Rinascimento o lungo Rinascimento

Dizionario di eretici, dissidenti e inquisitori nel mondo mediterraneo
Edizioni CLORI | Firenze | ISBN 978-8894241600 | DOI 10.5281/zenodo.1309444


Rinascimento o lungo Rinascimento: movimenti e ideologie
di Achille Olivieri

Queste pagine fanno parte di un seminario tenuto presso le Università di Padova e Verona (a. a. 1999-2000) ed in seguito rielaborato. Si è voluto mantenere l’impianto discorsivo di un seminario che doveva proporre un diverso modello di manuale. Il Rinascimento, ed alcuni aspetti dell’opera di Fernand Braudel, al cui ricordo mi unisco, dovevano essere la principale linea di svolgimento. La sua proposta avviene all’interno di un dialogo con il Rinascimento e le sue prospettive nella storia contemporanea.

Come periodo storico, come termine e quindi come concetto storiografico più generale, il Rinascimento entra nel nostro taccuino di lavoro, nel nostro modo di organizzare la storia, soprattutto la storia dell’Occidente.
Quale è oggi il significato del termine “Rinascimento”? Perché è importante affrontare un grande problema come il Rinascimento e quale è la sua presenza nella cultura contemporanea? Il termine “Rinascimento” implica quattro varianti: “Rinascimento”, “Rinascita”, “Rinascere”, “Rinnovamento/ Rivoluzione”. Quindi, il termine che usiamo riunisce tutte le altre varianti che la storia della filosofia, la storia della storiografia e la storia letteraria creano, almeno a partire dai secoli XI e XII. Per essere più precisi, si può dire che le varianti che oggi si trovano nei manuali e in alcuni testi di letteratura, hanno generalmente queste sottili, diverse suggestioni linguistiche (appunto “Renovatio”, “Rinascita”, “Rinascere”, oltre che, naturalmente, “Rinascimento”). E, affrontando la storia del Rinascimento, ci troveremo davanti questi quattro termini fondamentali. Il termine “Rinascimento” è al tempo stesso antico e moderno. Un termine, un concetto, che si oppone all’altro grande termine e concetto: “Medioevo”; parlando di Rinascimento, parliamo anche, in contrapposizione, collocandolo sullo sfondo, di Medioevo.
Del termine “Rinascimento” una prima percezione che compie la cultura, non soltanto storiografica, contemporanea, è identificare un termine solido, implicante tutto ciò che la civiltà occidentale ha creato di moderno: lo Stato, la Filosofia, le tecniche, le arti, il Pensiero, la Letteratura. Un termine che, consciamente o inconsciamente (Fernand Braudel parlerebbe della “lettura inconscia” che la cultura contemporanea compie del Rinascimento), si oppone a “Medioevo”. Quale dei due termini è più antico e, al tempo stesso, più moderno? È una contraddizione insita nei termini “Rinascimento” e “Rinascita”. Il carattere di “rinascita” compare già fra i filologi e i grammatici dei secoli XI, XII, XIII. “Medioevo” è invece concetto più recente: risale al Seicento, secolo che ne inventa definitivamente l’idea in quanto periodo storico in antitesi con l’“Età Moderna”, anche se ingloba una variante di Medioevo rinascimentale.
Quindi, non è tanto la cultura del Trecento e del Quattrocento, come generalmente si sostiene, o l’umanesimo del primo Cinquecento a codificare “Medioevo” quale concetto storiografico. I due termini, come oggi li usiamo, vengono elaborati prima del Settecento: precedentemente quindi all’opera di Jules Michelet e di Jacob Burkhardt. In queste diverse cronologie abbiamo già una prima contrapposizione dialettica fra i termini in questione. Va fatta un’altra considerazione preliminare, considerazione rievocata e rielaborata dalla storiografia contemporanea: attorno e dentro al concetto di “Rinascimento”, esiste l’idea-forza della svolta che avviene nella storia dell’Occidente, quando il Rinascimento stesso si realizza e si compie. Così il Rinascimento, come termine e come periodo, viene rappresentato in varie forme mitologiche: soprattutto dalla cultura dell’Ottocento. In “Das Kapital” (“Il Capitale”) di Karl Marx simbolo del Rinascimento è Ercole: immagine chiave per ben comprendere questo preciso termine e questa precisa identità storica e storiografica. La predilezione per l’identità Ercole-Rinascimento nasce dalla tipologia e dal messaggio che Ercole porta, in tutte le memorie e le riletture della storia dell’Occidente: egli è colui che sorregge le colonne, e lo stesso impianto del cielo, degli astri, dello Zodiaco. In tutta la grande cultura cinquecentesca, è il grande uomo-dio: più tenace dello stesso Prometeo, in quanto permette e potenzia i traffici marittimi o commerciali. Ercole tende cioè ad identificarsi con gli stessi concetti di mercatura, di traffico e, quindi, di capitale: vale a dire con la ricchezza, la ricchezza urbana in modo particolare. L’identità Ercole-Rinascimento indica