Ochino, Bernardino

Dizionario di eretici, dissidenti e inquisitori nel mondo mediterraneo
Edizioni CLORI | Firenze | ISBN 978-8894241600 | DOI 10.5281/zenodo.1309444


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Bernardino Tommassini, detto Ochino (Siena, 1487 - Austerlitz?, 1564/1565) è stato un teologo e predicatore, vicario generale dell'ordine dei cappuccini, perseguitato dall'Inquisizione romana, esule religionis causa.

Biografia

Nacque a Siena nel 1487 dal barbiere Domenico Tommasini. La famiglia risiedeva probabilmente nella contrada dell’Oca, da cui il soprannome Ochino con il quale divenne celebre, e che permette di distinguerlo dal santo concittadino omonimo, il francescano osservante Bernardino degli Albizzeschi, vissuto nel secolo precedente. Altre versioni meno accreditate fanno derivare il soprannome Ochino alternativamente dai piccoli occhi, dal bell’aspetto o dal tono della voce, che ricordava il verso di un’oca.
Le notizie sul primo periodo della sua vita sono scarse e frammentarie: forse fu paggio presso Pandolfo Petrucci, figura egemone nell’agitato panorama politico della Repubblica di Siena a cavallo di XV e XVI secolo. Petrucci nutriva una particolare devozione per san Bernardino da Siena e per i frati minori osservanti, il cui convento detto della Capriola contribuì ad ampliare. Proprio in tale luogo il giovane Ochino fece il suo ingresso intorno al 1503, assumendo in religione il nome di Bernardino in omaggio all’insigne predecessore. I primi anni di noviziato tra i francescani dovettero essere particolarmente inquieti, se come attestano diverse fonti Ochino uscì almeno due volte dall’ordine, prima di farvi rientro stabilmente e di intraprendere con maggiore motivazione la vita religiosa. È possibile che durante uno di questi allontanamenti volontari dal chiostro abbia studiato medicina a Perugia, dove forse conobbe Giulio de’ Medici, il futuro papa Clemente VII.
Ripreso il saio e ottenuto il favore del vicario Bernardino Tolomei, nella prima metà degli anni ’20 svolse un ruolo preminente all’interno della neo-costituita provincia senese, della quale assunse la guida nel 1523, difendendone l’autonomia dai tentativi dei fiorentini di riportarla sotto il proprio controllo. Negli anni seguenti, la sua ascesa nelle gerarchie osservanti proseguì come mostrano le prime testimonianze riguardanti l’attività di predicatore itinerante e, soprattutto, gli incarichi ricevuti nel 1530-1532 dal commissario generale cismontano, Paolo Pisotti, il quale lo inviò in Veneto per dirimere alcune controversie sorte tra i frati dell’importante provincia, cui facevano capo le città di Padova, Venezia e Verona. Qui forse predicò nel 1530 ed ebbe modo di incontrare il vescovo Gian Matteo Giberti il quale, lasciata la curia papale in seguito al sacco di Roma del 1527, aveva avviato nella propria diocesi un programma di riforma della vita religiosa incardinato sui principi chiave del cosiddetto evangelismo (predicazione e studio della Scrittura, moralizzazione del clero, semplificazione della liturgia, alfabetizzazione religiosa dei fedeli). Nel decennio seguente Giberti sarebbe diventato uno dei principali amici e referenti di Ochino. Risale alle missioni in Veneto anche il primo incontro del frate con una figura che, invece, si sarebbe distinta tra i suoi più acerrimi detrattori: si tratta del fondatore dell’ordine dei teatini, poi cardinale, inquisitore e infine pontefice Gian Pietro Carafa, di orientamento più conservatore, anch’egli allora incaricato – da Clemente VII – di occuparsi dei dissidi politico-disciplinari che minavano l’unità degli osservanti veneti.
Nel 1533, in seguito alla caduta del Pisotti, Ochino ricoprì per un breve periodo – ma la notizia non è confermata dalle fonti – l’alta carica di vicario generale cismontano.
