Giannone, Pietro

Dizionario di eretici, dissidenti e inquisitori nel mondo mediterraneo
Edizioni CLORI | Firenze | ISBN 978-8894241600 | DOI 10.5281/zenodo.1309444


Pietro Giannone (Ischitella, 7 maggio 1676 - Torino, 17 marzo 1748) è stato un filosofo, storico e giurista italiano.

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Biografia

La formazione e l'ascesa all'interno del ceto togato napoletano

Famiglia e studi

Pietro Giannone si trasferì a Napoli giovanissimo (era nato nel 1676 a Ischitella, nei pressi di Foggia) nel 1694. Era figlio di uno speziale, ma discendente di una famiglia di avvocati. Fu un prozio materno, Carlo Sabatelli, che lo introdusse negli ambienti togati della capitale del Regno. Nel settembre 1698 si era laureato in diritto all’Università di Napoli. Negli anni universitari il giovane Giannone si era accostato a molti personaggi eminenti della cultura napoletana del tempo, dedicandosi, oltre che agli studi giuridici, agli studi storici e filosofici. Fu dal 1696 allievo della scuola privata di Domenico Aulisio, illustre docente di diritto dell'Ateneo napoletano e grandissimo erudito che Vico ebbe a definire «uomo universale delle lingue e delle scienze», tuttavia rimasto indifferente al vento di cambiamento che soffiava nella cultura napoletana del tempo, saldamente ancorato al tradizionale approccio scolastico e fortemente polemico nei confronti del razionalismo di matrice spinoziana e cartesiana.

Amicizia con De Angelis e letture dotte

In quegli stessi anni al Giannone si schiuse la ricchezza delle biblioteche locali, in particolare quella istituita dal cardinale Stefano Brancaccio, morto nel 1682, e quella del ben noto cardinale cinquecentesco Girolamo Seripando, conservata presso il convento di San Giovanni a Carbonara.
Fu l’amicizia col poeta leccese Filippo De Angelis ad indirizzarlo nelle letture dotte e in particolare ad avvicinarlo al pensiero di Gassendi e a studi filosofici e letterari che lo allontanarono dall’impostazione scolastica di cui si era nutrito negli anni precedenti, in conformità all’istruzione dell’epoca. Dalla lettura del Gassendi passò ad approfondire molte delle fonti latine e greche di questo filosofo: Lucrezio, Sesto Empirico, Diogene Laerzio; «sicché - chiosava il Giannone nella sua Autobiografia - divenni, come gli altri miei coetanei, filosofo gassendista ». Il De Angelis indirizzò inoltre il Giannone «nella conoscenza de’ buoni poeti e de’ più culti scrittori toscani»: da Petrarca e Boccaccio sino a Machiavelli e Guicciardini. Con questa esperienza il Giannone si ebbe a rifare, come lui stesso affermava, degli anni precedenti «inutilmente persi consumati nella scolastica»1.