già, dunque, il mito della ricchezza e della potenza; ed è il simbolo delle nuove città: le città mercantili. Il Medioevo, invece, viene mitologicamente rappresentato con Proteo, dio multiforme che annebbia la vista degli uomini. La contrapposizione dei termini e delle identità è esemplare: il dio che rappresenta il Rinascimento è Ercole; il dio del Medioevo è Proteo, figura indecifrabile, che rappresenta tutte le forme di schiavitù, anche quella feudale. Fondamentale diversità di rappresentazione mitologica che è fondamentale diversità storica. L’autore più importante che tende a rappresentare Medioevo e Rinascimento contrapposti in queste precise identità mitologiche è, lo ripetiamo, Karl Marx, nel primo volume de “Il Capitale”. Facciamo particolare riferimento alla prefazione alla I edizione, scritta da Marx il 25 luglio 1867 (Jules Michelet ha già scritto il suo volume sul Rinascimento). È un documento fondamentale, la prima grande interpretazione del Rinascimento come momento della storia economica: un Rinascimento economico, borghese, capitalistico, urbano. Marx propone un’analisi particolare, iniziando col chiedersi il significato di termini quali “capitale”, “merce”, e, quel che ci interessa di più, “classe operaia” e “schiavitù”: economica, signorile, feudale. Mitologicamente simile all’immagine di Perseo, ma di un Perseo “proteiforme”, è un Medioevo dalle molte angolature, “dai numerosi stratagemmi”. Questo Perseo/Proteo nella storia degli uomini pone sotto gli occhi la nebbia: annebbiando così la verità e impedendo quella che Marx chiama “la liberazione dai mostri”, intendendo per “mostri” le molteplici forme di schiavitù, di cui è oggetto la classe operaia. Occorre allora che Ercole svolga un enorme lavoro: e il Rinascimento, la borghesia, la storia dei comuni permetteranno di sfatare, di rompere il ruolo di Perseo/Proteo nella storia. Va sottolineato che, nella cultura dell’Ottocento e del Novecento, posteriore a Marx e soprattutto posteriore a questa data, il 1867, Medioevo e Rinascimento vengono rappresentati sotto questa duplice forma e duplice funzione: il Medioevo annebbia, crea mostri; il Rinascimento ha funzione rigeneratrice, di rinascita e rinnovamento, di forza. Ed ecco il mito di Ercole, rappresentante la forza, lo Stato, ma anche le nuove teorie economiche dei mercati e della mercatura, che nascono nei secoli XIV-XVI. Marx intuisce già il Rinascimento come “lunga durata” della storia e delle civiltà in Occidente.

Un concetto fatto proprio, in seguito, da Fernand Braudel, che nella prima parte de Il Secondo Rinascimento sviluppa il tema, fondamentale, del Rinascimento inserito nella “lunga durata” della storia occidentale. Braudel sviluppa questo concetto in tutti i dettagli e le possibili rappresentazioni. Affermare che il Rinascimento costituisce una “lunga durata” è un po’ una rivoluzione nel concepire la storia e le sue periodizzazioni: una rivoluzione nei confronti soprattutto della manualistica tradizionale che offre del Rinascimento una periodizzazione completamente sbagliata, stereotipata quasi aneddotica. La cronologia offerta è generalmente la seguente: di solito si parte con la pace di Lodi del 1454, con le prime scoperte geografiche compiute dai portoghesi in Africa fino al 1492, e queste sono fasi che solo qualche manuale, più “audace”, propone come punto di inizio. Segue il Rinascimento “vero e proprio”: le scoperte geografiche degli anni 1492-1494; la discesa di Carlo VIII in Italia; le guerre di Massimiliano I e Luigi XII. Poi, l’impero di Carlo V, apogeo del Rinascimento ma anche sua crisi, col Sacco di Roma del 1527. Carlo V abdica (1556) e poco dopo muore (1558). 1562-1563: prima guerra di religione in Francia. Con l'ascesa di Filippo II la Controriforma è già imperante. La manualistica tradizionale offre dunque una stagione brevissima del Rinascimento: dal 1454-1490, al 1555, fino alla Controriforma e a Filippo II. Dopodiché, per noi, il Rinascimento non esiste più, lo perdiamo di vista: abbiamo l'età di Filippo II, le rivoluzioni del Seicento, Cromwell, la Prima, la Seconda e la Terza Rivoluzione Inglese; e arriviamo improvvisamente alla Rivoluzione Francese e all’Illuminismo, che ripetono i concetti fondamentali della cultura rinascimentale. Ma, a livello di manuale, il Rinascimento non esiste già più. Una manualistica dunque, quella tradizionale, che offre del Rinascimento una cronologia ristretta, una visione aneddotica, limitata, fatta per segmenti di narrazione. Ce lo presenta anche come un periodo lontano della storia dell’Occidente. È il momento della nuova concezione dello Stato – lo Stato nazionale –, delle nuove economie e della rivoluzione dei prezzi, dei nuovi imperi, delle grandi capitali dell’arte e dell’architettura (Roma, Firenze, Venezia, Parigi, Londra). E c’è un pizzico di eresia: gli eretici italiani, Lutero e la Riforma. La Riforma è Rinascimento o non è più Rinascimento? Questo il manuale non ce lo dice. E allora cerchiamo di capire perché questa visione manualistica, aneddotica, ristretta e lontana del Rinascimento circondi ancora i nostri lavori e il nostro modo di concepirne la storia. Come si può rimetterla in discussione? Partendo dall’utilizzazione del concetto di “lunga durata del Rinascimento”, dobbiamo come primo approccio, rovesciarne tutto il metodo di periodizzazione. Nasce una prima proposta di lavoro, da parte di un gruppo di storici dell’economia e storici della cultura che si avvalgono di due grandi rappresentanti: Fernand Braudel per la storiografia francese, Armando Sapori per la storiografia italiana. Questi due intellettuali non restano fermi alla visione manualistica del Rinascimento, proponendone una cronologia diversissima: quella che chiamano la “cronologia della lunga durata”. Per loro il Rinascimento nasce tra l’XI e il XII secolo, e in parte, per quanto riguarda la storia dell’Occidente, non si chiude più. Creano due cronologie interdipendenti: una prima scorre dai secoli XI-XII al Settecento; la seconda cerca di superare lo stesso sbarramento del Settecento per vedere il Rinascimento come un concetto progressivo della storia in Europa. Vedremo quindi nello stesso Risorgimento, nello stesso Novecento, delle varianti di questo “lungo Rinascimento”. Di contro, tendono a restringere l’area della periodizzazione del Medioevo, confinato nella cronologia che separa la caduta dell’Impero Romano d’Occidente dal XI secolo. Quando i due intellettuali elaborano queste proposte? Braudel negli anni Settanta, a partire da un contributo nella Storia d'Italia Einaudi. Armando Sapori nel 1964 pubblica l'articolo “Medioevo e Rinascimento: proposta di una nuova periodizzazione". È un articolo fondamentale, che andrebbe letto ponendolo a raffronto con Il Secondo Rinascimento di Braudel. Sono due lavori interdipendenti. Braudel tenderebbe a superare lo stesso Sapori, e a collocare l’inizio del Rinascimento proprio nell’anno mille, quando si avrebbe la vera grande svolta che apre la storia del Rinascimento, o dei Rinascimenti, in Europa. Due proposte dunque, che tendono a fare “tabula rasa” di tutta la cronologia, le periodizzazioni, la manualistica precedenti. Ma Braudel e Sapori, in fondo, non inventano sostanzialmente nulla. Montesquieu, infatti, nelle sue Lettere Persiane, mostrava un’analoga tendenza: annullare ogni periodizzazione, attorno ad un’unica unità storica dell’Europa; vale a dire, attorno ai concetti di “Rinascimento”, “Rinascimenti”, “Rinascite”. Quali sono le motivazioni che portano alla definitiva rottura di tutti gli schemi (storia dei comuni, storia del Feudalesimo, storia della signoria), e alla riunione di tutto sotto gli unici concetti di “Rinascimento” e “Rinascita?” Per Sapori il discorso è molto complesso; per Braudel, almeno in apparenza, estremamente semplice. Secondo lo storico francese, il Rinascimento è la storia delle città. E se sono le città a formare e costruire il Rinascimento occorre spostare il nostro punto di osservazione all’interno stesso della loro storia. E quando, in Occidente, le città si consolidano, si incrementano, si espandono? Proprio attorno all’anno mille e nei secoli XI e XII. Braudel dà particolare importanza a problemi economici quali la formazione delle banche e dei traffici, riservando di conseguenza minore attenzione a tipologie che noi siamo più abituati ad usare per definire questi secoli: come per esempio la feudalità. È un tentativo di rovesciamento dell’impianto tradizionale della storia: occorre mettere l’accento sugli elementi innovatori, non su quelli strettamente feudali o strettamente ecclesiastici. E vedremo se questa interpretazione potrà essere utilizzata anche nell’ambito della storia religiosa. Ad ogni modo, quello che è importante capire è il nuovo punto di vista propugnato dai due storici, il loro rovesciamento radicale, il loro diverso punto di partenza: le città, le piccole e le grandi corti; i traffici e i mercanti; la cultura dei grammatici e degli umanisti, fino a Francesco Petrarca e Giovanni Boccaccio. Per quale motivo poi, si tenta di convogliare tutto al Settecento? Perché questo secolo con la fisiocrazia, con la rivoluzione industriale inglese –per fare solo degli esempi- riguarda tutte le grandi problematiche dei secoli che lo precedono. Analogamente il concetto di Principe Illuminato, quale per esempio delinea Voltaire è, come avverte Braudel, già presente nella trattatistica dei secoli XI, XII e XIII; si trova anche nella corrispondenza dei monasteri cistercensi e benedettini (G. Duby).