Tuttavia, in seguito alla presa di coscienza dell’estrema politicizzazione dell’Osservanza e delle gravi situazioni di immoralità in essa presenti, nel 1534 decise di lasciare l’ordine per aderire, come molti altri confratelli, alla congregazione dei cappuccini, fondata nel 1525-1528 da Matteo da Bascio e Ludovico da Fossombrone con l’intento di ricondurre i frati minori all’originaria semplicità non solo della Regola, ma dello stesso modus vivendi di Francesco d’Assisi e dei suoi primi compagni. La comparsa dei cappuccini produsse un impatto notevole nella società italiana, da tempo percorsa da tensioni apocalittiche e attese di rigenerazione politica e religiosa, che traevano alimento dal prolungarsi delle “guerre horrende” tra Asburgo e Valois per il controllo della penisola e dalla prima diffusione delle dottrine della Riforma, tanto magisteriale (calvinismo, luteranesimo, zwinglianesimo) quanto radicale (anabattismo, antitrinitarismo, spiritualismo). L’ascetismo, l’austerità di vita e il pauperismo integralista della nuova congregazione francescana parvero a molti un provvidenziale segno di speranza, una iniziativa divinamente ispirata che avrebbe potuto favorire l’avvio di quel più ampio movimento di renovatio della società e della vita religiosa, da più parti auspicato ormai da diversi decenni. Per tali ragioni oltre che per considerazioni di natura politica, i cappuccini godettero del patronage di autorevoli figure della curia romana e dell’aristocrazia italiana, tra le quali si distinsero prima la duchessa di Camerino, Caterina Cibo, poi la marchesa di Pescara Vittoria Colonna. Le due nobildonne furono anche le principali sostenitrici di Ochino, facendone la propria guida spirituale e favorendone l’affermazione non solo all’interno dell’ordine cappuccino, di cui divenne definitore generale nel 1536, ma anche nell’ambito dell’oratoria sacra, entro il quale il frate raggiunse in breve tempo vette di popolarità paragonabili a quelle toccate alcuni decenni prima da Girolamo Savonarola. Grazie al suo eccezionale carisma e alla predicazione incentrata sull’annuncio del vangelo e sull’esortazione alla conversione interiore basata sulla fede nel “beneficio di Cristo”, morto in croce per redimere e salvare l’umanità peccatrice, tra il 1535 e il 1542 Ochino percorse più volte la penisola italiana in lungo e in largo, salendo sui pulpiti più prestigiosi e contribuendo alla diffusione di una spiritualità presto guardata con sospetto dai più severi assertori dell’ortodossia romana, in quanto fondata su principi dottrinali che potevano apparire sinistramente affini a quelli luterani. Particolarmente significative alcune tappe dell’intenso itinerario ochiniano di questi anni, in primis il quaresimale predicato a Roma nel 1535, nella chiesa di San Lorenzo in Damaso, davanti a una nutrita schiera di cardinali, prelati e influenti membri della nobiltà romana, che rimasero affascinati dalla sua predicazione al pari dell’imperatore Carlo V, il quale ebbe invece modo di ascoltarlo a Napoli, a San Giovanni Maggiore, nella quaresima seguente (1536). Fu in questa occasione che probabilmente Ochino incontrò Juan de Valdés, un agente imperiale – probabilmente più giovane del senese – il quale in quegli anni stava acquisendo fama di maestro spirituale all’interno di un circolo frequentato da diversi esponenti del movimento poi detto degli “spirituali”: tra questi Giulia Gonzaga e Marcantonio Flaminio, protagonisti dopo la morte di Valdés (1541) della pubblicazione dei suoi scritti e - insieme al cardinale Reginald Pole - dell’anonimo libretto del Beneficio di Cristo (1543), considerato dalla storiografia il manifesto della Riforma italiana.
