Sacro Macello della Valtellina (1620)

Dizionario di eretici, dissidenti e inquisitori nel mondo mediterraneo
Edizioni CLORI | Firenze | ISBN 978-8894241600 | DOI 10.5281/zenodo.1309444


Il Sacro Macello della Valtellina è stato un massacro di circa 400 protestanti da parte di congiurati cattolici, avvenuto tra il 19 e il 23 luglio 1620 (9-13 luglio, secondo il calendario giuliano allora in vigore nei Grigioni). Il massacro iniziò a Tirano e successivamente proseguì a Teglio, Sondrio, Traona e in altri comuni della valle. Al termine del massacro, oltre 200 evangelici lasciarono la valle e trovarono momentaneo rifugio a Zurigo, dove formarono una comunità riformata di lingua italiana.

L'episodio si colloca nel quadro delle guerre civili che da diversi anni agitavano la Repubblica delle Tre Leghe, ed ebbe inoltre una dimensione internazionale. Nei giorni seguenti al massacro infatti la Spagna invase la Valtellina, con il pretesto di liberarla dalla tirannide dei Grigioni. L'invasione spagnola scatenò un conflitto aperto con la Repubblica delle Tre Leghe che - a fasi alterne - durò diciannove anni e che coinvolse Francia, Repubblica di Venezia e Ducato di Savoia da una parte e Spagna e Sacro Romano Impero dall'altra. La "guerra di Valtellina" (1620-1639) fu uno degli episodi della guerra dei Trenta Anni.

Il termine "Sacro macello" si deve allo storico cattolico Cesare Cantù, che nel 1853 pubblicò Il Sacro Macello di Valtellina. Episodio della Riforma religiosa in Italia. I contemporanei usarono altre definizioni per parlare dell'episodio, a seconda della diversa prospettiva politica o religiosa: le fonti di parte grigiona parlano di ribellione, quelle filospagnole di risolutione contro la tirannide de Grisoni, infine quelle prodotte in ambiente riformato parlano di Massacro di Valtellina.

Il dominio grigione e la Riforma in Valtellina

Nel 1512 - nell'ambito della guerra della Lega di Cambrai - l'esercito svizzero cacciò i francesi dal ducato di Milano e i Grigioni, alleati dei confederati svizzeri, presero possesso della Valtellina, dei contadi di Bormio e Chiavenna e delle tre Pievi (Dongo, Gravedona, Sorico), poi successivamente perse nel corso delle due guerre di Musso. Iniziava così la lunga dominazione retica sulla Valtellina, che formalmente non fu assimilata all'interno della struttura istituzionale della repubblica retica ma mantenne lo statuto di territorio suddito delle Tre Leghe. Inoltre fino al 1530 - anno in cui fu raggiunto un accordo fra le Tre Leghe e il vescovo di Coira - quest'ultimo mantenne la quarta parte dei diritti sulla Valtellina e sui contadi di Bormio e Chiavenna, compresi quelli di nomina del capitano generale della valle. Dal punto di vista ecclesiastico, invece, la Valtellina restò soggetta alla diocesi di Como.

Dopo la proclamazione degli articoli di Ilanz (1524-1526), con i quali i comuni delle Tre Leghe abolivano il potere temporale del vescovo di Coira sottraendogli la nomina dei parroci e la gestione dei beni ecclesiastici, la Riforma protestante si diffuse rapidamente in tutto il territorio della Rezia, Valtellina compresa, che diventò meta di una intensa predicazione da parte di luterani, zwingliani, anabattisti, antitrinitari e - più tardi - calvinisti. La pubblicazione della Confessio Raetica nel 1553, stilata dai riformatori Philipp Gallicius e Johannes Comander su istanza del Sinodo di Coira, segnò l'atto di nascita delle chiese riformate nei territori delle Tre Leghe, che fino ad allora non avevano ancora adottato una precisa fisionomia e identità confessionale.
La maggior parte dei comuni Grigioni passarono alla Riforma, anche grazie all'iniziativa dell'umanista e comandante militare Johann Travers, che dal 1517 era Capitano Generale della Valtellina. Anche qui sorsero chiese riformate a Tirano, Teglio, Traona, Morbegno, Sondrio, Piuro, oltre che nelle vicine valli di Chiavenna e Bregaglia. La libertà di culto garantita dal dominio grigione - unita al fatto che le autorità retiche si rifiutarono di pubblicare i decreti del Concilio di Trento - fecero della Valtellina una terra di asilo per numerosi esuli di origine italiana.

