Dizionario di eretici, dissidenti e inquisitori nel mondo mediterraneo
Edizioni CLORI | Firenze | ISBN 978-8894241600 | DOI 10.5281/zenodo.1309444
Marta Fiascaris è stata una donna friulana perseguitata dall'Inquisizione per simulazione di santità.
Biografia
Era nata a San Daniele del Friuli nel 1610. Non molto si sa della sua famiglia, che da parte di madre sarebbe stata di origine ebraica, ma è molto interessante una informazione che rimanda all’esistenza di un suo zio fattosi cappuccino, ordine che si mostrerà favorevole al movimento creato da lei. Intorno al 1631 si era formato a San Daniele un gruppo di devote, sotto la guida del parroco Geronimo Bettina, e la giovane Marta ne faceva parte. Con la compagna Giacomina Clara si mostrava particolarmente modesta e devota. Veniva praticata l’orazione mentale ed una frequentazione quotidiana ai sacramenti, in un legame quindi strettissimo con il direttore spirituale. Marta aggiungeva a ciò la fama crescente di certe sue visioni, registrate devotamente dal parroco, evidentemente coinvolto dal suo ruolo di custode di una santa. Di lei si parlava ovunque nei territori vicini, come anni dopo si vedrà dalle devote raccolte fino a Trieste. Le sue visioni attiravano e così pure quanto andava preannunciando, ovvero di voler fondare una nuova famiglia religiosa e di essere destinata a diffondere i messaggi trasmessi direttamente da Dio. Non fu facile anche negli anni seguenti condurre l’inchiesta contro di lei, entrando in gioco sia i conflitti latenti tra gesuiti, domenicani, cappuccini e minori conventuali, sia la tensione tra l’inquisitore, fra Ludovico da Gualdo, e il patriarca, ognuno preoccupato di difendere le proprie competenze giurisdizionali.
L’inquisitore si mostrava deciso a perseguire la donna e sospettava anche la madre di lei di voler sfruttare la fama della figlia, cui si attribuivano pure dei miracoli, per aiutarsi economicamente, essendo povera. Furono sequestrate molte carte, tanto che il processo si impone anche fisicamente per la mole della documentazione pervenutaci. Le tensioni tra gli ordini minacciavano di far dilatare le proporzioni stesse dell’inchiesta, in un momento assai delicato a livello generale. I consultori domenicani intervennero così per trovare una soluzione meno problematica e riuscirono a convincere il curato e Marta di essere caduti in errore e della necessità di rendersi al tribunale come sponte comparentes. Così avvenne a San Daniele, il 12 gennaio 1639, per ambedue gli imputati. Si poté farle confessare di aver creduto e insegnato che gli infanti morti senza battesimo non erano perduti, ma salvi grazie alla misericordia di Dio che li avrebbe fatti battezzare da Giovanni Battista dopo il giudizio universale. Dio era tutto amore e giudicava negli uomini le sole colpe personali. Il 14 gennaio Fiascaris e don Giacomo Bettina vennero riconciliati con le abituali penitenze, imponendo l’abbandono delle pratiche precedenti, restando isolati e silenti. Significativamente venne chiesto a Marta di lavorare manualmente, come freno e sfogo per il cervello di quella che ai loro occhi era solo una povera donna emotivamente instabile.
Nel giugno 1649 si parlò nuovamente della Fiascaris, ancora seguita e amata. La denuncia venne questa volta dai gesuiti del collegio triestino, che si erano trovati a fronteggiare l’entusiasmo sia dei cappuccini sia delle monache del vicino monastero benedettino - unica casa religiosa femminile di quella diocesi -, e di altre donne loro collegate. Più che possibili vicinanze culturali con delle donne uscite da famiglie ebraiche, quello che accomunava era il senso, evidente negli scritti, di una colleganza femminile, di comuni aspirazioni ad una voce di Dio destinata anche alle donne. Non poteva istruirsi un processo inquisitoriale a Trieste e lo stesso vescovo si muoveva con difficoltà in queste situazioni nel particolare contesto della città, per cui si poterono solo raccogliere informazioni, peraltro allarmanti.
Tutta la rete pastorale cercò denunce e testimonianze, che impensierivano il tribunale, ma che testimoniavano soltanto il frutto spirituale che tanti ricavavano dalle sue ammonizioni devote. Il 25 marzo 1650 si arrivò al processo, mentre la Congregazione romana invitava a «procedere con destrezza, trattandosi d’una femina la quale, discreditata dal S. Officio, farà dileguare l’opinioni che s’hanno della santità»1.
Non si poteva accettare la sua autorevolezza, il suo sogno di costituire un nuovo ordine, il messaggio di una divinità misericordiosa, che negava la condanna di bimbi innocenti e innalzava la sua devota, Marta, nell’abbraccio della stessa divinità. Ritorna nei suoi scritti la coscienza di aver superato i limiti del suo sesso e della stessa condizione umana, partecipando non solo delle qualità della Vergine, ma addirittura di quelle di Cristo, entrando nella divinità e celebrando l’eucarestia nei cieli, facendosi anzi essa stessa eucarestia. Come altre sante ella si faceva Cristo, anzi proclamava alle sue devote che, risorgendo tre giorni dopo la morte, avrebbe mostrato che Dio concedeva anche alle donne di partecipare ad un nuovo apparire del Cristo. Tutto in lei è passione amorosa per lo sposo celeste e si fa profeta, ammonendo autorevolmente il clero a vivere in purezza e devozione, attaccando peccatori, mussulmani, eretici ed ebrei, pur vantando come un privilegio, in un unico passaggio processuale, di provenire dall’ebraismo.