Tra Ochino e Valdés si instaurò un rapporto di reciproca collaborazione e stima, fondato sulle comuni matrici spiritualiste dei rispettivi pensieri, derivanti nel caso di Ochino dal misticismo dei francescani “spirituali” dell’Italia centrale e nel caso di Valdés dalla frequentazione giovanile degli alumbrados spagnoli, anch’essi legati al mondo del francescanesimo radicale. Tanto Valdés quanto Ochino aderivano alla dottrina “luterana” della giustificazione per sola fede, proponendo una spiritualità che svalutava i sacramenti, il magistero della chiesa visibile e il valore delle opere esteriori ai fini della salvezza. A differenza di Lutero e degli altri teologi protestanti, tuttavia, essi esaltavano non tanto la centralità delle Sacre Scritture come fonte della rivelazione, bensì il ruolo della illuminazione e dell’ispirazione interiori, che sole potevano assicurare una corretta interpretazione della Parola e un graduale approfondimento nella comprensione dei misteri divini. A Napoli nel 1536 e 1540, ma anche a Ferrara (1537), a Firenze (1537-1538), a Lucca (1538), a Mantova (1539, 1541), a Perugia (1536, 1539), a Siena (1539-1540), a Venezia (1537-1539, 1542) e nelle molte altre città italiane ove fu chiamato a predicare, Ochino si sforzò di diffondere con cautela (“nicodemiticamente”) tali dottrine, che soltanto con il concilio di Trento (1545-1563) furono formalmente dichiarate eretiche (1547). Nonostante ciò, sin dal 1536 non mancarono sospetti e accuse di eterodossia, provenienti in particolare dagli ambienti dei teatini di Napoli e Venezia: accuse dalle quali Ochino riuscì sempre a difendersi grazie alle proprie abilità retoriche e al sostegno di potenti protettori, tra i quali esponenti delle famiglie imperiali dei Colonna e dei Gonzaga, il vescovo di Verona Giberti e influenti membri delle magistrature di alcune città dell’Italia centro-settentrionale. In questi contesti il frate fu promotore di molteplici iniziative di riforma del sistema caritativo-assistenziale tese a fronteggiare la piaga del pauperismo, e fondò nuovi conventi per i cappuccini, i quali nel 1538 lo elessero vicario generale dell’ordine, riconfermandolo nella carica nel 1541.
Ai medesimi anni risale la pubblicazione delle prime opere ochiniane: nel 1540 e nel 1542 uscirono a Venezia i Dialogi sette, la cui stesura iniziò nel 1536 e conobbe una prima versione nota come Dialogi quattro. Nel 1541, sempre a Venezia, furono stampati due volumi con le reportationes di alcune Prediche predicate a Lucca e Venezia nel 1538-39, per un totale di 15 sermoni che costituiscono l’esiguo documento testuale della celebratissima oratoria ochiniana del periodo italiano. L’ascesa del cappuccino si interruppe tuttavia inopinatamente nell’agosto 1542 quando Ochino, allora a Verona, non rispose alla convocazione del pontefice Paolo III che lo chiamava a Roma per discutere alcune questioni riguardanti il suo ordine e, temendo una incriminazione per eresia da parte del nuovo tribunale del Sant’Uffizio, decise di oltrepassare le Alpi insieme al canonico lateranense Pietro Martire Vermigli, altro insigne predicatore, rifugiandosi nella Ginevra di Giovanni Calvino.