La presenza protestante in Valtellina restò tuttavia sempre minoritaria e socialmente limitata a famiglie di mercanti, professionisti o funzionari del governo retico. La maggior parte della popolazione valtellinese, composta in larga parte da contadini e mezzadri, restò fedele alla chiesa di Roma e trovò presto nell'arciprete di Sondrio una figura di riferimento politico, oltre che religioso. Nominato dal vescovo di Como, l'arciprete di Sondrio assunse sempre di più un ruolo cruciale nella politica valtellinese, al punto da entrare in aperto conflitto con la stessa diocesi comasca che non vedeva di buon occhio l'intraprendenza degli arcipreti valtellinesi né le loro richieste di maggiore autonomia nella gestione delle parrocchie locali.

Sul fronte protestante la piena accettazione della Confessio Raetica fu un processo difficile e tormentato. In Valtellina molte chiese rifiutarono di accogliere la decisione del Sinodo di Coira: a Piuro - dove fra gli altri aveva trovato rifugio Camillo Sozzini - la comunità riformata locale non adottò la Confessio Raetica, ed anche il pastore di Traona, Bartolomeo Silvio, fece appello alla libertas rhaetica contro la decisione sinodale. Tali contrasti, che coinvolgevano anche i territori "interni" delle Tre Leghe, costrinsero la Dieta federale a emanare nel 1570 un'ordinanza in base alla quale "ogni suddito della nostra giurisdizione o dimorante nei luoghi soggetti al nostro dominio, è tenuto a professare puramente e sinceramente una delle due religioni: o quella del Santissimo Evangelo secondo la confessione dello stesso Sinodo di Coira, o quella della Chiesa romana", sancendo di fatto una divisione confessionale che ammetteva come uniche chiese legalmente riconosciute quella cattolica tridentina e quella riformata.

I prerequisiti (1570-1603)

Nelle vicende dell'ultimo quarto del Cinquecento si scorgono gli elementi del conflitto che sarebbe esploso in tutta la sua virulenza nel 1620: la crisi interna alle Tre Leghe; il problema religioso; e la questione internazionale.

La crisi politica delle Tre Leghe

Nella Rezia la confessionalizzazione delle società locali avvenne in concomitanza con un processo di profonda crisi e ridefinizione delle strutture politiche di autogoverno. La storia politica delle Tre Leghe di fine Cinquecento è costellata da episodi di conflitto che occasionalmente intersecano gli schieramenti confessionali. Uno dei fenomeni più ricorrenti è quello dei fähnlilupfen, termine del dialetto locale che significa letteralmente "issare le bandiere". Un fähnlilupf si verificava ogni volta che i comuni aderenti alle Tre Leghe issavano le insegne militari e mobilitavano la loro milizia comunale in una marcia che spesso coinvolgeva numerose altre comunità locali e che generalmente si concludeva con un'ampia assemblea di cittadini-soldati in uno spazio aperto (generalmente un prato), dove le bandiere dei comuni venivano piantate a terra e dove le milizie restavano accampate per il tempo necessario a "ristabilire il buon ordine" delle Tre Leghe. Lo scopo dell'azione era infatti duplice: innanzitutto discutere e approvare una serie di articoli, in genere finalizzati a "ristabilire" il regime democratico contro le tendenze oligarchiche del ceto dirigente e della Dieta; e in secondo luogo - se la situazione lo rendeva necessario - istituire un tribunale speciale (il cosiddetto Strafgericht) per processare e punire i principali uomini politici delle Tre Leghe accusati di corruzione, ambizioni dispotiche e abuso delle loro funzioni.

Tra la seconda metà del Cinquecento e i primi decenni del Seicento la pratica del fähnlilupf si fece sempre più frequente, a testimonianza di un processo di trasformazione in senso oligarchico del governo delle Tre Leghe che, dal punto di vista dell'uomo comune, costituiva una intollerabile manipolazione dell'originaria democrazia retica. I principali obiettivi dell'azione politico-militare dei comuni erano infatti i membri delle due più importanti famiglie del patriziato grigione, che attraverso le loro ramificate clientele si contendevano il governo delle Tre Leghe in ogni angolo dei domini grigioni, Valtellina compresa: i von Planta, originari di Zuoz nell'Alta Engadina; e i loro principali rivali politici, i von Salis, originari invece della val Bregaglia.

