Patrizi, Gian Giorgio

Dizionario di eretici, dissidenti e inquisitori nel mondo mediterraneo
Edizioni CLORI | Firenze | ISBN 978-8894241600 | DOI 10.5281/zenodo.1309444


Gian Giorgio Patrizi o de Petris o Petrisso (Cherso, ca. 1524 - laguna di Venezia, 1570) è stato un nobile istriano fattosi promotore dell'anabattismo antitrinitario, infine condannato a morte dall'Inquisizione.

Biografia

Già convertito, fu meglio istruito all'anabattismo antitrinitario da Marcantonio Del Bon e Pietro Manelfi, da lui appositamente invitati in Istria, nel giugno 1551. Bandito da Cherso a vent'anni per il suo comportamento da "scavezzacollo", vi era rientrato nel 1550, dopo essersi sposato con Anna Barbo, sorella del signore del castello di Cosiliacco (in territorio imperiale, dove aveva trascorso l'esilio). Al suo rientro nella città natale stupì tutti quanti per il suo cambiamento nei costumi, evidentemente da attribuire alla "conversione" (durante il suo processo veneziano del 1570 dichiarò di essere stato ribattezzato nel 1547). Sin dal suo rientro a Cherso destò sospetti di eterodossia, si trasferì quindi a Padova e a Ferrara. Dopo la delazione Manelfi (ottobre 1551), decise, d'accordo con Nicola D'Alessandria, di fuggire verso la Turchia. I due raccolsero una piccola comitiva di fuggiaschi, tra i quali molti vicentini (tra questi Antonio Rizzetto). Il gruppo raggiunse nell'aprile 1552 Castelnuovo in Dalmazia, svolgendo un'intensa opera di proselitismo. Da lì il gruppo si spostò quindi a Salonicco. Patrizi se ne era staccato temerariamente per fare un breve rientro a Cherso, ricongiungendosi comunque poco dopo ai compagni. Vicende familiari lo tenevano ancora legato al luogo natale. Il fratello Stefano Patrizi (padre del filosofo Francesco Patrizi), affermato magistrato locale caduto in disgrazia dopo aver osato difendere Baldo Lupetino, morì nel 1551, e diverse sue sorelle morirono egualmente nei primi anni cinquanta. Nel 1554 Gian Giorgio Patrizi fu arrestato e torturato crudelmente, cosa che lasciò conseguenze durature sulla sua salute fisica. Abiurò nelle mani del vicario vescovile Girolamo Taddeo e visse nicodemicamente fino al 1558, allorché, infervoratosi dopo la lettura di una lettera di Giulio Gherlandi dalla Moravia, decise di abbandonare di nuovo Cherso, stracciando la sua abiura. Fu ospitato per alcuni anni a Fiume dal cognato Francesco Barbo, allora capitano imperiale della città, compì un ulteriore viaggio a Salonicco e dedicò tutto se stesso alla propaganda clandestina. Nel maggio 1567, dopo un nuovo rientro a Cherso, partì alla volta della Moravia, portandosi dietro il figlio Matteo Patrizi, il quale non fece più ritorno in patria. Giangiorgio, dal canto suo, volle invece rientrare a Cherso, probabilmente per convincere la moglie a seguirlo in Moravia con i figli piccoli e per convincere anche altri amici. Tale scelta gli fu fatale, facendolo cadere definitivamente nelle maglie dell'Inquisizione veneziana, che, arrestatolo, lo fece annegare nella laguna nel 1570.

Bibliografia

  • Domenico Caccamo, Eretici italiani in Moravia, Polonia, Transilvania (1558-1611). Studi e documenti, Sansoni, Firenze-Chicago 1970.
  • Martin Rothkegel, Patrizi, Gian Giorgio, in DBI, vol. 81 (2014).
  • Aldo Stella, Dall’anabattismo al socinianesimo nel Cinquecento veneto, Liviana, Padova 1967.
  • Aldo Stella, Anabattismo e antitrinitarismo in Italia nel XVI secolo, Liviana, Padova 1969.
  • Aldo Stella, Dall’anabattismo veneto al “Sozialevangelismus” dei fratelli hutteriti e all’illuminismo religioso sociniano, Herder, Roma 1996.

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Article written by Daniele Santarelli | Ereticopedia.org © 2013-2017

et tamen e summo, quasi fulmen, deicit ictos
invidia inter dum contemptim in Tartara taetra
invidia quoniam ceu fulmine summa vaporant
plerumque et quae sunt aliis magis edita cumque

[Lucretius, "De rerum natura", lib. V]

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