Valdés, Alfonso de

Dizionario di eretici, dissidenti e inquisitori nel mondo mediterraneo
Edizioni CLORI | Firenze | ISBN 978-8894241600 | DOI 10.5281/zenodo.1309444


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Alfonso de Valdés (Cuenca, 1490 ca. - Vienna, ottobre 1532) è stato un umanista spagnolo, consigliere politico di Carlo V.

Biografia

Alfonso de Valdés fu una figura importante all'interno della corte di Carlo V nonché esponente di particolare rilievo dell'erasmismo spagnolo. Ricoprì la funzione di segretario reale, fu a stretto contatto quindi sia con l'imperatore, sia col cancelliere Mercurino Gattinara. Con quest'ultimo instaurò anche un fecondo rapporto di amicizia, scandito da un denso scambio di idee. Entrambi ebbero una grande stima per Erasmo, del quale condivisero numerose idee. Un caro amico di Valdés, Pedro Juan Olivar, in una lettera lo definiva "piú erasmista che Erasmo"1.
L'erasmismo di Valdés riecheggia in particolare nei suoi due celebri dialoghi: El diálogo de las cosas acaecidas en Roma e El diálogo de Mercurio y Carón. Il primo fu concepito nel 1527 all'indomani del sacco di Roma, e probabilmente già circolante in quell'anno. Il secondo fu pubblicato nel 1529 congiuntamente al primo.

Sulla sua data di nascita esistono varie congetture, cosí come sulla sua educazione e sul fatto che fosse o meno gemello del fratello Juan. Alfonso de Valdés nacque comunque attorno nel 1490. Il padre Fernando de Valdés era stato regidor de Cuenca e la madre Maria de la Barrera discendeva da una famiglia conversa. Lo zio materno Fernando de la Barrera, cappellano della chiesa di S. Salvador di Cuenca, era stato processato per giudaismo nel 1491 e condannato al rogo. Anche il padre Fernando - converso da parte di nonna - e il fratello maggiore Andréas furono processati anni dopo, ma la pena fu minima.
Nel 1522 figurava giá come scrittore della Cancelleria Imperiale e nel 1524 Gattinara lo incaricò della redazione delle nuove Ordinanze della Cancelleria e lo nominó suo segretario.
Grazie alle lettere che scrisse agli amici possiamo ricostruirne i numerosi spostamenti: prima nei Baesi Bassi nel 1520, poi in Spagna dal 1522 al 1529, quindi in Italia a fianco dell'Imperatore e del Cancelliere. Partecipò alle conversazioni fra i luterani e i rappresentanti del Papa alla dieta di Augusta (1530). Successivamente seguì la corte imperiale a Colonia, Bruxelles, Ratisbona e infine Vienna. In quest'ultima città morì nell'ottobre 1532, stroncato dalla peste, nominando suo erede universale il fratello Juan de Valdés.

Opere

Tramite la lettura dell'opera di Valdés è possibile ricostruire la sua posizione, e in parte anche quella del Gattinara, rispetto alle grandi questioni dell'epoca, ed in particolare la visione che entrambi ebbero della Chiesa e della figura del Papa. Bataillon li definì "i piu convinti sostenitori della politica antiromana e antifrancese"2. La visione antiromana di Valdés la si trova già accennata nella lettera da lui redatta che Carlo V scrisse a Clemente VII in risposta alle accuse ricevute per il sacco di Roma, datata 23 giugno 1527. In essa si attaccava la politica papale, partendo dall'atteggiamento assunto da Leone X durante l'elezione imperiale, deplorando le iniziative di Clemente VII e terminando con l'attribuzione di tutti i peccati commessi da questi pontefici alla loro brama di potere. La guerra avrebbe condotto la Chiesa alla rovina e alla distruzione della comunitá cristiana. Se il Papa avesse continuato su questa strada, l'Imperatore si sarebbe visto costretto a convocare un concilio. Dunque un'accusa forte, come del resto quelle che appariranno anche nei dialoghi.
Questa polemica era presente anche nel celebre discorso di Carlo V ai principi cristiani subito dopo il sacco. Messaggio scritto a quattro mani con il Gattinara, nel quale si ricordavano gli sforzi compiuti per la pace e la liberazione del re di Francia dopo la battaglia di Pavia e in merito al sacco si sostenevano le tesi del "giudizio divino" e della non responsabilitá imperiale. Le truppe imperiali avevano agito prive di comando, e l'Imperatore non aveva i mezzi per fermarle: il sacco così doveva essere visto come un atto della volontá divina, una punizione voluta da Dio stesso contro il papato corrotto.