L’esigenza di un Principe Illuminato, sapiente, ordinatore della città e della vita collettiva vi è fortemente sentita. Ecco quindi i motivi dell’aggancio, immediato, quasi travolgente, che viene proposto “ipso facto” col XVIII secolo. Ma un’altra considerazione, secondo Braudel, porta a questa visione di un’unitarietà di sviluppo che va dai secoli X-XII al Settecento. Durante tutto questo arco di tempo, in effetti, in Europa si discute su una stessa idea, prevalente fra molte altre: l’idea di civiltà. E l’idea di civiltà, quale compare nel Secolo dei Lumi, prosegue Braudel, ancora una volta è molto vicina ai dibattiti dei secoli X-XIII su che cosa sia civiltà. Ci troviamo quindi di fronte, afferma Braudel, non tanto a una “curva”, quanto a una “lunga durata”. Il concetto di “lunga durata” è fondamentale, e lo useremo spessissimo, anche nella forma di “lungo Rinascimento” : è un concetto chiave per capire tutta questa storiografia dedicata al Rinascimento. Infatti, si oppone al “tempo breve” della storia: una guerra, una crisi statale, una crisi economica sono generalmente, ci dice Braudel, “tempi brevi” della storia. Possiamo fare l’esempio delle guerre di religione in Francia (1562-1598), o della guerra dei Trent’Anni (1618-1648). Per Braudel, invece, i grandi concetti vanno definiti, identificati, sulle lunghe periodizzazioni, entro una durata di uno o più secoli. Ecco allora che l’idea di “lunga durata”, anche per il Rinascimento, si estende per più secoli: X secolo – Settecento. Ecco dunque che se ne capisce meglio l’opposizione ad una breve durata o ad una durata aneddotica: ad un “tempo breve” della storia. Riassumendo: “Rinascimento” è un concetto che circola continuamente nel nostro modo di pensare e nei manuali. Unendosi a “Rinascita” e “Rinnovamento”, è un concetto ambiguo: nasce la nuova vita. Idea forte, indica rinnovamento o, lo vedremo, rivoluzione. È un concetto, direbbe Braudel, molto spesso usato ma poco capito: la documentazione di questa scarsa comprensione la percepiamo nella manualistica, nel nostro modo di studiare. E lo schema della manualistica, per Braudel, va rotto: metodo di rottura è il tentativo della manualistica di periodizzare sulla “lunga durata”. E così, avremo un primo punto basilare: la storia dell’Europa dal X secolo al Settecento come un progressivo Rinascimento; non più quindi storia di un Medioevo, di un Umanesimo, di un Rinascimento, di una Controriforma. Il secondo concetto basilare è l’aggancio con l’Illuminismo, che non si scinde dalla storia precedente del Rinascimento, ma se ne unisce direttamente.

Seguendo la pista tracciata dall’opera di Fernand Braudel si può operare una prima generale delimitazione, cronologica e strutturale del Rinascimento; e proprio a partire da Braudel possiamo riorganizzere tutte le altre interpretazioni del Rinascimento, almeno quelle elaborate fra Ottocento e Novecento. L’opera di Braudel è come una sorta di cartina di tornasole e la possiamo reputare, nel quadro delle interpretazioni relative al Rinascimento, uno dei momenti più alti della storiografia del Novecento. Il lavoro di Braudel diventa fondamentale punto di partenza, e non soltanto di arrivo, per qualsiasi versante d’osservazione: storia sociale, storia delle città, storia economica, storia delle culture. Abbiamo visto che Braudel traccia la cronologia del Rinascimento distinguendola in due grandi cicli: un primo ciclo arriva a circa il 1580-1590; il secondo, che si colloca nell’Europa del Nord, arriva grosso modo alla Rivoluzione Francese ed a Napoleone. Abbiamo anche visto le motivazioni date da Braudel in merito a questa diversità di cicli. Ma soprattutto è diversa la diramazione di quelli che lui chiama gli “epicentri” della storia non solo europea ma mondiale del Rinascimento: l’Italia e il Mediterraneo prima; poi l’Europa dei Paesi Bassi, l’Europa “inglese”, l’Europa baltica (nell’area baltica Braudel colloca sia la cultura inglese, sia quella danese, norvegese e di quella piccola fascia costiera della Russia del Nord, prettamente, appunto, baltica). È necessario tenere presente nell’ambito di questa bipolarità della storia del Rinascimento secondo Braudel, quella nuova tipologia, gerarchica, delle città: tipologia che lui stesso definisce “instabile” o “provvisoria”. È quella che Braudel chiama la “gerarchia” delle città in Europa dentro la storia del Rinascimento. Accanto all’area delle città dei mari, l’area delle “città d’incrocio”. Esempi di città dei mari sono Venezia, Genova, Napoli. Nell’ambito delle città d’incrocio, fluviale e commerciale, va sottolineata l’importanza di Verona; in un secondo momento, l’importanza di Padova (riprenderemo queste varianti quando parleremo sia del Rinascimento urbano sia di Montesquieu). Ma vi sono anche quelle che, con vocabolario impreciso perché Braudel oscilla su questo punto, di volta in volta vengono definite: città bancarie, commerciali; città dell’interno; città industriali-artigianali. Forse può risultare difficile capire con precisione l’esatto spostamento che avviene, nello schema di Braudel, fra la tipologia di “città d’incrocio” e quella di città industriale-artigianale, o di città bancaria, o di città dell’interno: capire cioè esattamente la differenza di funzione, di ruolo, tra questi modelli di città. È importante focalizzare soprattutto la categoria di “città d’incrocio”. Per Braudel, vanno definite città d’incrocio prevalentemente le città site accanto ad un importante fiume, un fiume cioè che abbia la caratteristica di essere al di là dello spazio stesso della città, e non semplicemente regionale; ne è un nitido esempio Verona, e l’Adige, che comprende l’area trentina e quindi convoglia anche l’area tedesca. Per inquadrare ulteriormente il concetto di “città d’incrocio” va fatto un secondo, sottile chiarimento: bisogna considerare il loro aspetto di ricettacolo di culture diverse che si incrociano, e sono culture folkloriche, culture popolari e culture colte. Ci troviamo quindi di fronte a due varianti del modello di città di incrocio: una variante economica, con il fiume che porta le merci e dà quindi alla città una valenza mercantile-commerciale; e una variante squisitamente culturale, di una città che in sé incrocia culture folkloriche ma anche culture colte nuove. Da questo punto di vista, di crogiuolo di diverse culture, Braudel predilige, ancora, Verona: perché a suo parere, sia con la corte dei Cangrande, sia per il ruolo di città “alle porte” di Trento, Verona convoglia tutte le culture, non soltanto tedesche ma anche del Garda. Quindi, Braudel riesuma e rielabora tutto il grande spazio lagunare del Lago di Garda: e storiograficamente, soprattutto, afferma Braudel, nella storia dei Rinascimenti le funzioni dei laghi non vengono quasi mai tenute presenti. E allora il Lago di Garda andrà visto come uno spazio tra folklore e Rinascimento, attorno alla corte di Verona, alla corte di Cangrande della Scala.