Nel 1572, ad esempio, quasi tutti i comuni delle Tre Leghe issarono le loro insegne e marciarono su Coira, dove fu stabilito un tribunale speciale per giudicare l'élite dirigente. L'azione popolare era stata preceduta da una intensa campagna di opinione contro Johan von Planta, considerato uno degli uomini più ricchi e potenti della Rezia e che, fra le altre cose, aveva ottenuto dal Pontefice l'autorizzazione a recuperare i beni della chiesa cattolica confiscati dai riformati nelle diocesi di Coira e di Como. Il patrizio grigione fu processato e giustiziato dall'assemblea dei comuni, nonostante l'amministrazione della giustizia - sul piano rigorosamente formale - spettasse in via esclusiva ai magistrati nominati dalla Dieta.
Quella che si consumava nel corso di un fähnlilupf era una dialettica tra due opposte concezioni delle relazioni politiche interne alle Tre Leghe. Alla democrazia "oligarchica" e rappresentativa, che trovava espressione nella Dieta federale, i comuni opponevano la democrazia radicale e diretta, che prendeva corpo nella collettività di uomini in armi dietro ai vessilli comunali. Come ha giustamente sottolineato Randolph C. Head, nel suo studio sull'ideologia democratica dei Grigioni della prima età moderna:

Most important was he idea that since the Freestate was a voluntary creation of the communes, the communes - emboided as a collectivity of arm-bearing men - retained the power to control it directly1

Riunite in assemblea dietro ai vessilli, le comunità locali si sentivano autorizzate a legiferare e ad amministrare la giustizia scavalcando l'autorità formale della Dieta federale. Nei conflitti di fine Cinquecento la posta in gioco era dunque la natura stessa del governo retico e la sua legittimazione. Sotto il profilo religioso, però, il radicalismo espresso da queste forme di azione politica popolare non aveva una particolare connotazione. Se è vero che alcuni fähnlilupfen furono affiancati e legittimati dalla predicazione di alcuni pastori riformati radicali, occorre precisare che questa era la stessa cultura politica alla quale nel 1620 si sarebbero ispirati i congiurati cattolici valtellinesi assaltando i palazzi e le sedi del dominio grigione sulla valle. Inoltre occorre considerare il fatto che l'élite grigiona, bersaglio dei tribunali censori istituiti dai comuni, era indifferentemente cattolica e protestante e che - allo stesso modo - fra le milizie dei comuni che issavano le loro bandiere nel corso di un fähnlilupf militavano allo stesso tempo riformati e cattolici.

La crisi valtellinese del 1584-85

Sul finire del secolo, e più diffusamente nel corso del primo Seicento, la crisi politica dei Grigioni si intrecciò con i due altri fattori di divisione interna delle Tre Leghe: le crescenti pressioni del governo spagnolo sulla Valtellina e la questione confessionale. Lo testimonia la crisi politica attraversata dalla Valtellina nel corso del 1584-85.

Il 25 marzo 1584 era scoppiata a Sondrio una sommossa popolare contro i rappresentanti delle Tre Leghe. Motivo della sommossa era la decisione del governo retico di aprire una scuola di studi umanistici nel borgo più popolato della Valtellina. Ufficialmente pluriconfessionale, la scuola era tuttavia promossa da figure dall'élite riformata valtellinese come Scipione Lentolo e nei progetti del governo grigione doveva essere diretta dal pastore Raphael Egli, figio del pastore di Coira Tobias Egli. Questo spiega la fredda accoglienza che il progetto educativo grigione suscitò fra le élite cattoliche valtellinesi, e in particolare nell'arciprete di Sondrio Giovanni Giacomo Pusterla, figura di riferimento del cattolicesimo valtellinese e anello di congiunzione con gli ambienti del cattolicesimo ambrosiano.
La rivolta dei cattolici valtellinesi si trasformò in un caso politico allorché le Tre Leghe inviarono quindici commissari per indagare sui disordini, che dal punto di vista del governo retico si configuravano anzitutto come un atto di ribellione dei sudditi soggetti della Valtellina. L'arresto di alcuni uomini sospettati di aver sobillato la rivolta, fra i quali spiccava l'arciprete Pusterla, suscitò la reazione del vescovo di Como - dal quale formalmente dipendeva l'arcipretura - e dell'arcivescovo di Milano Carlo Borromeo. Per evitare il trasferimento a Coira, dove i giudici grigioni avrebbero avuto mano libera contro l'arciprete, Pusterla fuggì dalla Valtellina e trovò rifugio presso il Borromeo. A questo punto la vicenda uscì dagli stretti confini dei Grigioni: oltre al cardinale Borromeo, anche il governatore spagnolo di Milano fece pressione sulla Dieta delle Tre Leghe minacciando di impedire i commerci con il milanese nel caso in cui le Tre Leghe avessero aperto la scuola di Sondrio. Messi alle strette dall'azione diplomatica della Spagna - che mobilitò anche i cantoni cattolici della Confederazione - le Tre Leghe decisero di trasferire a Coira la sede della discussa scuola di studi umanistici.