Il Diálogo de las cosas acaecidas en Roma

Dal sacco di Roma Valdés prese spunto per scrivere il Diálogo de las cosas acaecidas en Roma (1527). Valdés stesso descrisse il fatto a Erasmo in una lettera datata 15 maggio 1529. La notizia era arrivata mentre egli stava cenando con amici a casa sua: alcuni iniziarono a ridere, altri condannarono aspramente Carlo V, ma tutti insistettero per avere l'opinione di Alfonso. Lui promise di metterla per iscritto, poiché non si poteva dare un giudizio affrettato su di una questione cosí delicata. Da questo episodio Valdés prese spunto per l'elaborazione dell'opera, una vera e propria riflessione sul sacco di Roma attraverso il dialogo di due personaggi. E, sempre in questa lettera, Valdés sostenne che suo scopo era far ricadere la colpa dell'accaduto sul papa, intercalando le sue opinioni con estratti delle opere di Erasmo.
Il dialogo è una conversazione fra due personaggi, un Arcidiacono e un giovane signore della corte, Lattanzio. Il luogo di svolgimento è lo stesso dove l'Imperatore aveva ricevuto la notizia del sacco, ovvero la cittá di Valladolid. Lattanzio riconosce in un uomo vestito da soldato l'Arcidiacono che a Roma era stato il suo migliore amico. Subito il lettore viene informato dell'accaduto: l'Arcidiacono infatti si era dovuto cambiare di abito per sfuggire alle brutalitá del sacco. Per parlare meglio i due vanno nella chiesa di S. Francisco, dando quindi inizio alla conversazione nella quale Lattanzio difenderá l'Imperatore e il suo operato, mentre l'Arcidiacono tenderà a giustificare il comportamento papale.
Subito Lattanzio commenta la notizia del sacco: emerge la stessa accusa che Valdés aveva formulato nella lettera di Carlo V a Clemente VII. Infatti lo stesso Valdés si identifica nel personaggio di Lattanzio, e ciò che quest'ultimo dice non è altro che il riflesso delle sue idee. Subito Lattanzio assume la difesa della politica di Carlo V, sostenendo la sua innocenza in ció che è accaduto a Roma: «El Emperador ninguna culpa tiene en lo que en Roma se ha hecho»3 sostenendo che tutto è avvenuto solo per giudizio divino. Subentra quindi il concetto importante, di volontá divina. Il Pontefice si era voluto intromettere in questioni che non lo riguardavano e per questa sua smania di potere era stato punito.
Nel dialogo il personaggio dell'Arcidiacono ha una doppia funzione: quella di testimone dei fatti accaduti a Roma e quella di rappresentante del clero corrotto. Con quello che dice, con le sue opinioni, si delinea un esempio vivente di cattivo chierico. Egli stesso afferma che Roma è piena di vizi, di traffici, di inganni. L'Arcidiacono era andato a Roma per sottrarre i benefici a un suo vicino: il denaro diventa l'unico motivo di pellegrinaggio dei chierici a Roma. Per queste mancanze Dio aveva inviato prima il filosofo Erasmo affinché le sue critiche eloquenti potessero curare questa corruzione, ma esse non avevano avuto effetto. Allora aveva inviato Lutero, che non solo aveva insultato la Chiesa ma ne aveva provocato la scissione.
Lattanzio non riesce a comprendere come il comportamento del papa possa conciliarsi col messaggio di Gesú, e, cosa ancora più scandalosa, la totale tranquillitá dell'Arcidiacono nel compiere questi gesti illeciti. Per questa ragione Dio in precedenza aveva permesso la sorpresa dei Colonna e di don Hugo de Moncada contro Roma, ferendo il Papa con un duro colpo. Infatti subito dopo la Lega di Cognac, in un clima di confusione totale, era scoppiata la guerra privata dei Colonna di Genzano, guidati dal cardinale Pompeo, contro Clemente VII. Nel frattempo Hugo de Moncada, inviato dall'Imperatore a Roma per proporre al Papa condizioni di pace, aveva ricevuto ordine di accordarsi con i Colonna di fronte a un rifiuto del Pontefice. E cosí era accaduto. Moncada si era incontrato segretamente con i Colonna mentre il 22 agosto 1522, Vespasiano, figlio di Prospero Colonna, aveva stipulato una tregua con il Pontefice. Era un espediente tattico per indurre Clemente VII a licenziare le sue milizie. Infatti, il 20 settembre don Hugo de Moncada e gli alleati colonnesi erano entrati a Roma, compiendo numerose violenze.