Si potrebbe aggiungere una terza tipologia per definire meglio le “città d’incrocio”: l’importanza della cultura religiosa. Braudel, nel suo schema di gerarchizzazione delle città e del loro nesso con il Rinascimento, non tiene sufficientemente conto della funzione religiosa che di volta in volta vengono ad assumere. Non ci riferiamo, si badi bene, soltanto agli ordini mendicanti, ai Francescani nella fattispecie (Verona è un grande centro di passaggio delle culture francescane); quello che per noi, per lo studio del Rinascimento, è importante puntualizzare, è che Verona diviene il punto di scambio con il mondo tedesco della Riforma, luterana e protestante in genere. Quindi, il ruolo che questa città assume nel Cinquecento non è semplicemente commerciale, o come lo definisce Braudel, di “crogiuolo” di culture folkloriche e culture rinascimentali. Verona ha anche un importantissimo ruolo di filtro, di scambio, con il nord Europa, relativamente alla Riforma protestante: Luteranesimo, Calvinismo, correnti zwingliane e, in parte, Socinianesimo. Tutta l’eresia, veneziana, vicentina, fiorentina, passa attraverso questo particolare fiume, l’Adige, verso il nord o dal nord proveniente. Abbiamo accennato al Socinianesimo: movimento nato grosso modo dopo il 1560 dalle ideologie di Lelio e Fausto Sozzini, si diffonde particolarmente a partire dal decennio 1580-1590, entrando a far parte, direbbe Braudel, di un “secondo Rinascimento” riformato ed ereticale. Tipica forma di eterodossia italiana, lo troviamo a Bologna, Siena, Pisa, Firenze, Padova: ma la sua diffusione assume ben presto portata europea. Due grandi direttrici: da una parte l’area olandese; dall’altra, l’area che passa appunto attraverso il Tirolo e la Germania, per poi deviare ad Oriente, verso l’Ungheria e la Polonia. Questa linea di diffusione, attraverso l’itinerario trentino, tirolese e tedesco, è importantissima: soprattutto se confrontata con quelle che sono le linee di espansione della Riforma calvinista. Questa, infatti, alla via del Lago di Garda, dell’Adige di Verona, preferisce la grande via milanese e dei laghi del nord: ha quindi non soltanto una diversa geografia di scorrimento, ma anche un’altra tendenza ambientale, culturale, religiosa. Naturalmente il principe calvinista prediligerà Ginevra; il Sociniano, che ama la via della Germania, avrà come punto di arrivo la grande corte polacca di Varsavia, che va inserita nel novero delle corti europee legate al Rinascimento italiano. Il Socinianesimo dunque si inserisce nella storia delle città d’incrocio, ma fa anche parte di un modello di Rinascimento a carattere razionale e riformato. Lelio e Fausto Sozzini, che danno appunto origine a questa variante della Riforma del Cinquecento in Italia, fanno parte di quel gruppo di intellettuali “riformati” o “eretici” o “eterodossi” (preferibile la definizione “eretici ed eterodossi”) dotati di una cultura ampia, mobile: quella che Braudel chiama “mobilità culturale”. Braudel parla della mobilità economica e culturale delle città: noi possiamo parlare dei Sozzini come di “biografie” di una mobilità che è invece religiosa e culturale. Negli anni 1553-1555-1560 frequentano i circoli intellettuali senesi e le università di Padova e Bologna. Inquisiti, dopo varie difficoltà, debbono darsi alla fuga. E con essi emigra il loro pensiero: quali le idee che diffondono? Parliamo di loro come di “eterodossi con una religione razionale”: un tipo di sensibilità religiosa che porta alle estreme conseguenze il pensiero di Lutero e di Calvino. Negazione dei dogmi; rifiuto dei sacramenti: una concezione irenica della vita; riforma dello Stato –lo stato repubblicano deve essere libero ed indipendente da qualsiasi forma di potere-; critica, quindi, di ogni chiesa, anche quella calvinista. La novità del pensiero di Lelio e Fausto Sozzini è la novità