La fuga di Ochino e di Vermigli rappresenta uno degli eventi chiave della storia della Riforma italiana. Essa non solo produsse nell’immediato un grave scandalo, gettando un’ombra di sospetto sull’ordine cappuccino e su coloro che come il Giberti avevano ospitato il senese nei mesi precedenti, ma divenne presto oggetto di una controversa memoria storiografica, alimentata dalle diverse interpretazioni che di essa diedero i diversi attori della stagione tridentina e controriformistica. Particolarmente dibattuta fu la questione dell’avallo o addirittura del supporto che alcuni membri del movimento “spirituale” furono accusati di aver fornito alla fuga del senese: dal cardinale Gasparo Contarini, che pochi giorni prima di morire avrebbe ricevuto la sua visita a Bologna, a Caterina Cibo (nella cui casa fiorentina Ochino avrebbe svestito il saio), fino al cardinale Ercole Gonzaga e ad Ascanio Colonna, incontrati a Mantova sulla via per le Alpi. Alla sorella di Ascanio, Vittoria Colonna, Ochino scrisse il 22 agosto 1542 da Firenze una famosa lettera, presto diffusa pubblicamente e diventata una sorta di manifesto della fuga. Qui e nei successivi scritti apologetici, il senese motivò il suo gesto con l’impossibilità di proseguire a fingere, a «predicar Christo mascherato in gergo» per evitare di suscitare i sospetti dei «membri d’Antechristo», vale a dire del papa e dei cosiddetti “intransigenti”, quei membri della curia romana che avversavano la politica di conciliazione dottrinale sostenuta dagli “spirituali” e intendevano affidare la riforma della Chiesa all’Inquisizione e ad un concilio inteso non come dialogo con i protestanti, ma come ridefinizione unilaterale del dogma da parte cattolica.
A Ginevra Ochino fu accolto con rispetto dal più giovane Calvino e ottenne di poter predicare nella propria lingua alla piccola comunità di italiani – in particolare lucchesi – che si erano insediati nella cittadina svizzera per ragioni commerciali o per fuggire l’incipiente persecuzione religiosa. Per questo motivo, Ochino viene ricordato come primo pastore della Chiesa italiana di Ginevra, successivamente organizzatasi in maniera più strutturata sotto la guida del marchese di Vico, Galeazzo Caracciolo, del bresciano Celso Martinengo e del senese Lattanzio Ragnoni.
Soprattutto nei primi mesi seguenti alla fuga, l’attenzione dell’ex cappuccino fu ancora rivolta all’Italia, come testimoniano i molti scritti apologetici, polemici e propagandistici redatti in volgare italiano nel 1542-1543 e destinati a una diffusione clandestina nella penisola: nell’ottobre 1542 uscirono il primo volume di Prediche ginevrine e il virulento libello antiromano intitolato Imagine di Antechristo, destinato a larga fortuna europea. Queste opere, come le seguenti, furono stampate dall’editore di origini valdesi Jean Gerard. Nel gennaio 1543 fu la volta di un Cartello di sfida al cardinale di Chieti Gian Pietro Carafa, tradotto anche in tedesco, e del secondo volume di prediche, recante il titolo di Sermones al pari degli altri tre usciti entro il 1544. Nello stesso periodo Ochino scrisse diversi altri libelli e trattatelli polemici in risposta alle lettere indirizzategli da esponenti della Chiesa romana: dal cardinale Alessandro Farnese al servita Girolamo da Lucca, dal benedettino Marco da Brescia al cistercense Basilio Lapi, dal canonico regolare Raffaele da Como al domenicano Girolamo Papino, fino al polemista Girolamo Muzio e all’umanista senese Claudio Tolomei. Contemporaneamente indirizzò due lettere di propaganda filo-riformata alla Balìa di Siena e alla Repubblica di Venezia. Nel 1545 uscì l’Expositione sopra la epistola di san Paolo alli Romani. A Ginevra, inoltre, Ochino sposò una donna lucchese dalla quale ebbe almeno cinque figli (la più nota è la primogenita, Aurelia, nata intorno al 1543).