Il sacco deve dunque essere inteso como un mezzo che Dio ha utilizzato per punire la Chiesa dopo reiterati avvisi, e per far "aprire gli occhi" sulla sua situazione, incitando a una soluzione, a un concilio. Secondo Valdés Dio aveva voluto tutto questo per risvegliare la cristianitá, ingannata dai falsi insegnamenti della Chiesa. Fra questi il culto delle immagini attira particolarmente la sua attenzione. A suo avviso il culto delle immagini è un modo sbagliato di onorare i santi, ma per le persone ignoranti si presenta come l'unico atto possibile per raggiungere la salvezza. Per quanto riguarda le reliquie, non devono essere soppresse. Ma non importa creare edifici sfarzosi dove adorarle, basta un luogo piú semplice. Dio vuole doni invisibili, quelli visibili sono in secondo luogo. Quando si fa riferimento all'episodio del soldato che getta in terra la custodia dell'ostia, la critica di Valdés diventa ancora più aspra. L'Arcidiacono infatti è sconvolto dal gesto, ma Lattanzio risponde a tono. E' vero, il comportamento del soldato è degno di castigo, ma si deve anche pensare a tutte le ostie che vengono ogni giorno benedette e assunte da sacerdoti dall'animo corrotto. Anche questa pratica è degna di castigo divino.
Dunque lo scontro fra l'Arcidiacono e Lattanzio, in qualche misura è la rappresentazione dello scontro fra il Papa e l'Imperatore. Subentra anche il pensiero dello scrittore, il quale accomuna i gesti commessi dai soldati contro le immagini sacre con i gesti rovinosi commessi dai religiosi, spinti dal loro animo pieno di vizi. La distruzione di Roma con la distruzione della morale cristiana. L'intera conversazione é quindi costruita su di una antitesi.
Lattanzio- Valdés vede nella figura di Carlo V l'unica possibilitá di salvezza. Colui che può ripristinare l'equilibrio all'interno della Chiesa attraverso la convocazione di un concilio. Era stato di questa idea anche Gattinara. Anche lui aveva visto Carlo V come l'unico soggetto all'altezza di liberare la Chiesa dalla corruzione e riunire l'intera cristianitá ponendosi a capo di una monarchia universale.
Quando Lattanzio sta per precisare quali sono i compiti dell'Imperatore, viene interrotto dal portiere della Chiesa e rimanda la conversazione al giorno dopo. Valdés non scriverá il seguito e il dialogo termina senza informare il lettore al riguardo.
L'opera ebbe un forte impatto sugli spagnoli: grazie a Valdés, il sacco venne visto dagli spagnoli dai più colti come una volontá celeste. Peró ebbe anche effetti negativi. Castiglione portó il dialogo di fronte al tribunale dell'Inquisizione, chiedendo la pena del fuoco. A suo parere il libro diffondeva idee luterane e doveva essere bandito. Ma il tribunale contestó la richiesta, sostenendo che «scrivere contro i costumi del Papa e del clero non era motivo sufficiente per un processo di eresia» .
I riferimenti a Erasmo sono numerosi. Valdés vede in lui l'altro grande personaggio in grado di apportare un cambiamento grazie alla sua filosofia, al suo pensiero. Ecco quindi che Valdés riprende l'Institutio principis christiani secondo la quale un buon re non merita il nome di cristiano fin quando la sua politica non è dominata dalla philosophia Christi, ovvero un amore e un rapporto cristiano con i sudditi e un mantenimento della pace e della giustizia. Encomium Moriae, una accusa aggressiva di Erasmo contro tutto ció che considerava morto nel cattolicesimo. Ed ancora il Modus Orandi, riflessioni di Erasmo riguardo alla preghiera. In particolare Erasmo dimostrava come il culto dei santi e delle immagini non fosse altro che una derivazione dal politeismo pagano. Valdés riprende esattamente questo punto quando cita S.Apollonia e S.Rocco.