La situazione non era ancora del tutto pacificata quando, nel dicembre di quello stesso anno, le Tre Leghe ordinarono al governatore generale della Valtellina di trarre in arresto cinque valligiani accusati di intelligenza con lo straniero2. Le indagini erano partite da una denuncia pervenuta ai podestà di Morbegno e Traona circa una "promessa" che molti cattolici delle comunità valtellinesi avrebbero sottoscritto segretamente per impegnarsi a sostenere una rivolta contro il governo grigione per consegnare la valle agli spagnoli. Secondo gli inquirenti la rivolta era stata preparata di concerto con il governatore spagnolo di Milano e con il cardinale Borromeo - che prima di morire lasciò disposizioni al suo fidato collaboratore Francesco Panigarola incaricandolo di portare a termine la faccenda per la quale erano già stati stanziati 1500 scudi allo scopo di arruolare genti d'arme.

Mentre i giudici interrogavano i sospetti a Sondrio, sul confine milanese si stava radunando una piccola armata di volontari e mercenari reclutati dal conte Rinaldo Tettone, il quale - probabilmente con il tacito consenso del governo spagnolo - intendeva occupare la Valtellina e farne un micro-stato personale, sull'esempio di quanto aveva fatto cinquanta anni prima il Medeghino a Musso e nell'alto Lario. Quale che fosse la regia occulta dell'operazione, già alla fine di dicembre del 1584 le milizie dell'Engadina e della val Bregaglia avevano levato le loro insegne e si erano messe in marcia per la Valtellina, questa volta con il consenso e l'esplicito avvallo della Dieta federale.
A questo punto però la situazione mutò rapidamente. Dopo la denuncia della congiura, il governatore spagnolo si affrettò a prendere le distanze dall'iniziativa del Tettone, che scoperto e isolato fu costretto a rinunciare ai suoi propositi. Venuta meno la minaccia di invasione, la Dieta federale ordinò alle milizie dei comuni di Engadina e val Bregaglia di smobilitare e ripiegare le loro insegne. Contrariamente alle aspettative del ceto dirigente grigione, però, le milizie non obbedirono e tutta la faccenda assunse i connotati di un nuovo fähnlilupf. Nel gennaio del 1585 le bandiere dei comuni delle Tre Leghe si radunavano in val Chiavenna e, dopo aver stilato i cosiddetti Clevner Artikel, o Articoli di Chiavenna, rimasero fino a marzo per indagare sui numerosi "abusi" che il ceto dirigente commetteva nei territori sudditi delle Tre Leghe, primo fra tutti il peculato. Oltre a rappresentare l'ennesimo tentativo di ripristinare la democrazia contro le tendenze oligarchiche del patriziato grigione, al primo punto gli Articoli di Chiavenna ribadivano la libertà di culto e sancivano pene severe per chiunque avesse perturbato la pace tra cattolici e protestanti, tanto nel territorio della Repubblica quando nei domini soggetti di Valtellina, Chiavenna e Bormio.

La crisi del 1584-85 era cominciata con un conflitto religioso, si era trasformata in un caso politico internazionale e finì in un consueto fähnlilupf antiologarchico. Per la prima volta si realizzava in Valtellina la convergenza tra i tre fattori di crisi che, nel 1620, sarebbero stati determinanti nello scatenare il massacro.

Il contesto internazionale

Fra le precondizioni della crisi valtellinese del 1620 va certamente preso in analisi il quadro internazionale. Nei venti anni precedenti alla strage si registrano infatti significativi cambiamenti negli assetti geopolitici di tutta l'area alpina centro-occidentale.
Con il trattato di Lione (1601) il re di Francia Enrico IV concedeva al duca di Savoia Carlo Emanuele I il dominio del marchesato di Saluzzo in cambio della Bresse e del Bugey. Oltre a sancire una spartizione territoriale delle Alpi occidentali tra Francia e Savoia, il trattato segnò una significativa svolta nella politica estera del ducato sabaudo. Dal 1601 infatti la Savoia iniziò una politica di avvicinamento alla Francia culminata nel trattato di Bruzolo del 1610, con il quale Carlo Emanuele I ed Enrico IV si impegnavano in un'alleanza militare in funzione antispagnola. L'apertura della prima guerra del Monferrato (1612-1619) - che impegnò la Spagna sul fronte occidentale del ducato di Milano - fu l'esito naturale di questo slittamento del sistema delle alleanze nell'Italia nord-occidentale.