Nell’agosto del 1545 Ochino lasciò Ginevra per motivi non precisati (forse le necessità economiche, forse le prime insofferenze nei confronti del poco tollerante sistema calvinista) e, dopo una breve sosta a Basilea, si stabilì nella città imperiale e luterana di Augusta, dove una ricca comunità di mercanti legati alle banche e alle ditte commerciali dei Fugger e dei Welser, che ben comprendevano la lingua italiana a causa dei frequenti viaggi nella penisola e in particolare a Venezia, si dimostrò entusiasta di ascoltare gli infuocati sermoni dell’ex cappuccino. Ad Augusta Ochino pubblicò l’Espositione sopra la epistola di san Paolo alli Galati e la Risposta alle false calumnie… di frate Ambrosio Catharino (1546). Vide inoltre diversi suoi scritti tradotti in tedesco, accettando di supportare dal pulpito il consiglio cittadino nella propaganda anti-imperiale attuata dalla luterana Lega di Smalcalda, cui Augusta aveva aderito. Proprio tale coinvolgimento costrinse Ochino a lasciare la città all’inizio del 1547, quando dopo un breve assedio le truppe di Carlo V entrarono ad Augusta e l’imperatore richiese la consegna del predicatore senese. La nuova rocambolesca fuga, nella quale ebbe compagno l’eterodosso mantovano Francesco Stancaro, lo condusse a Strasburgo, dove ritrovò Vermigli. Nel 1548 entrambi si rifiutarono di riconoscere il compromesso dottrinale tra cattolici e protestanti voluto da Carlo V e noto come interim di Augusta. Ciò li indusse a lasciare la città nel 1549, quando attraversarono la Manica per recarsi a Londra su invito dell’arcivescovo di Canterbury, Thomas Cranmer. In Inghilterra Ochino ricevette una prebenda e altri benefici, che gli permisero di condurre una vita agiata e di proseguire la sua attività di predicatore, entrando in contatto con diversi esponenti della corte del giovane Edoardo VI e in particolare con la principessa (e futura regina) Elisabetta, la quale tradusse in latino un Sermo de Christo del senese dedicandolo al re suo fratello. Diversi altri sermoni e scritti di Ochino furono tradotti e pubblicati in inglese, su tutti la Tragoedie or dialogue of the uniuste usurped primacie of the Bishop of Rome (1549).
Nel 1553 la restaurazione cattolica operata da Maria Tudor costrinse Ochino a lasciare la Gran Bretagna e a rientrare nel continente, rifugiandosi a Ginevra dove giunse forse il 27 ottobre, lo stesso giorno in cui venne arso sul rogo l’antitrinitario spagnolo Miguel Servet. A Ginevra Ochino ebbe modo di pubblicare un’operetta satirica destinata a notevole successo e diverse ristampe e traduzioni, gli Apologi nelli quali si scuoprano li abusi, sciocheze, superstitioni, errori, idolatrie et impietà della sinagoga del Papa, et spetialmente de suoi preti, monaci et frati (1554). Il clima di montante intolleranza e di chiusura dogmatico-confessionale che si respirava ormai nella città di Calvino non si confaceva tuttavia allo spirito e al pensiero teologico dell’anziano ex-cappuccino, inclini al radicalismo scettico e al latitudinarismo. Ochino lasciò così nuovamente Ginevra per stabilirsi a Basilea, la città dove risiedevano i suoi amici Sebastiano Castellione e Celio Secondo Curione, tra i principali critici del confessionalismo e del rigido predestinazionismo calvinista, cui opponevano una strenua difesa teorica della libertà religiosa fondata sull’affermazione del legittimo esercizio del dubbio nelle materie non fondamentali (i cosiddetti adiafora) e sulla negazione dell’uso della violenza per reprimere le opinioni dissenzienti. A Basilea Ochino fu raggiunto nel 1555 dall’invito di Lelio Sozzini e altri delegati inviati da Zurigo, i quali gli proposero di assumere la guida pastorale della comunità di esuli locarnesi di lingua italiana recentemente insediatisi nella città di Bullinger.