di coloro che possiamo definire gli “eretici del Secondo Rinascimento”: quanti cioè rifiutano ogni modello di chiesa e di inquisizione, non solo cattolica od ortodossa, ma anche luterana, calvinista, zwingliana. Il pensiero sociniano, elaborato negli anni 1555-1580 ha la sua proiezione, lo ripetiamo, verso le aree della grande cultura polacca e della cultura olandese, dove se ne espandono i seguaci. Il Tirolo, il Trentino, Verona ne sono ugualmente zone di diffusione. Il Socinianesimo è quindi chiara dimostrazione dell’esistenza di movimenti ereticali ed eterodossi nell’ambito delle “città d’incrocio”. Non dimentichiamoli questi concetti, perché nel realizzare una “mappa” del Rinascimento in Europa, potrebbero far parte di una serie di confronti con le culture orientali e le culture del Pacifico negli stessi anni: i “rinascimenti mancati” delle aree cinese e giapponese. L’oscillazione esistente fra le “città d’incrocio” e le città “industriali-artigianali” come le definisce Braudel, o le città “bancarie” è difficile da interpretare e definire. È molto più facile, infatti, dare una tipologia a, per esempio, Loreto, città “santuario e fiera” che individuare il ruolo di città come Siena, Pisa o Lucca: ovvero delle città, piccole o grandi, che ruotano attorno a Firenze. Braudel, Sapori e molti altri studiosi tendono a dare di questo grappolo di città una definizione che oscilla fra le città delle banche e degli investimenti, e la città industriale-artigianale. Gli esempi generalmente offerti sono quelli di Siena e Lucca. Siena è prevalentemente città di mercanti e banche mercantili; Lucca è piuttosto città industriale-artigianale, dove rivestono grande importanza la lavorazione del ferro (la Toscana ne è una grande area d’estrazione), del vetro e, soprattutto, delle ceramiche. Per definire questa seconda tipologia cittadina, si è visto, accanto a “industriale” abbiamo posto il termine “artigianale”: questo perché, secondo Braudel e la storiografia economica, si tratta ancora di un’organizzazione a metà fra la bottega dell’artigiano e la bottega con più ampio raggio d’azione, che oggi definiremmo “industriale”. Comunque, è sempre la bottega a conservare la preminenza nell’ambito dell’economia e della società. A questo punto, diventa più facile individuare le oscillazioni tipologiche intercorrenti fra le diverse realtà urbane: esse non sono altro che la ricerca, direbbe Braudel, delle “tipologie essenziali” che permettono di inquadrare, di volta in volta, l’esatto ruolo delle città in questione. Secondo Braudel, però, quando pensiamo ad una città come Venezia, possiamo definirla semplicemente “città del mare”, o “città del mercante”, o “città del traffico mercantile”; noi l’abbiamo definita anche “città degli immaginari”. Ma è anche possibile darle un’intonazione industriale: l’Arsenale, per esempio, il grande centro delle navi, potrebbe a parere di Braudel, fornirci un’immagine di questo tipo. Perciò Braudel predilige per Venezia quest’altra definizione: si dia la preminenza all’identità essenziale della città, quella dei traffici, del commercio, della mercatura; le altre attività –l’Arsenale, la lavorazione del vetro, l’attività industriale, quella tipografico-libraria ma anche quella religiosa- vadano interpretate come realtà vicine o integranti. D’altra parte per Braudel, queste tipologie non possono essere comprese del tutto senza far riferimento alla letteratura dei viaggi, che, a suo parere, andrebbe ristudiata integralmente. Essa dà infatti di ogni singola città la tipologia corrente nella sensibilità e nella cultura europea. Albrecht Dürer (alla fine del Quattrocento), Charles-Louis de Secondat barone di Montesquieu, Johann Wolfgang Goethe e altri, danno sì di Venezia l’immagine di “città meravigliosa”, ma anche quella di una città, sita fra laguna e mare, di traffici e di mercanti.