Alla scuola di Gaetano Argento

L’incontro con il giureconsulto calabrese Gaetano Argento avvenne poco dopo la laurea: Giannone si trasferì a far pratica nel suo studio dopo la deludente esperienza presso Giovanni Musto. Ricordava infatti quest’ultimo con parole assai significative: «un puro forense, sprovvisto di ogni altra cognizione, illitteratissimo e che appena sentiva il goffo latino de’ volumacci forensi, inetto nel parlar le cause nelle Ruote e molto più nello scrivere e nel comporre allegazioni legali»2.
Fu un incontro fondamentale per il giovane dottore in legge: «Il cangiamento fu per me d’inestimabil acquisto» scrisse il Giannone a proposito del suo passaggio allo studio dell’Argento: «trovai in lui profonda erudizione e notizia non meno di scrittori latini, che greci, e profonda conoscenza non solo del dritto feudale e municipale, ma di giurisprudenza romana, che avea tratto da limpidissimi fonti; la sua biblioteca ornata de’ migliori e de’ più scelti giuriconsulti e canonisti»3. Come tali Giannone intendeva tra gli autori del Cinquecento Andrea Alciati e il suo allievo François Douaren, Guillaume Budé e altri illustri giuristi francesi sostenitori di nuovi indirizzi umanistici del diritto e malvisti dalle gerarchie ecclesiastiche della Controriforma; tra gli autori del Seicento c'era invece il giansenista legato al milieu di Port-Royal Zeger Bernard, molto amato dai giurisdizionalisti italiani del Settecento, anch'egli perseguitato dalla Chiesa e le cui opere vennero messe all'indice: insomma si trattava di tutti autori di «rottura» rispetto alla tradizione e spesso avversari delle prerogative della Chiesa e sostenitori di quelle dello Stato.
In tale biblioteca «niente mancava degli altri scrittori forensi; ma erano ben distinti, tra forensi stessi, gli goffi e sciapiti da quelli che la giurisprudenza romana avevano adattata all’uso del foro, e che avevano saputo, ne’ loro dotti volumi, la dottrina forense condirla e trattarla da gravi e seri giureconsulti».
Ovviamente la biblioteca non era limitata alle opere giuridiche «ma vi erano libri eruditissimi di ogni genere, di poeti, istorici, oratori e fino di filosofi»; tra questi non poteva mancare l'amato Gassendi.
L’Argento era un grande mecenate, promotore dell’Accademia de’ Saggi. Già negli anni universitari Giannone aveva frequentato l’Accademia di Medinacoeli, di cui l’Accademia de’ Saggi era l’ideale prosecuzione. Non a caso il Giannone sottolineava: «quel che rendevami estremo contento fu che vi trovai giovani della mia età ed alcuni più avanzati, i quali sotto la disciplina del medesimo [Gaetano Argento] si erano avviati nella strada dell’avvocazione, assai dotti, di buon senso ed amanti non men degli studi forensi che delle belle lettere e di varia erudizione; i quali, quasi tutti ho poi veduti ascendere a’ primi onori della toga»4. Tali amicizie spingevano ad un confronto intellettuale e ad un’emulazione particolarmente fecondi per l’avanzamento comune negli studi.

La maturità e la vecchiaia: dal conflitto giurisdizionalista all'esilio fino alla carcerazione a Torino

Il conflitto giurisdizionalista e l'Istoria civile del Regno di Napoli

Giannone maturò l’idea di stendere l’Istoria civile del Regno di Napoli proprio durante il periodo di apprendistato presso l'Argento, stimolato dalle discussioni che si svolgevano nell'ambito dell'Accademia de' Saggi (che iniziò a riunirsi presso casa dell'Argento nel 1702).
Nel frattempo cominciava la sua ascesa nella carriera forense, cui sono legate le prime pubblicazioni di Giannone, le scritture Per li possessori degli oliveti nel feudo di San Pietro in Lama contro monsignor vescovo di Lecce barone di quel feudo intorno all'esazione delle decime dell'olive (1715) e il Ristretto delle ragioni de' possessori degli oliveti (1716). La Lettera scritta da Giano Perontino ad un suo amico che lo richiedea onde avvenisse che nelle due cime del Vesuvio in quella che butta fiamme ed è più bassa la neve lungamente si conservi e nell'altra ch'è alquanto più alta e intera non duri che pochi giorni (1718) era invece il riflesso degli interessi scientifici coltivati da Giannone sin da giovane, ma presto accantonati a favore dell'avvocatura e degli studi storici e giuridici.
L'Istoria civile del Regno di Napoli fu infine stampata nel marzo 1723, dopo una lunga preparazione, nel momento della massima ascesa di Giannone, che il 17 marzo 1723 era stato nominato avvocato generale della città di Napoli. Il contenuto fortemente antiromano e anticuriale dell'opera suscitò ampie polemiche e costrinse l'autore ad un subitaneo esilio.
L'Istoria accusava la Chiesa romana di aver avuto un'influenza nefasta nella storia del Regno di Napoli. In particolare era messa sotto accusa la chiamata degli Angioini, responsabili dell'infeudazione del Regno alla Chiesa, fonte di continue pretese da parte delle gerarchie ecclesiastiche di cui Giannone negava in toto la legittimità. Anche gli Spagnoli erano veementemente criticati perché troppo collusi col Papato. Il principio giurisdizionalistico dell'autonomia dello Stato rispetto alla Chiesa e alle sue ingerenze era affermato con la massima forza.