In conseguenza a questi sostanziali cambiamenti avvenuti nell'area delle Alpi occidentali, la strada che le truppe spagnole percorrevano abitualmente per raggiungere le Fiandre si fece sempre più stretta, fino a chiudersi del quasi tutto. La chiusura del tradizionale asse viario del cammino spagnolo costrinse la monarchia iberica a valutare la possibilità di percorrere altre strade, prime fra tutte quelle che risalivano le Alpi a partire dai confini settentrionali del ducato di Milano. Questo significava spostare il consueto tragitto delle truppe spagnole lasciando le ormai inospitali Alpi occidentali per le Alpi centrali. Dal 1604, e in maniera sistematica dal 1622 in poi, le armate del re di Spagna avrebbero usato la strada che da Milano saliva verso le Alpi retiche, dapprima attraverso i baliaggi italiani (Lugano e Bellinzona) e successivamente - dopo la rivolta valtellinese del 1620 - attraverso la Valtellina.

Il risultato complessivo fu che da inizio Seicento la monarchia spagnola avrebbe aumentato la propria pressione diplomatica sulle Tre Leghe, al fine di spianare la strada alle truppe spagnole attraverso i comodi passaggi della val Chiavenna e della Valtellina. Contemporaneamente però anche la Francia lavorava allo stesso obiettivo. Nel suo Grand dessein, Enrico IV aveva infatti provveduto a sbarrare la strada alla Spagna anche nell'area delle Alpi centrali. Nel 1602 infatti le Tre Leghe avevano deciso di rinnovare la paix perpetuelle con la Francia e l'anno successivo avrebbero stretto un'altra alleanza con Venezia. In entrambi i casi il trattato rappresentava una chiusura diplomatica nei confronti del governo spagnolo di Milano, che premeva sulla Dieta delle Tre Leghe affinché la Valtellina e i suoi valichi fossero aperti alle truppe spagnole.

Nel 1603 la risposta del governatore spagnolo, il conte di Fuentes, fu quella di costruire un forte all'imbocco della Valtellina e decretare il blocco dei transiti commerciali per i sudditi delle Tre Leghe nel ducato di Milano. La decisione non fece che esasperare tensioni che già covavano da tempo all'interno del governo dei Grigioni. Come scrisse Antonio Molina, funzionario del governo grigione in Valtellina e autore nel 1631 di una storia del massacro valtellinese, la costruzione de forte di Fuentes

a esté comme la source et l'origine, ou plustost l'arsenal et le fondique d'ou sont sorties les premières estincelles qui ont causé un si grand embrassment3.

In questo contesto la Dieta delle Tre Leghe, già teatro di lotte di fazione, trovò nella politica internazionale un ulteriore elemento di divisione. Le più importanti famiglie dell'aristocrazia grigiona, che da tempo si alternavano nelle principali cariche di governo civile ed ecclesiastico della regione, trovarono nuovi motivi di frizione riguardo al posizionamento internazionale delle Tre Leghe. Se da un lato alcuni membri della famiglia von Planta presero posizione a favore della Spagna, i von Salis si dichiararono favorevoli all'alleanza con Venezia e con la Francia. L'adesione a un "partito" internazionale era peraltro interpretata come un'ulteriore prova della corruzione dilagante nel ceto dirigente delle Tre Leghe, accusato di ricevere lauti doni e pensioni dagli ambasciatori residenti di Francia, Venezia e Spagna. Nella prospettiva dell'uomo comune, la corruzione e l'ambizione politica del ceto dirigente grigione costituiva un'intollerabile attentato alle tradizionali libertà delle comunità locali, oltre che un tentativo di trasformare in senso oligarchico il sistema democratico delle Tre Leghe.

In questo senso la rivolta valtellinese del 1620 fu un'appendice periferica delle tensioni politiche e sociali che da almeno un cinquantennio agitavano la piccola Repubblica delle Tre Leghe. Se infatti una storiografia tradizionale, sulla scia di Cesare Cantù, insiste nell'attribuire il ruolo di casus belli all'omicidio dell'arciprete di Sondrio Nicolò Rusca, gli studi più recenti - primo fra tutti quello di Randolph C. Head4 - hanno chiarito che quell'episodio va inserito all'interno delle guerre civili che scoppiarono in tutta l'area dei Grigioni.