Abbiamo dunque iniziato una rassegna preliminare di storia di quello che, con l’aiuto di Fernand Braudel, definiamo il “rinascimento delle città” o il “rinascimento urbano”. Ci sono utili ambedue le definizioni, che si chiariscono l’una con l’altra. Abbiamo visto che, secondo le nuove interpretazioni, alle sue origini il Rinascimento è prevalentemente un fenomeno, una conquista delle città del Mediterraneo: in particolare delle città e delle grandi repubbliche italiane. In questo primo giro attorno al Mediterraneo, in questa prima “schematizzazione” di città, abbiamo cercato di fare un passo importante: l’inserimento della penisola iberica nel quadro mediterraneo. È un passaggio chiave. Generalmente, del Rinascimento si parla soltanto come di un fenomeno-culturale artistico, religioso, economico, urbano-interpretato, collocato (nella definizione di Braudel “stesso”) lungo le principali vie di comunicazione mercantili tra le città italiane e l’area del Nord: tedesca, francese, olandese. Un buon esempio può essere proprio l’area dell’Adige, verso il Tirolo e la Germania. E la penisola iberica, afferma Braudel, è quasi assente nelle grandi periodizzazioni e nelle grandi geografie del Rinascimento. Manca quasi completamente anche ne La civiltà del Rinascimento in Italia di Jacob Burckhardt; è poco presente ne La cultura del Rinascimento di Eugenio Garin. I motivi dell’esclusione della penisola iberica dalle geografie del Rinascimento e delle città rinascimentali sono essenzialmente due. In primo luogo, della storia spagnola è stato privilegiato il così detto “siglo de oro”, il “secolo d’oro”: dal 1523/1525-1555, anni che vedono l’apogeo dell’Impero di Carlo V, al 1556 col primo periodo dell’impero di Filippo II. Si è quindi concentrata l’attenzione su un momento determinato della storia spagnola: il momento imperiale. E, in quest’ambito, è stato privilegiato il momento prevalentemente religioso. Dalla manualistica e dalla letteratura corrente emerge il Carlo V imperatore che vuole restaurare il Sacro Romano Impero. Si tende inoltre a interpretare la storia spagnola come una storia inquisitoriale –Filippo II e l’Inquisizione spagnola-; oppure come la storia di quella che Benedetto Croce chiama, anche in Teoria e storia della storiografia, la “leggenda nera” della Spagna: che significa porre l’accento sugli elementi negativi, imperiali, colonizzatori, inquisitoriali dell’Impero Spagnolo. Nella storiografia tedesca e italiana della fine dell’Ottocento, “el siglo de oro” viene dunque interpretato non tanto come conquista intellettuale, quanto come “leggenda nera” dello Spagnolo: colonizzatore, schiavista (il Sudamerica, la tratta degli schiavi, etc.), oppure inquisitore. E, a parere di Braudel, per molti anni si è letta la storia spagnola con la mentalità della cultura italiana del Seicento e del Settecento che tendeva a mettere in risalto gli effetti negativi della storia della Spagna, e quindi anche della sua lunga tradizione culturale e religiosa. Quindi, del Rinascimento spagnolo non si è mai trattato in modo organico ed esplicito. La seconda fondamentale motivazione di tale assenza è la mancanza, almeno in Italia fino agli anni 1930/1940 di studi sulla cultura, la sensibilità e la vita religiosa della Spagna. Non è mai stata studiata organicamente, per esempio l’influenza esercitatavi da Erasmo da Rotterdam. Soltanto dopo il 1940 viene proposto, anche se molto lentamente, un altro approccio alla storia del Quattrocento e del Cinquecento spagnolo: e fra le nuove chiavi di lettura è appunto la diffusione, l’importanza di Erasmo. Attraverso le nuove interpretazioni, inoltre, la Spagna diventa il banco di prova dell’influenza del libero pensatore olandese sull’intera penisola iberica e, da qui, sulle colonie sudamericane. È quindi estremamente importante il recupero di un Rinascimento iberico. E ancor più importante è il tentativo di Felipe Ruiz Martin e di Braudel di delineare una gerarchia –una “tipologia” nella loro definizione- delle città spagnole. Nella tipologia offerta da Braudel però, fra le varie assenze ve ne è una che va integrata: l’importanza di Valladolid, che diventerà dopo il 1570/1580, la seconda città-corte della Spagna, naturalmente dopo Madrid. A questo punto nasce un problema fondamentale di periodizzazione: questo grande Rinascimento spagnolo, che cerchiamo di mettere accanto al lungo Rinascimento della penisola italiana, che tipo di cronologia possiede? Gli ultimi lavori storici tendono lentamente a darne una datazione leggermente più avanzata rispetto alle città italiane –Venezia, Firenze, le città senesi, le città finanziare, le città delle banche –, la cui cronologia tende a occupare l’area dei secoli X, XI, XII. Invece, del grande Rinascimento iberico si vede generalmente l’autentica origine a partire dal secondo Trecento: per usare una cronologia più raffinata, dagli anni 1360/1380. Dal 1420 al 1520, siamo nel cuore della sua elaborazione, intellettuale e culturale. Con l’arrivo di Carlo V si apre quello che viene definito l’“apogeo” del Rinascimento iberico: è appunto “el siglo de oro”. Filippo II segna una continuazione di questo grande Rinascimento spagnolo in chiave prevalentemente "barocca". Quale sarà il tramonto del grande Rinascimento spagnolo? Attorno al 1650: si prende cioè come data quella grosso modo corrispondente alla fine della Guerra dei Trent’anni (1618-1648), con la pace di Westfalia (1648). Organizzatane la cronologia, passiamo a vedere quali sono i principali centri