Il predicatore accettò e si trasferì a Zurigo, dove nel 1556 diede alle stampe il Dialogo del Purgatorio e la Syncerae et verae doctrinae de Coena Domini defensio, un’opera in cui, seppur non così convintamente, assunse una posizione filo-zwingliana nella disputa eucaristica che contrapponeva i luterani ai riformati svizzeri. Anche a Zurigo lo spiritualismo adogmatico e aconfessionale che connotava il suo pensiero rese infine Ochino persona scomoda e invisa alle autorità. Le tre opere date alle stampe nel 1561 (la Disputa intorno alla presenza del corpo di Giesù Christo nel sacramento della Cena, il Catechismo o vero Institutione christiana e le Prediche nomate Labirinti del libero o ver servo arbitrio, queste ultime diffuse in Italia anche grazie a falsi titoli e frontespizi) testimoniano il progressivo allontanamento del senese dalle ortodossie riformate, un percorso che trovò il suo definitivo compimento con la pubblicazione a Basilea, nel 1563, dei Dialogi XXX. In quest’opera complessa, criptica e di difficile interpretazione, Ochino fu strumentalmente accusato di aver espresso posizioni antitrinitarie e di aver sostenuto la poligamia. Con tali motivazioni, il Consiglio di Zurigo lo espulse dalla città, costringendolo, ormai vedovo (la moglie era morta nel 1562) e ultrasettantenne, all’ennesimo esilio.
Dopo un nuovo breve passaggio per Basilea, trovò rifugio per la stagione invernale a Norimberga, dove scrisse un Dialogo autoapologetico rimasto manoscritto prima di proseguire il proprio cammino per la Polonia. A Cracovia ricevette inizialmente una benevola accoglienza e gli venne concesso di predicare agli esuli italiani, ma quando alla metà del 1564 il re Sigismondo II decretò l’espulsione di tutti gli stranieri non cattolici, Ochino fu costretto a fuggire nuovamente verso Pinczòw, dove perse tre figli per la peste, giugendo infine in Moravia. Si fermò nei pressi di Slavkov (l’odierna Austerlitz), dove trovò rifugio presso l’abitazione del medico veneziano Niccolò Paruta, autorevole esponente del movimento antitrinitario. Qui si spense, condannato come eretico da tutte le chiese istituzionali e annoverato da anabattisti, sociniani e radicali tra i precursori della moderna libertà religiosa, tra la fine del 1564 e i primi mesi del 1565.

Opere

Un catalogo ragionato degli scritti ochiniani si trova in Benedetto Nicolini, Il pensiero di Bernardino Ochino, Ricciardi, Napoli 1939, pp. 95-110.
Edizioni moderne: «Dialogi sette» e altri scritti del tempo della fuga, a cura di Ugo Rozzo, Claudiana, Torino 1985; Prediche (Venezia 1541), in I frati cappuccini. Documenti e testimonianze del primo secolo, a cura di Costanzo Cargnoni, 5 voll., Perugia 1988-1993, III/1, pp. 2115-2306; Patterns of Perfection. Seven Sermons preached in Patria by Bernardino Ochino, ed by P. McNair, Anastasia Press, Cambridge 1999; Laberinti del Libero Arbitrio, a cura di Marco Bracali, Olschki, Firenze 2004; Apologi, a cura di Franco Pierno, Vecchiarelli, Manziana 2013.

Bibliografia

Due sono gli studi monografici di riferimento sulla vita di Ochino. Si tratta di Karl Benrath, Bernardino Ochino von Siena…, Schwetschke, Braunschweig 18922 e Roland H. Bainton, Bernardino Ochino esule e riformatore italiano del Cinquecento 1487-1563, Sansoni, Firenze 1940. Importanti integrazioni ad essi sono state apportate dagli studi di Delio Cantimori (Eretici italiani del Cinquecento. Ricerche storiche, Sansoni, Firenze 1939, ad ind.) e Benedetto Nicolini, tra i quali segnaliamo Bernardino Ochino e la Riforma in Italia, Ricciardi, Napoli 1935; Il pensiero di Bernardino Ochino, Ricciardi, Napoli 1939 e i saggi raccolti nei due volumi di Studi cinquecenteschi, Tamari, Bologna 1968-1974.