L'esilio dorato a Vienna e la stesura del Triregno

Giannone giunse a Vienna all'inizio di giugno del 1723, trovando protezione nell'imperatore Carlo VI.
Nel frattempo l'Istoria civile era messa all'Indice e Giannone era scomunicato (ma Carlo VI riuscì a far togliere la scomunica). A Vienna Giannone visse in una sorta di esilio dorato, cosa che gli permise di dedicarsi intensivamente agli studi, oltre che all'avvocatura, il cui esercizio riprese dopo una breve pausa. I risultati furono i trattati Del concubinato de' Romani ritenuto nell'Impero dopo la conversione alla fede di Cristo, De' rimedi contro le proposizioni de' libri che si decretano in Roma e della potestà de' principi in non farle valere ne' loro Stati e De' rimedi contro le scommuniche invalide e delle potestà de' principi intorno a' modi di farle cassare ed abolire. Seguirono il Ragionamento per il signor don Leopoldo Pilati (1725), il trattato De' veri e legittimi titoli delle reali preminenze che i re di Sicilia esercitano nel Tribunale detto della Monarchia (1727) la Breve relazione de' Consigli e dicasteri della città di Vienna e le Ragioni per le quali si dimostra che l'arcivescovado beneventano… sia… sottoposto al regio exequatur, come tutti gli altri arcivescovadi del Regno (entrambe del 1731), la Dissertazione intorno il vero senso della iscrizione "Perdam Babillonis nomen" posta in una moneta di Lodovico XII re di Francia, da alcuni creduta coniata in Napoli l'anno 1502 (scritta nel 1729 e pubblicata in versione latina a Londra nel 1733 all'interno di un'edizione degli Historiarum sui temporis libri XXIV di Jacques-Auguste de Thou).
Intanto il dibattito intorno alla sua opera e alle sue dottrine anticuriali restava acceso in Italia, ma assumeva anche una rilevante dimensione europea a seguito della traduzione inglese dell'Istoria civile (The civil history of the Kingdom of Naples, London 1729-31) e Giannone si inseriva nella Repubblica delle lettere dell'epoca, intrattenendo fervide corrispondenze letterarie, in particolare con intellettuali tedeschi e inglesi. Particolarmente importante fu la frequentazione di Eugenio di Savoia, che possedeva una ricca biblioteca in cui spiccavano testi libertini e radicali.

