impressores camerales, Romae 1570 [ed. successiva: «apud Maternum Cholinum, Coloniae 1584»].
- Marco Attilio Serrano, De septem urbis ecclesiis una cum earum reliquiis, stationibus et indulgentiis, apud haeredes Antonii Bladii impressores camerales, Romae 1575.
- Giovanni Severano, Memorie sacre delle sette chiese di Roma e di altri luoghi, che si trovano per le strade di esse …, 2 v., per Giacomo Mascardi, in Roma 1630.
- Cesare Spada, Instruttione per chi haverà la cura d’assistere al giardino, quando si dà mangiare a quelli che vanno alle sette chiese il giovedì grasso, in La spettacolarità del “Gaudium” di Andrea Lazzarini e La visita filippina delle sette chiese del padre oratoriano Carlo Gasbarri studiata in gran parte su fonti inedite ritrovate nell’Archivio dei Padri dell’Oratorio di santa Maria in Vallicella in Roma e con l’aggiunta di due appendici sull’itinerario …, presso i fratelli Palombi editori, Roma 1947, pp. 113-130 (La visita filippina delle sette chiese, di Carlo Gasbarri, si trova alle pp. 19-73).
- Antonio Talpa, Instituto de la Congregatione de l’Oratorio, in Giovanni Incisa della Rocchetta, Il trattato del p. Antonio Talpa sulle origini e sul significato dell’Istituto della Congregazione dell’Oratorio, in “Oratorium”, 4, n. 1, 1973, pp. 3-41: 21 (il testo di padre Talpa si trova alle pp. 5-37).
Bibliografia
- Mariano Armellini, Le chiese di Roma dal secolo IV al XIX, II ed. accresciuta e migliorata, Tipografia Vaticana, Roma 1891 [I ed.: Tip. Ed. Romana, Roma 1887].
- Mariano Armellini, La visita delle sette chiese principali di Roma secondo il metodo di San Filippo Neri …, nuova ed. accuratamente riveduta ed arricchita di cenni storici, Desclée, Roma 1894.
- Antonio Cistellini, San Filippo Neri. L’Oratorio e la Congregazione oratoriana. Storia e spiritualità, prefazione di Carlo Maria Martini, 3 v., Morcelliana, Brescia 1989, vol. I, pp. 96-97, e vol. III, Indice dei nomi di persona.
- Niccolò Del Re, San Filippo Neri rianimatore della visita delle Sette Chiese, in Maria Teresa Bonadonna Russo, Niccolò Del Re (a cura di), San Filippo Neri nella realtà romana del XVI secolo. Atti del Convegno di studio in occasione del IV centenario della morte di san Filippo Neri (1595-1995), Roma, 11-13 maggio 1995, Società romana di Storia patria, Roma 2000, pp. 89-103.
- Gaetano Moroni, Dizionario di erudizione storico-ecclesiastica da s. Pietro sino ai nostri giorni, vol. LXIV, Tipografia Emiliana, Venezia 1853, pp. 290-296 (voce “Sette Chiese di Roma”).
- Letizia Pani Ermini (a cura di), La visita alle “Sette Chiese”, Società Romana di Storia Patria-Istituto Nazionale di Studi Romani, Roma 2000.
- Louis Ponnelle, Louis Bordet, Saint Philippe Néri et la société romaine de son temps (1515-1595), III éd., Librairie Bloud & Gay, Paris 1929 [I ed.: ivi, 1928; ed. it.: Luigi Ponnelle, Luigi Bordet, San Filippo Neri e la società romana del suo tempo (1515-1595), trad. it. di Tito Casini, prefazione di Giovanni Papini, Libreria editrice fiorentina, Firenze 1986 (ripr. anastatica con appendice dell’ed. 1931)], pp. 119-126 (ed. it., pp. 115-122)].
- Alberto Venturoli, Visita alle Sette Chiese. La liturgia di San Filippo Neri, Città Nuova, Roma 2006.
- Stefano Zen, Oratori devoti, combattenti spirituali, soldati di Cristo. Percorsi della perfezione cristiana in Italia nella prima età moderna, Loffredo, Napoli 2012, pp. 15-45 (cap. I, «L’Oratorio di Filippo Neri e la “perfezione” della Chiesa primitiva»).
- Stefano Zen, Filippo Neri e le «historie ecclesiastiche» di Baronio, in Paola Paesano (a cura di), Filippo Neri un santo dell’età moderna nel V centenario della nascita (1515-2015). Atti del Convegno di studi, Roma, Biblioteca Vallicelliana, 16-17 settembre 2015, Biblioteca Vallicelliana, Roma 2018, pp. 221-254.
Voci correlate
- Begga, santa
- Giovanni Francesco Bordini
- Congregazione dell’Oratorio
- Germanico Fedeli
- Pietro Focile
- Antonio Gallonio
- Domenico Giordani
- Domenico Migliacci
- Filippo Neri
- Onofrio Panvinio
- Pompeo Pateri
- Antonio Possevino
- Persiano Rosa
- San Girolamo della Carità (Chiesa di)
- Giulio Antonio Santori
- Antonio Talpa
- Costanzo Tassoni
- Monte Zazzara
Nota bene
Questa voce fa parte della sezione trasversale Oratorio e Congregazione oratoriana: storia, spiritualità, politica culturale, dedicata all’Oratorio sorto per iniziativa di Filippo Neri, che da libero sodalizio conobbe nell’arco di un quarto di secolo una sua graduale evoluzione fino alla sua istituzionalizzazione nel 1575 (quando papa Gregorio XIII decise per decreto di costituire la Congregazione oratoriana), con l’obiettivo di costruire un repertorio di voci inerente non soltanto ai padri e ai fratelli laici che entrarono stabilmente nell’Oratorio filippino, ma allargato significativamente alle opere prodotte e diffuse dall’operoso laboratorio oratoriano, ai luoghi della Congregazione, alle personalità più o meno note che si riconobbero nella sua politica culturale, partecipando attivamente alle varie iniziative promosse e in particolare agli esercizi spirituali, considerati il nucleo pulsante del programma filippino.
Article written by Stefano Zen | Ereticopedia.org © 2024
et tamen e summo, quasi fulmen, deicit ictos
invidia inter dum contemptim in Tartara taetra
invidia quoniam ceu fulmine summa vaporant
plerumque et quae sunt aliis magis edita cumque
[Lucretius, "De rerum natura", lib. V]