Un’esauriente raccolta bibliografica, comprendente titoli di studi su Ochino pubblicati fino all’anno 2000, si trova sub voce in John Tedeschi, The Italian Reformation of the Sixteenth Century… A Bibliography of the Secondary Literature (Ca. 1750-1997), Panini, Modena 2000, pp. 361-378.
Tra i contributi più recenti, si vedano Marco Bracali, Aspetti «radicali» del dibattito eucaristico nel ’500: Castellione e Ochino, in "Rivista di Storia della Filosofia", LV, 2000, pp. 565-586; Miguel Gotor, Tradizione inquisitoriale e memoria eterodossa: un cartello di sfida di Bernardino Ochino al cardinale Carafa (1543-1628), in "Archivio Italiano di Storia della Pietà", XII, 2000, pp. 89-142; Adriano Prosperi, Girolamo Papino e Bernardino Ochino, in L’Aquila bianca. Studi di storia estense per Luciano Chiappini, a cura di Antonio Samaritani e Ranieri Varese, Corbo, Ferrara 2000, pp. 283-306, e in Id., L’Inquisizione romana, Edizioni di Storia e Letteratura, Roma 2003, pp. 99-123; Giovanni Bardazzi, Le rime spirituali di Vittoria Colonna e Bernardino Ochino, in "Italique", IV, 2001, pp. 61-101; Luca D’Ascia, «Prisca dicendi libertas»… A proposito di Celio Secondo Curione e Bernardino Ochino, in Il sapere delle parole, a cura di Walter Geerts, ‎Annick Paternoster, ‎Franco Pignatti, Bulzoni, Roma 2001, pp. 69-77; Massimo Firpo, «Boni christiani merito vocantur haeretici». Bernardino Ochino e la tolleranza, in La formazione storica della alterità. Studi di storia della tolleranza nell'età moderna offerti a Antonio Rotondò, a cura di Henry Mechoulan, vol. I, Olschki, Firenze 2001, pp. 161-244, ripubblicato anche in Massimo Firpo, «Disputar di cose pertinente alla fede», Unicopli, Milano 2003, pp. 247-320; Barbara Sher Tinsley, Pierre Bayle’s Reformation, Susquehanna University Press, Cranbury-London-Missisauge 2001, ad ind.; Massimo Sturiale, I Sermons di Anne Cooke. Versione “riformata” delle Prediche di Bernardino Ochino, Università degli Studi, Catania 2003; Mark Taplin, The Italian Reformers and the Zurich Church, c. 1540-1620, Ashgate, Aldershot 2003, ad ind.; Anne Overell, Bernardino Ochino’s Books and English Religious Opinion: 1547-80, in "Studies in Church History", XXXVIII, 2004, pp. 210-211; Franco Pierno, Un capitolo minore della narrativa cinquecentesca: gli “Apologi” di Bernardino Ochino (Ginevra, 1554). Appunti in vista di un’edizione, in Percorsi incrociati, Insula, Leonforte (Enna) 2004, pp. 33-45, riveduto e corretto in "Cahiers d’études italiennes", VI, 2007, pp. 193-207; Luca Baschera, Predestinazione, libertà e reprobatio in Bernardino Ochino e Pietro Martire Vermigli, in "Bollettino della Società di Studi Valdesi", CXCVII, 2005, pp. 3-22; Miguel Gotor, «Un paradosso ombreggiato da oscuro enigma»: il mito delle origini e Bernardino Ochino nella storiografia cappuccina…, in Nunc alia tempora, alii mores…, a cura di Massimo Firpo, Olschki, Firenze 2005, pp. 211-231; Giorgio Caravale, Sulle tracce dell’eresia. Ambrogio Catarino Politi (1484-1553), Olschki, Firenze 2007, ad ind.; Gian Albino Ravalli Modoni, Edizioni religiose zoppiniane di Martin Lutero e di Bernardino Ochino, in Il bibliotecario inattuale. Miscellanea