Dizionario di eretici, dissidenti e inquisitori nel mondo mediterraneo
Edizioni CLORI | Firenze | ISBN 978-8894241600 | DOI 10.5281/zenodo.1309444
Alcune missive inviate a vari destinatari dal duca di Milano, Giangaleazzo Maria Sforza, tramite il suo segretario Bartolomeo Calco, tra il mese di maggio e il mese di giugno 1489, divengono la narrazione della vicenda del frate domenicano Nicolò de Gambarana.
Nella prima lettera, datata 16 maggio 1489 e indirizzata al commissario di Domodossola, il duca dice di essere stato informato, dal nunzio apostolico Giacomo da Volterra, della presenza nel proprio dominio del frate domenicano Nicolò dei nobili di Gambarana il quale, fingendosi portatore di bolle papali, in realtà false, e subdelegato del preposito perugino Giovanni Giacomo de Bellantis, per altro inesistente, percorre le terre del ducato, soprattutto il territorio novarese, ingannando le persone. Dispensa dai voti, celebra matrimoni, assolve dal peccato di usura e riconcilia le anime con Dio grazie ai meriti. Tutto ciò in cambio di denaro. Della qual cosa il duca si dice molto preoccupato e, volendo catturare il frate al più presto, ordina al commissario di impegnarsi in tutti i modi per sapere se il Gambarana o suoi complici stiano operando nella sua giurisdizione e, nel caso, di imprigionare lui e i compagni presenti, di sequestrare i loro beni, infine di comunicare quanto compiuto al nunzio Giacomo da Volterra. E, poiché non vuole che la cattura fallisca, il duca dice che scriverà identico messaggio al podestà di Varallo, con cui il commissario di Domodossola deve collaborare in modo che l’uno o l’altro possa mettere le mani sul frate. Aggiunge addirittura che potrà essere catturato anche in altra giurisdizione, poiché il commissario avrà da lui pieni poteri di azione al di fuori del suo territorio, se fosse necessario.
Quasi identico contenuto ha la missiva del 18 maggio 1489, sempre rivolta al commissario di Domodossola. Informato dell’arrivo del frate nel territorio e della indulgenza che egli vorrebbe lì disporre a scopo di lucro, sempre con titoli falsi, il duca ordina al commissario di prenderlo prigioniero, sequestrando e tenendo presso di sé tutta la roba e i denari che il domenicano abbia. L’ordine deve essere tenuto segreto finché non avverrà la cattura e poi il commissario dovrà disporre del Gambarana e dei suoi beni secondo quanto gli sarà indicato dal nunzio Giacomo da Volterra, il quale ha ricevuto dal pontefice l’ordine preciso di punire simili truffatori senza alcuna trascuratezza.
La richiesta a Roma di una vera indulgenza per il bene della chiesa locale, al posto di quella falsa del frate domenicano, è promessa dal duca al commissario di Domodossola nella missiva del 19 maggio 1489. C’è la speranza di ottenerla presto e così deve far intendere il destinatario a chi è opportuno sappia.
Nello stesso giorno, sempre tramite il segretario Bartolomeo Calco, il duca comunica al podestà di Arona che gli scriverà il nunzio apostolico Giacomo da Volterra circa la necessità di un suo intervento riguardo i falsificatori di bolle e i loro beni. Ogni ordine dell’ambasciatore dovrà essere eseguito dal podestà come fosse dato dal duca.
Sempre il 19 maggio 1489 viene inviata una missiva ad Arasmino de Invorio, vicario e luogotenente della Valsesia, in risposta alla sua del 17 maggio, in cui il duca appare consapevole della prontezza con la quale il destinatario ha catturato il frate domenicano. Si annuncia che arriveranno dei messi per condurre il Gambarana a giudizio presso l’ambasciatore apostolico. Arasmino dovrà consegnare loro il prigioniero e fornire tutte le persone necessarie per un trasferimento sicuro. Le spese sostenute potranno essere pagate con il denaro sequestrato al domenicano, mentre il denaro restante dovrà essere consegnato ai messi del nunzio. Nel caso non ci fossero i denari del truffatore sarà Giacomo da Volterra a provvedere a tutto, in modo che gli uomini impiegati nel trasporto non perdano il salario.
L’ordine, dato ad Arasmino dal duca, al 25 maggio 1489 non è ancora stato eseguito e allora il vicario è richiesto di condurre il prigioniero in tutta sicurezza, per evitare fughe, ad Arona dove lo attende Giacomo da Volterra. Così testimonia la lettera inviata in quella data.
Un nuovo destinario interviene per la missiva del 12 giugno 1489: Milano de Scarognino della Valsesia, senza indicazione di eventuale ruolo o funzione. Il duca giudica onesta la richiesta degli abitanti della valle di utilizzare il denaro loro sottratto da Nicolò Gambarana per la costruzione, appena iniziata in quei luoghi, dell’edificio destinato ai Frati Minori. Ordina a Milano, che di quel denaro è il custode, di consegnarlo ai responsabili della fabbrica. Dovranno però essere tolte 26 lire di denari imperiali che saranno consegnate a Giacomo da Volterra per le spese di detenzione del frate. Tale è l’ammontare notificato dal pontefice.
Così si compie il destino del nobile Nicolò dei conti di Gambarana, frate domenicano e truffatore itinerante tra la Val d’Ossola e la Valsesia. Non ne conosciamo la punizione.
Il “monastero” dei Frati minori che compare nella lettera del 12 giugno 1489 è probabilmente da collegare alla imponente costruzione della Nuova Gerusalemme, cioè il Sacro Monte di Varallo Sesia, concepita dal frate francescano Bernardino Caimi qualche anno prima dei fatti qui narrati. Nell’anno 1491 diversi edifici del complesso architettonico sono già completati e il convento dei Frati Minori potrebbe essere uno di questi.
E ora alcune osservazioni finali che vogliono stimolare una lettura disincantata della vicenda: le missive, con le loro date molto ravvicinate, mostrano come fosse frenetica, concitata, quasi caotica l’attività investigativa nelle valli del novarese al punto che Nicolò de Gambarana viene catturato il 17 maggio da Arasmino, vicario della Valsesia e il 18 maggio parte da Vigevano una lettera per il commissario di Domodossola in cui si ribadisce l’ordine di catturare il frate ; poi però tutto sembra rallentare e il 25 maggio Arasmino non ha ancora consegnato al nunzio apostolico il prigioniero e il denaro sequestrato, nonostante gli ordini ricevuti; il 12 giugno il denaro sottratto dal domenicano ai fedeli è lasciato, tolte le spese certificate della detenzione, alla comunità derubata, presso cui già si trova, per la fabbrica di un edificio religioso della Valsesia, mentre solo il Gambarana è stato consegnato a Giacomo da Volterra ad Arona.
Fonti archivistiche
Article written by Ezio Barbieri & Maria Carla Maggi | Ereticopedia.org © 2020
et tamen e summo, quasi fulmen, deicit ictos
invidia inter dum contemptim in Tartara taetra
invidia quoniam ceu fulmine summa vaporant
plerumque et quae sunt aliis magis edita cumque
[Lucretius, "De rerum natura", lib. V]