Dizionario di eretici, dissidenti e inquisitori nel mondo mediterraneo
Edizioni CLORI | Firenze | ISBN 978-8894241600 | DOI 10.5281/zenodo.1309444
Vincenzo Mei (Lucca, 1502 - Ginevra, ante 1579) è stato un patrizio lucchese, esule religionis causa.
Membro di una delle famiglie più importanti del patriziato lucchese, era figlio di Biagio Mei, che svolse attività mercantile a Lione, fu ambasciatore lucchese, in particolare presso Carlo V (1529) ma anche a Roma, a Venezia e a Trento, e più volte gonfaloniere di giustizia (1525, 1530, 1534 e 1540).
Al contrario del padre, Vincenzo Mei non ricoprì cariche pubbliche rilevanti. Ereditò le sue attività mercantili, ma con molto minor successo. Nel 1552 la compagnia di famiglia dovette dichiarare fallimento. Al contempo Vincenzo iniziò ad avvicinarsi alle idee riformate, trovando un confidente in fra Claudio Sicco da Caravaggio, carmelitano milanese che predicava a Lucca. Il frate non lo denunciò all'Inquisizione, tuttavia nell'autunno 1555, pochi mesi dopo l'elezione al soglio papale di Paolo IV, Vincenzo emigrò con moglie (nel 1546 aveva sposato Felice Bernardini), prole e una serva al seguito a Ginevra, dove sopravvisse esercitando ancora mercatura e ottenendo il titolo di borghese nel 1560.
Partecipò attivamente alle attività della Chiesa italiana locale, di cui fu diacono.
Non è nota la data della sua morte: fu sicuramente anteriore al 1579, in quanto è menzionato come ormai deceduto in una supplica indirizzata dal figlio Emilio ai cardinali della Congregazione del Sant'Uffizio.
Bibliografia
- Marino Berengo, Nobili e mercanti nella Lucca del Cinquecento, Einaudi, Torino 1965.
- Simonetta Adorni Braccesi, «Una città infetta». La Repubblica di Lucca nella crisi religiosa del Cinquecento, Olschki, Firenze 1994.
- Simonetta Adorni Braccesi, Mei, Vincenzo, in DBI, vol. 73 (2009).
- Arturo Pascal, Da Lucca a Ginevra. Studi sulla emigrazione lucchese nel secolo XVI, Unitipografica Pinerolese, Pinerolo 1935, in part. p. 51.
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et tamen e summo, quasi fulmen, deicit ictos
invidia inter dum contemptim in Tartara taetra
invidia quoniam ceu fulmine summa vaporant
plerumque et quae sunt aliis magis edita cumque
[Lucretius, "De rerum natura", lib. V]