Gli eventi scatenanti (1607-1618)

Passato alla storia come il periodo dei "Torbidi Grigionesi", il periodo compreso fra il fähnlilupf del 1607 e il capitolato di Milano (1639) fu vissuto all'insegna di una sostanziale guerra civile interna alle Tre Leghe. La pratica dei fähnlilupfenera divenuta ormai corrente a cavallo dei due secoli (fra 1550 e 1618 si registrano 7 levate di insegne) e soprattutto aveva perso il carattere di azione politica popolare spontanea: le "levate di insegne" del primo Seicento sono infatti lotte popolari dirette e strumentalizzate dalle fazioni in seno all'élite dirigente grigiona.
Il fähnlilupf scoppiato nei Grigioni nel corso del 1607, ad esempio, fu probabilmente il primo episodio di mobilitazione popolare espressamente diretto dall'alto. Nell'ambito della crisi dell'Interdetto la Dieta dei Grigioni aveva deliberato di concedere il passo alle truppe mercenarie dei cantoni svizzeri, a eventuale supporto della Repubblica Veneta minacciata di invasione da parte degli Asburgo. La decisione della Dieta scatenò la ritorsione del partito filo-spagnolo che mobilitò i comuni sotto il proprio controllo in un fähnlilupf diretto contro i principali dirigenti filo-veneziani.
Sempre più sovente, infatti, dietro alle sommosse dei comuni si muovevano gli interessi delle fazioni rivali dell'élite grigionese (i von Salis contro i von Planta) cui si aggiunsero nel primo Seicento anche gli interessi contrapposti delle potenze europee. L'ennesima levata di insegne del 1607, inizialmente diretta contro i membri del partito filo-veneziano, si trasformò poi in un tentativo di eliminare l'influenza dei leader del partito filo-asburgico, primi fra tutti i potenti fratelli Rudolf e Pompejus von Planta.

Il Fähnlilupf del 1618

Tuttavia l'episodio che fece esplodere le tensioni fu il fähnlilupf del 1618, passato alla cronaca anche come tribunale censorio di Thusis. Nel maggio del 1618 si tenne a Bergün, in Engadina, un Sinodo delle chiese riformate dei Grigioni. Fra gli argomenti all'ordine del giorno non mancavano le preoccupazioni del corpo pastorale per la situazione politica interna delle Tre Leghe. Fra i partecipanti all'assemblea spiccava la figura del giovane Georg Jenatsch, un predicatore radicale che - prima di essere ordinato pastore all'età di ventidue anni - era stato precettore in casa di Baptista von Salis, esponente di spicco del partito filo-veneziano e principale artefice dell'alleanza che nel 1603 le Tre Leghe avevano stretto con la Serenissima, suscitando la ritorsione del governatore spagnolo di Milano. Descritto dalle le fonti coeve come un giovane ambizioso e privo di scrupoli, e successivamente celebrato come il restauratore dell'indipendenza retica, Jenatsch si mise alla testa di un movimento che intendeva fare piazza pulita delle oligarchie corrotte e sottrarre le Tre Leghe all'invadenza delle ingombranti potenze straniere.
Insieme ad altri pastori, nel luglio del 1618 Jenatsch si mise alla testa di un fähnlilupf, appoggiato da Baptista von Salis, che mobilitò le bandiere dell'Engadina e marciò su Zernez per dare l'assalto al castello Planta-Wildenberg, residenza dei fratelli Rudolf e Pompejus von Planta, che ripararono temporaneamente in Tirolo. Dopo aver assaltato il castello, i rivoltosi si dirigevano a Thusis, dove arrivarono i rappresentanti degli altri comuni delle Leghe e dove furono stilati cinque articoli che, oltre a ribadire la libertà di culto per entrambe le confessioni, confermavano l'ordinamento democratico e decretavano la pena di morte per chiunque avesse trattato con ambasciatori e forestieri senza l'esplicita autorizzazione delle Tre Leghe. A questo scopo fu istituito uno Strafgericht incaricato di giudicare quelli che, nei testi di propaganda, erano definiti i "traditori della patria".