Marta appare anche come una testimone di una nuova spiritualità, più vitale e misericorde. Per lei, oltre al richiamo ai santi apostoli e martiri, i santi di riferimento sono san Francesco e san Filippo Neri. Protestava più volte negli scritti di voler rispettare i superiori, ma di non poter tradire la verità: «Non è il dovere che io dichi con la lingua una cosa e nel core senti una altra… Se Idio non mi rinova uno altro core, non puoso dire in altro modo di quel che dico»2. Insisteva: «Io sono in luogo di verità e, sì come altrove non direi mai una bugia, così molto meno la voglio dir qui. È vero che se bene per me stessa sono indegnissima, con tutto ciò il grand’Iddio si è compiaciuto di fare a me honori maggiori che alla Madonna santissima. Però, si come l’honore è di chi lo fa, non di chi lo riceve, così l’honore fatto a me da Dio penso sia dell’istesso Iddio, tanto più che essendo io creatura di Dio, honorando me Iddio honora una cosa sua e così l’honore ritorna a sua divina maestà. Di più anco l’honore ch’ha fatto a me tutto il paradiso e tutte le creature ritorna all’istesso Iddio»3.
Alla fine, stremata soprattutto dallo stress nervoso, accettò di piegarsi, pur protestando. Nel 1652 infatti venne trasferita dalle carceri del castello luogotenenziale a quelle, molto più dure, del palazzo patriarcale, isolata da tutti, temendo il permanere della sua fama. Le sue fedeli vennero separate e tre abiurarono. In cella la Fiascaris continuava a piangere, ripetendo che la sua anima non voleva tradire, mentre le chiedevano di accettare qualcosa di cui non era convinta. Non voleva offendere Dio, da cui riteneva di essere stata ispirata, e si tormentava smarrita. Alle amiche triestine dava appuntamento in cielo, comunicando di essere ormai disposta a obbedire all’Inquisizione.
L’abiura, dopo alcuni problemi con il luogotenente veneto, si tenne l’8 gennaio 1653, sembra con il concorso di molti spettatori. Fu condannata a dieci anni di carcere e, ormai gravemente malata, il 2 febbraio 1656 venne trasferita nell’ospedale maggiore, da dove poi, il 27 maggio 1656, si decise di rimandarla a San Daniele.
Fonti
- AAUd (=Archivio Arcivescovile di Udine), Sant’Ufficio, Processi, b. 25 (=1302), n. 883; AAUd, Sant’Ufficio, Processi, bb. 33-35 (=1310-12), n. 82; AAUd, Sant’Ufficio, Processi, b. 38 (=1315), n. 251; AAUd, Sant’Ufficio, Miscellanea, b. 71 (=1348), c. 11v; AAUd, Epistolae S. Officii, 1614-1646, b. 60 (=1337); AAUd, Epistolae S. Officii, 1647-1659, b. 61 (=1338).
- Archivio del Capitolo di Udine, Archivio antico ospedale, Deliberazioni del Consiglio, n. 9, 1648-1666, cc. 96v-97r.
- ASVe (=Archivio di Stato di Venezia), Carte T.GAR, n.1; ASVe, Sant’Uffizio, b. 98, 3.
- Biblioteca civica “Vincenzo Joppi” di Udine, Fondo principale, ms. 785 A, Le placitationi di Marta Fiascaris di S. Daniello.
Bibliografia
- Giovanna Paolin, Fiascaris, Marta, in DSI, vol. 2, pp. 593-594.
- Marina Romanello, Inquietudini religiose e controllo sociale nel Friuli del Seicento, in Finzione e santità tra medioevo ed età moderna, a cura di Gabriella Zarri, Rosenberg & Sellier, Torino 1991, pp. 343-365.
- Giuseppe Trebbi, Il processo stracciato. Interventi veneziani di metà Seicento in materia di confessione e Sant’Ufficio, in «Atti dell’Istituto veneto di scienze, lettere ed arti», CLXI, 2002-2003, pp. 148-149.
- Dario Visintin, L'attività dell'inquisitore fra Giulio Missini in Friuli, 1645-1653: l'efficienza della normalità, EUT, Trieste 2008, pp. 217-225.
Link
- Scheda su Marta Fiascaris sul sito Symogih.org
Article written by Giovanna Paolin | Ereticopedia.org © 2014
et tamen e summo, quasi fulmen, deicit ictos
invidia inter dum contemptim in Tartara taetra
invidia quoniam ceu fulmine summa vaporant
plerumque et quae sunt aliis magis edita cumque
[Lucretius, "De rerum natura", lib. V]