Il Diálogo de Mercurio y Carón

Sulla linea del primo dialogo ritroviamo anche il secondo dialogo di Valdés, il Diálogo de Mercurio y Carón . Valdés lo scrisse nel 1529, due anni dopo il primo. Sul piano politico le cose erano cambiate. Era stata stipulata la pace di Barcellona, nella quale il Papa e l'Imperatore "si stringevano la mano" per difendersi dai Turchi e per porre le basi di una pace. Quindi un contesto ben diverso da quello della prima opera. Allora infatti, era appena accaduto il sacco di Roma e il Papa aveva stipulato un'alleanza contro l'Imperatore. Lo spunto per il secondo dialogo è diverso dal primo. Come dice nello stesso proemio:«La causa principale che mi ha portato a scrivere questo dialogo fu il desiderio di mostrare la giustizia dell'Imperatore e la malvagitá di coloro che lo sfidarono ». In particolare Valdés si riferisce a Francesco I e Enrico VIII, i quali avevano stipulato un patto contro l'Imperatore. Alla notizia dell'alleanza, Valdés pensa di comporre un altro dialogo più complesso della semplice discussione degli eventi contemporanei. In questo opera Valdés insiste sulla stessa idea: la visione di un mondo con al centro l'Imperatore e un Papa spirituale che governano il popolo di Cristo. Ma in questo caso i riferimenti al sacco di Roma hanno solo la funzione di ritornare sopra argomenti delicati e il saccheggio non ha piú un ruolo centrale come nel precedente dialogo.
Siamo infatti in un contesto di fantasia, mitologico: la riva di un fiume infernale, dove si trovano dodici anime, delle quali solo due trovano il cammino verso il cielo. Vi sono un cattivo predicatore, un cattivo consigliere, un duca, un vescovo, un cardinale, una monaca senza vocazione, un re, un consigliere del re di Francia, un ipocrita e un teologo, tutti in fila diretti verso la barca di Caronte. Quest'ultimo è disperato, ha appena comprato una galera nuova nel momento in cui corre la voce che si è firmata la pace in Spagna. Ma Mercurio lo conforta: a Burgos è stata appena diffusa la dichiarazione di guerra. Il dio ottiene dal barcaiolo infernale il permesso di interrogare le anime che passano di lí; queste conversazioni non saranno altro che i giudizi morali di Valdés che con questo artificio possono essere espressi liberamente. Poi c'è il personaggio del " buon sposato", il vero ritratto dell'autore, o comunque un personaggio simile a quanto Valdés si sforzava di essere. L'altra anima che riesce a trovare il cammino verso il cielo è la "casada", personaggio gemello allo "sposato". Una donna colta che inizialmente pensava alla clausura mentre poi aveva deciso di sposarsi.
Di nuovo si condannano le abitudini corrotte del clero, ed è lo stesso Mercurio a farlo. La situazione peggiora sempre, si è giunti al punto di pagare per entrare nelle chiese e per assumere l'ostia consacrata. La cosa che colpisce ancor piú è la superbia delle anime che sono convinte di aver riscattato le peggiori immoralitá a forza di pratiche devote. Il cattivo consigliere, per esempio, non capisce come mai è stato condannato agli inferi: «E con tutto quello che ho fatto, adesso devo venire all'inferno?» dice stupito. Il re si attiene alle bolle papali, alle indulgenze, mentre il sacerdote ipocrita ignora totalmente le norme cristiane, ma sottolinea una quantitá di mortificazioni che gli davano fama di santitá. Mercurio si incarica allora di spiegare a queste anime che le norme della Chiesa sono mezzi per la perfezione cristiana, e non fini. Si fa promotore quindi di una "educazione evangelica".