I sessantasei giudici eletti dai comuni (22 per ciascuna delle Tre Leghe) affidarono ai pastori l'onere di condurre materialmente le indagini, considerando che la loro posizione era meno compromessa con interessi materiali o di parte e dunque più "imparziale". Fra di essi spiccava il protagonismo di Georg Jenatsch, che convocò i sospetti e condusse personalmente gli interrogatori. Fra le principali vittime del tribunale censorio di Thusis c'erano i fratelli von Planta, dichiarati banditi e condannati in contumacia, ma anche un sottobosco di loro clienti, compresi alcuni notabili ed ecclesiastici della Valtellina: fra loro il capitano Giacomo Robustelli di Grossotto; il podestà di Morbegno Giovanni Antonio Gioiero; e l'arciprete di Sondrio, Nicolò Rusca.
Successore del Pusterla nell'arcipretura valtellinese, Rusca era già finito sotto la lente inquisitoria dei comuni, che nel corso del fähnlilupf del 1608 lo avevano convocato - senza successo - davanti al tribunale censorio per rendere conto dei suoi sospetti legami con il ceto dirigente milanese. Stando alla testimonianza di un pamphlet stampato nel 1618 su iniziativa degli insorti, Nicolò Rusca era stato

incarcerato dal popolo per haver trattato (…) di amazzar sopra lo stato di Milano il sig. Scipione Calandrino, già predicante in Sondrio (…). Di più questo Rusca si è dimostrato rebello & disubidiente al Magistrato Supremo delle tre leghe communi (…) annullando li decreti di quello & doppo tenute le sue congregationi alla Canonica a Sondrio furono subito per le publiche strade udite da i sudditi parole di rebellione5.

Il massacro

Dal punto di vista dei comuni valtellinesi, quanto stava accadendo era allo stesso tempo la testimonianza del malgoverno delle Tre Leghe nei territori soggetti e la prova che il ceto dirigente grigione intendeva esercitare un governo tirannico contrario alle antiche libertà locali. Uno degli argomenti giuridici sui quali fece leva la rivolta del 1620 fu infatti la rottura unilaterale dei capitolati che i terzieri della Valtellina avevano siglato con le Tre Leghe all'epoca della sottomissione al loro dominio.

La congiura era stata preparata da un manipolo di uomini, tutti notabili e patrizi della Valtellina, accomunati dal fatto di essere stati condannati o banditi dai territori Grigioni all'epoca del Fähnlilupf del 1618. Fra questi, Giacomo Robustelli di Grossotto, congiunto dell'arciprete di Sondrio Niccolò Rusca, Vincenzo Venosta di Mazzio, Francesco Venosta di Tirano, i fratelli Azzo e Carlo Besta, Giovanni Antonio Gioiero di Castione, già podestà di Morbegno.

Secondo il pastore riformato Vincenzo Paravicino, autore nel 1621 di una Vera Narratione del Massacro degli Evangelici fatto da papisti e rebelli nella maggior parte della Valtellina nell'anno 1620, il massacro fu l'esito di una congiura nata in ambito valtellinese con l'appoggio del governatore spagnolo di Milano.

Tutte queste cose furono messe in considerazione, ma non fu mai possibile d’ effettuare cosa alcuna per molte cagioni: se non quando s’ebbe notizia che un numero di Spagnuoli s’avvicinava alle Trepievi, luoghi vicini alla Valtellina, furono necessitati i magistrati d’essa Valtellina a metter presidio alle Trinciere di Trahona e Morbegno, circa Calendi Luglio 1620, pensando d’assicurare la valle dal Nimico esterno, e il presidio fu delli detti proprii abitanti d’essa Valtellina, il quale non operò altro, se non che gli Evangelici furono serrati, sì che da quella parte non potevano fuggire, poiché secondo il trattato già concluso, ma anticipato per otto giorni, che fu la Domenica 9 Luglio 1620 [19 luglio, secondo il calendario gregoriano] fu eseguito il massacro nelle terre di Tirano e Teglio, come ancora di Sondrio, terra principale della valle.

Secondo l'arciprete di Locarno Francesco Ballarini, che nel 1623 pubblicava a Como Gli felici progressi de catholici nella Valtellina per estirpatione dell’Heresie, un breve pamphlet filospagnolo e di parte cattolica, la congiura era stata ordita dai proscritti in accordo con una parte del patriziato grigionese, in primo luogo con i fratelli Pompeo e Rodolfo Planta, come conseguenza dei conflitti civili che agitavano la Repubblica delle Tre Leghe. L'azione armata avrebbe dovuto anticipare e prevenire un'altra congiura organizzata dai riformati della valle per disfarsi delle principali famiglie del notabilato locale, sull'esempio di quanto era stato fatto nei due anni precedenti nei comuni delle Tre Leghe.