di studi di amici per Giorgio Emanuele Ferrari bibliotecario e bibliografo marciano, a cura di Stefania Rossi Minutelli, vol. II, Nova Charta, Padova 2007, pp. 215-230; Michele Camaioni, Note su due episodi del periodo italiano di Bernardino Ochino, in "Bullettino senese di storia patria", CXVI, 2009, pp. 120-148; Stefania Biagetti, Bernardino Ochino (1487-1564): nicodemita, eretico, esule, in Identità di confine, a c. di Irene Kajon, Lithos, Roma 2010, pp. 65-89; Miguel Gotor, Ochino Bernardino, in DSI, vol. 2, Pisa 2010, pp. 1129-1131; Paul Hanbridge, A Scurrilous letter to Pope Paul III…, online su CAPDOX, 2010; Miguel Gotor, Un best-seller maledetto, un uomo in fuga: il Beneficio di Cristo e Bernardino Ochino, in Atlante della letteratura italiana, vol. II, a cura di Sergio Luzzatto e Gabriele Pedullà, Einaudi, Torino 2011, pp. 65-69; Maria Galli Stampino, Centrality and liminality in Bernardino Ochino’s “Sermon… of St. Mary Magdalen”, in In Dialogue with the Other Voice in Sixteenth-Century Italy: Literary and Social Contexts for Women’s Writing, a cura di Julie D. Campbell e Maria Galli Stampino, Iter Inc.-Centre for Reformation and Renaissance Studies, Toronto 2011, pp. 325-348; «Se prima non reggi e drizzi te stesso, non amerai, né edificherai mai il prossimo tuo»: la predicazione di Bernardino Ochino a Lucca nel 1538, in "Actum Luce", XL, 2011, nn. 1-2, pp. 77-99; Michele Camaioni, Libero Spirito e genesi cappuccina…, in "Archivio Italiano di Storia della Pietà", XXIV, 2012, pp. 285-353; Miguel Gotor, Bernardino Ochino, in Fratelli d’Italia. Riformatori italiani nel Cinquecento, a cura di Mario Biagioni, Matteo Duni, Lucia Felici, Torino 2012, pp. 95-100; Id., Ochino, Bernardino, in DBI, vol. 79 (2013); Michele Camaioni, Nel segno di Bernardino Ochino. Note su Bainton, Cantimori e Benedetto Nicolini, in "Annali dell'Istituto Italiano di Studi Storici", XXVII, 2013, pp. 743-832; Id., Riforma cappuccina e riforma urbana. Esiti politici della predicazione italiana di Bernardino Ochino, in "Rivista di Storia della Chiesa in Italia", LXVII, 2013, pp. 55-98; Id., Capuchin Reform, Religious Dissent and Political Issues in Bernardino Ochino’s Preaching in and towards Italy (1535-1545), in Religious orders and religious identity formation… (1400-1600), ed by B. Roest and J. Uphoff, Brill, Leiden 2015, pp. 214-234; Id., “Non c’è altra vera religione che quella di Christo”. Bernardino Ochino e il francescanesimo radicale di fronte alla Riforma, in "Studi Francescani", 112, 2015, pp. 441-510; Id., L’eredità di Bernardino Ochino. Predicazione eterodossa ed eresia tra i cappuccini dopo il 1542, in Ripensare la Riforma protestante. Nuove prospettive degli studi italiani, a cura di Lucia Felici, Claudiana, Torino 2015, pp. 73-94.

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Article written by Michele Camaioni | Ereticopedia.org © 2016

et tamen e summo, quasi fulmen, deicit ictos
invidia inter dum contemptim in Tartara taetra
invidia quoniam ceu fulmine summa vaporant
plerumque et quae sunt aliis magis edita cumque

[Lucretius, "De rerum natura", lib. V]

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