Per rappresentare il suo ideale cristiano Valdés ricorre non solo a Mercurio ma soprattutto al personaggio del "casado": un'incarnazione per eccellenza delle virtú cristiane, inizialmente dedita ad una vita piena di vizi, poi invece convertito. Intorno ai 25 anni decide di dedicarsi alla dottrina di Cristo, facendosi frate. Ma con il tempo capisce che non è la sua strada, decide di sposarsi e di seguire i precetti della Chiesa, ma non alla lettera. Vive da "cristiano pietoso ma non devoto" : va a messa i giorni di festa, digiuna, si confessa qualche volta alll'anno, ma non frequenta i pellegrinaggi. Nonostante sia un cristiano che non segue tutte le regole alla lettera, si rileverá migliore di tanti altri. Ciò che il buon sposato chiede a Dio è il suo perdono e la sua grazia, in quanto si definisce il "più grande peccatore del mondo". La sua anima devota si rivelerá ancora di più in punto di morte, quando "el casado" non si preoccuperá della cerimonia, della messa, del funerale, ma morirá ascoltando passi della scrittura. Si tratta di una vera e propria critica della religiosità formale estrema, apparentemente pia e giusta, ma in realtá fonte di peccato.
La "buona sposata" dal canto suo è una donna forte e colta, che conosce bene il latino e la Bibbia tanto da insegnarla alle compagne. Si tiene lontana da superstizioni e, anche se inizialmente pensava alla clausura, alla fine decide di sposarsi.
Ma Valdés fa anche un elenco di figure della Chiesa che orientano il lettore a un ideale di santitá. Il buon cardinale che rinuncia al suo titolo, lascia Roma e si ritira in un monastero. Un vescovo cosciente della propria missione spirituale, e che per questo fonda collegi per una miglior selezione dei sacerdoti, reprime il vagabondaggio, fa rispettare la morale. Ed ancora il buon frate che non dà importanza alle vesti, alle cose materiali e vive solo del lavoro delle sue mani. Tutti modelli che per Valdés sono simbolo di una perfezione religiosa molto lontana dalla realtá .
Il personaggio che meglio incarna il pensiero politico di Valdés è la figura del buon re. Inizialmente viene descritto un principe dedito solo alla guerra e per niente ai sudditi, ma dopo la conversione le cose cambiano. Tale conversione ha ripercussioni su tutto lo Stato: i benefici ecclesiastici vengono distribuiti in base al merito; la giustizia viene riformata in modo da evitare i processi interminabili. I nobili sono obbligati ad educare i propri figli al lavoro manuale e alle arti liberali; nel regno fioriscono la religione e la pietá cristiana, affluiscono gli stranieri, si fondano cittá nuove, gli infedeli chiedono spontaneamente il battesimo. E in questo clima di trionfi si annuncia la morte del buon re Polidoro. Nel personaggio convivono le idee di Valdés e di Gattinara: l'impero ideale che ha come proposito la fratellanza, la pace fra tutte le nazioni cristiane, governate da un solo Imperatore.
Oltre a ciò Valdés ha sicuramente ripreso anche l'idea erasmiana dell'Institutio principis christiani, in particolare nell'illustrare il rapporto tra governante e governati: «Ricordati che non si fece la repubblica per il re, ma il re per la repubblica. Molte repubbliche si sono viste nascere senza un principe, ma mai il principe senza repubblica ». Secondo Valdés il buon re deve rispettare il lavoratore e non abusare di lui, il tutto in forza dall'efficacia della grazia divina.
Nel dialogo troviamo anche riferimenti alla disputa fra Carlo V e Francesco I. Mercurio infatti ne racconta a Caronte le origini. Si accenna alla contesa per la successione imperiale, al conflitto militare per la conquista del ducato di Milano, fino ad arrivare alla vittoria imperiale a Pavia. Ma si tratta anche di quello che è avvenuto dopo il sacco e su questo argomento Mercurio appoggia il comportamento imperiale, come fa Lattanzio nel primo dialogo. Si cita anche la figura del cattivo consigliere, sicuramente un chiaro riferimento a Jean Lallemand, acerrimo rivale di Gattinara e di Valdés. Nel periodo successivo al sacco, infatti, si erano aperte numerose discussioni riguardo alla venuta in Italia dell'Imperatore, nelle quali Lallemand aveva sostenuto la propria idea di evitare la venuta dell'Imperatore sul suolo italiano. La presenza del cattivo consigliere nel dialogo di Valdés aveva cosí lo scopo di promuovere la politica di Mercurino e di offuscare quella di Lallemand. Oltre ad una visione antiromana, Valdés ne trae dall'amico Gattinara anche una antifrancese.