Il Triregno, il tentato rientro in Italia e l'arresto

La stesura del Triregno cominciò nel 1731 e terminò nel 1733. L'opera analizza l'evoluzione dei rapporti tra religione e potere nell'Ebraismo e cristianesimo, ponendo una netta dimarcazione tra cristianesimo originario e cattolicesimo papale. Secondo Giannone nel "Regno terreno" degli Ebrei il patto tra Dio e il suo popolo si riduceva nella promessa di un dominio sugli altri popoli. Con il "Regno celeste" il cristianesimo delle origini aveva introdotto una prospettiva ultraterrena. Ma, a causa della sua avidità, la Chiesa aveva piegato il dettato evangelico ai suoi interessi, introducendo il "Regno papale" a sostegno della sua superiorità sugli Stati secolari. Con Il Triregno Giannone raggiungeva l'apice della polemica anti-papale e anti-curiale.
L'opera non fu pubblicata a stampa ma ebbe una certa circolazione sin dalla sua prima stesura e fu "fatale" per le sorti di Giannone. Infatti, nel 1734 Carlo VI acquisiva il possesso del Regno di Napoli, il che obbligava l'imperatore a una politica di maggior accondiscendenza verso Roma. Nell'agosto 1734 Giannone lasciava Vienna alla volta di Venezia, risiedendo nel territorio della Serenissima per un anno, perfezionando la stesura del Triregno. Nel settembre 1735 fu oggetto di un rapimento da parte di agenti pontifici e caricato su un'imbarcazione che sbarcò nel ferrarese, in territorio della Chiesa. Riuscì a rifugiarsi fortunosamente a Modena, dove redasse il Ragguaglio dell'improvviso e violento ratto praticato in Venezia ad istigazione de' gesuiti e della corte di Roma. Passò quindi a Milano, avviando trattative per essere accolto dal sovrano piemontese Carlo Emanuele III di Savoia come storico di corte. Scampò al tranello ordito dai piemontesi per arrestarlo, riparando a Ginevra. Nel marzo 1736 cadde quindi in un nuovo tranello piemontese, fu rapito e condotto a Chambéry, in territorio sabaudo.

La lunga carcerazione e la morte

Cominciava per il Giannone una lunga carcerazione, prima nella fortezza di Miolans (aprile 1736 - settembre 1737), dove scrisse la sua Autobiografia ovvero Vita di Pietro Giannone scritta da lui medesimo, quindi a Torino (settembre 1737-giugno 1738), nella fortezza di Ceva (giugno 1738-agosto 1744), e infine di nuovo a Torino (dal 3 settembre 1744 fino alla morte avvenuta il 17 marzo 1748).
Fu processato dall'Inquisizione di Torino e costretto all'abiura, prestata nel marzo 1738. Negli anni di prigionia, in particolare nei sei anni trascorsi nella fortezza di Ceva, continuò a leggere e scrivere. Nel maggio 1738 terminò i Discorsi sopra gli Annali di Tito Livio, quindi redasse l'Apologia de' teologi scolastici (1739-41), l'Istoria del pontificato di san Gregorio Magno (1741-42) e L'ape ingegnosa (1743-44).
Morì a Torino il 17 marzo 1748.

Bibliografia

  • Raffaele Ajello (a cura di), Giannone e il suo tempo. Atti del Convegno di studi nel tricentenario della nascita, Jovene, Napoli 1980.
  • Sergio Bertelli, Giannoniana. Autografi, manoscritti e documenti della fortuna di Pietro Giannone, Ricciardi, Milano-Napoli 1968.
  • Andrea Del Col, Giannone, Pietro, in DSI, vol. 2, pp. 682-683.
  • Lino Marini, Pietro Giannone e il giannonismo a Napoli nel Settecento, Laterza, Bari 1950.
  • Andrea Merlotti, Giannone, Pietro, in DBI, vol. 54 (2000).
  • Fausto Nicolini, Gli scritti e la fortuna di Pietro Giannone. Ricerche bibliografiche, Laterza, Bari 1913.
  • Giuseppe Ricuperati, L'esperienza civile e religiosa di Pietro Giannone, Ricciardi, Milano-Napoli 1970.
  • Giuseppe Ricuperati, La città terrena di Pietro Giannone. Un itinerario tra ‘crisi della coscienza europea’ e Illuminismo radicale, Olschki, Firenze, 2001.
  • Brunello Vigezzi, Pietro Giannone riformatore e storico, Feltrinelli, Milano 1961.

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Voci correlate


 
Article written by Daniele Santarelli | Ereticopedia.org © 2013-2014

et tamen e summo, quasi fulmen, deicit ictos
invidia inter dum contemptim in Tartara taetra
invidia quoniam ceu fulmine summa vaporant
plerumque et quae sunt aliis magis edita cumque

[Lucretius, "De rerum natura", lib. V]

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