Si suscitorno per questa causa le guerre civili tra Grisoni, quandoche raunando alcuni de sbanditi una moltitudine de valorosi Soldati delle Leghe medesime della lor’adherenza, et parte de circonvicini stati, si posero ad attorniar a poco a poco i paesi de loro nemici in diverse parti, che fu l’anno prossimo 1620 nel mese di Luglio. (…) In questo stesso tempo macchinavano gli Predicanti d’affatto distruggere tutti gl’ecclesiastici con circa trecento Famiglie principali di Valtellina per più agevolmente ridurr’il rimanente alla sua falsa religione: ma gli Catholici bramosi di sciogliersi pur una volta da gl’artigli della dura servitù de gl’Heretici, anco per veder il tempo opportuno per le discordie de i loro padron, fecero una solenne sollevatione essendo di quella, tra gl’altri capi, il cavagliero Robustelli con gl’altri sbanditi di quella Valle.

Alla mezzanotte del 19 luglio 1620 i congiurati entrarono nel borgo di Tirano, centro del Terziere Superiore della Valtellina e ne bloccarono ogni ingresso. Successivamente diedero campana a martello e iniziarono a massacrare oltre sessanta persone. Si diressero poi al Palazzo della Ragione, dove risiedeva il podestà di nomina grigiona, Giovanni Cappand, che fu fatto prigioniero e ucciso.
Il mattino seguente una parte della milizia cattolica, guidata dai fratelli Azzo e Carlo Besta e dal cugino Antonio Besta, si diresse a Teglio con l'intenzione di sorprendere i riformati all'uscita del culto. Avvertiti del pericolo, i fedeli si rinchiusero nella chiesa parrocchiale e nel campanile, ma furono presi ad archibugiate dalle finestre e lasciati alle fiamme appiccate alla torre campanaria. Nell'attacco di Teglio Paravicino conta sessanta vittime.
Il massacro proseguì nelle terre di Sondrio, sede del Magistrato Supremo: qui i congiurati si erano accordati con i cattolici del posto che fecero credere di voler difendere il borgo dall'arrivo delle milizie, ma al momento opportuno si schierarono con le truppe del Robustelli e passarono a fil di spada i riformati, inseguendo i superstiti nella vicina val Malenco. Paravicino stima che in queste località furono fatte 170 vittime. I massacratori proseguirono discendendo la Valtellina, a Berbenno (11 morti) Caspano e Traona (11 morti).

Fonti e bibliografia

Fonti

  • Vincenzo Paravicino, Vera Narratione del Massacro degli Evangelici fatto da papisti e rebelli nella maggior parte della Valtellina nell'anno 1620, Zurigo, 1621
  • [Hans Rudolph Rahn], Discours véritable sur l'Estat des Trois Ligues Communes des Grisons. Comprenant ce que s'est passé en ces pays depuis le massacre et meutres commis en la Valteline, s.l., 1621
  • Francesco Ballarini, Gli felici progressi de catholici nella Valtellina per estirpatione dell’Heresie, cominciando dall’Anno del Signore 1618 sin all’anno 1623, Como, 1623
  • Antonio Molina, La Valteline, ou Memoires, discours, traictez et Actes des Negociations sur le sujet des troubles & guerres survenues en la Valteline et au pays des Grisons, Ginevra, 1631

Bibliografia

  • Martin Bundi, Sacro macello, in DSS
  • Cesare Cantù, Il Sacro Macello di Valtellina. Episodio della Riforma religiosa in Italia, Mariani, Firenze 1853
  • Randolph C. Head, Early Modern Democracy in the Grisons. Social Order and Political Language in a Swiss Mountain Canton, 1470–1620, Cambridge University Press, Cambridge, 2002
  • Alessandro Pastore, Nella Valtellina del tardo cinquecento: fede, cultura e società, Ed. SugarCo, Milano, 1974
  • Alessandro Pastore, «I poveri Grisoni esiliati». Note e documenti sulla dispersione dei nuclei riformati di Valtellina dopo il Sacro Macello del 1620, in L. Antonielli, C. Capra, M. Infelise (a cura di), Per Marino Berengo. Studi degli allievi, Franco Angeli, Milano, 2000, pp. 374-396
  • Gianvittorio Signorotto, Aspirazioni locali e politiche continentali. La questione religiosa nella Valtellina del '600, in "Bollettino della Società di Studi Valdesi", n. 117, 1995, pp. 87-108
  • Andreas Wendland, Passi alpini e salvezza delle anime. Spagna, Milano, e la lotta per la Valtellina (1620-1641), L'officina del libro, Sondrio, 1999

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et tamen e summo, quasi fulmen, deicit ictos
invidia inter dum contemptim in Tartara taetra
invidia quoniam ceu fulmine summa vaporant
plerumque et quae sunt aliis magis edita cumque

[Lucretius, "De rerum natura", lib. V]

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