I due dialoghi di Alfonso de Valdés, apparentemente molto semplici grazie alla struttura del genere letterario adoperato, si rivelano invece esito di riflessione approfondita. Inoltre rappresentano chiaramente il pensiero di Valdés e di Gattinara, a loro volta influenzate da una terza: Erasmo. Sono quindi un'aggregato di politica, letteratura, filosofia. Una fusione di idee, elementi intellettuali diversi per sviluppare un'unica tesi: la grandezza e il buon governo di Carlo V.

Bibliografia

  • Michel Bataillon, Erasmo y España, a cura di Antonio Alatorre, Ediciones F.C.E. España S.A, Madrid 1950
  • Karl Brandi, Carlo V, a cura di Federico Chabod, Einaudi, Torino 1961 (ed. or.: Monaco 1937)
  • John E. Elliot, La Spagna Imperiale 1469-1716, Il Mulino, Bologna 1982
  • Mercurino Arborio Gattinara, Autobiobiografia, a cura di Giancarlo Boccotti, Bulzoni, Roma 1991.
  • Manuel Rivero Rodríguez, Alfonso de Valdés y el Gran Canciller Mercurino Arborio di Gattinara: El erasmismo en la Cancillería imperial (1527-1530), "e-Spania", 13 (2012)
  • Alfonso de Valdés, Diálogo de las cosas acaecidas en Roma, a cura di Rosa Navarro Durán, Catedra, Madrid 1992.

Voci correlate


 
Article written by Ada Antonelli | Ereticopedia.org © 2013

et tamen e summo, quasi fulmen, deicit ictos
invidia inter dum contemptim in Tartara taetra
invidia quoniam ceu fulmine summa vaporant
plerumque et quae sunt aliis magis edita cumque

[Lucretius, "De rerum natura", lib. V]

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