del Rinascimento spagnolo. Abbiamo già segnalato l’importanza di Salamanca, Madrid e di altre città. Ma il Rinascimento spagnolo si sviluppa veramente in profondità in due grandi centri elaboratori: Burgos, un centro burocratico, intellettuale, finanziario; e Medina del Campo, un centro prevalentemente commerciale. Sulla carta geografica le città sono vicine: nella parte settentrionale della Spagna, fanno parte del Regno di Castiglia. Nel corso del Quattrocento, la Spagna è divisa in tre grandi regni: Navarra, Castiglia e Aragona. Il Regno di Castiglia comprende la grande area centrale della penisola iberica, la futura Spagna imperiale e rinascimentale. Burgos è una piccola città-corte, a carattere burocratico -nello schema braudeliano che abbiamo visto è la città della burocrazia- e a carattere intellettuale: l’intellettuale di corte, il cavaliere di corte, nasce e si diffonde a Burgos. A Burgos viene generalmente avvicinata, appunto, Medina del Campo. È una piccola città, di fiere, di mercanti: il grande mercante –veneziano, genovese, lionese, parigino, napoletano- generalmente viaggia verso Medina del Campo per le sue fiere o per le sue contrattazioni. A questo punto, possiamo fare una prima osservazione: il Rinascimento, come dice Braudel, nasce sempre in città avvicinate da una tendenza abbastanza univoca di cultura e mercati. La Spagna obbedisce allo stesso modello. Il Rinascimento quindi, non nasce da città morte, non da città-corte: non nasce cioè da città chiuse ai traffici. La regola valevole per l’Italia vige anche in Spagna. Burgos e Medina del Campo sono infatti complementari tra di loro. Burgos contiene, accanto alla burocrazia, le banche spagnole; Medina del Campo è centro di grandi contrattazioni, di seta, di panno, di ferro, di armi, di cereali. Quindi, Medina del Campo è veramente, accanto a Burgos, un “fuoco” mercantile e commerciale di questo modello di Rinascimento. La seconda conclusione che possiamo trarre è che i Rinascimenti nascono al Nord degli Stati: secondo un’osservazione molto bella e penetrante di Braudel, sono “le nuove civiltà del Nord”, le città del Nord che creano i rinascimenti. E la Spagna non fa eccezione. Burgos e Medina del Campo sono i grandi centri del dibattito intellettuale, che poi viene esportato a Sud, a Siviglia: ma è in queste due città che vengono elaborati i grandi trattati sulla cavalleria, sull’onore, sull’arte, sulla morte in Spagna. Anche il Don Chisciotte di Miguel de Cervantes Saavedra si muove nell’area centro-settentrionale della Spagna. La stessa cosa vale per l’Italia: Venezia è città nord-orientale; Milano è città del Nord; Firenze, a livello di mentalità mercantile, mentalità commerciale, mentalità del capitale, è definita da Braudel come “città più del Nord”. Secondo queste geografie, è dunque il Nord che predomina. Possiamo allora fare un’altra osservazione comparativa: nei riguardi della cultura rinascimentale, della sua origine e del suo svolgimento, il modello della Spagna è simile a quello italiano, sia secondo un modello comparativo di città -città intellettuali e città commerciali. A parere sia di Braudel sia di Armando Sapori, è il meccanismo delle città, la loro mobilità, la loro vicinanza, a caratterizzare i rapporti fra Rinascimento e capitale, Rinascimento e borghesie, Rinascimento e nuove culture. Quindi l’avvicinamento viene a essere quasi analiticamente confortato. Le grandi fiere di Medina del Campo si diffondono nel primo Quattrocento e più precisamente fra il 1420 e il 1430: anche la cronologia quattrocentesca è una spia per capire lo schema che andiamo a scavare e tentare di spiegare, in modo un po’ diverso rispetto alle solite interpretazioni. Ma il grande trionfo di Medina del Campo avverrà con Carlo V e Filippo II, negli anni 1525/1530/1540/1580. La cronologia che andiamo proponendo non è soltanto braudeliana, avendo un retroterra molto più ampio di studiosi che la sottolineano. E particolarmente interessanti, proprio perché forniscono un’immagine di questa cronologia, sono gli studi di un altro storico spagnolo, poco studiato in Italia: Claudio Sánchez-Albornoz. È prevalentemente un medievista, studioso di quella che viene chiamata l’“età media” della Spagna: il Duecento, il Trecento e l’inizio del Quattrocento. Caratteristica da non dimenticare, conseguente a quello che abbiam detto fin qui, è che il Rinascimento spagnolo è un Rinascimento castigliano: trova le sue origini nell’antico Regno di Castiglia. È la Castiglia e le sue città, tra cui Burgos e altre che abbiamo visto, che danno al Rinascimento iberico i principali connotati e le principali spinte. E questa realtà, di un Rinascimento castigliano, resta elemento costante della storia spagnola: la troviamo nel Cinquecento come agli inizi del Seicento. La Castiglia è lo spazio, l’area, il laboratorio geografico del Rinascimento iberico e spagnolo. Passiamo ora ad esempi più concreti. Prendiamo in esame uno dei temi che ebbero grande fortuna sia nella cultura spagnola, sia nella cultura rinascimentale italiana: il tema del cavaliere e della cavalleria. È un tema chiave, centralissimo, che si dibatte anche nella cultura rinascimentale italiana del Cinquecento: per esempio, ne Il libro del Cortegiano, di Baldassar Castiglione. Il cavaliere in Spagna prende il nome di “hidalgo”. L’ “hidalgo” è l’intellettuale per eccellenza del Rinascimento spagnolo; ma lo è anche in parte del Rinascimento italiano. Parlare di cavaliere o di “hidalgo” significa talvolta parlare anche di cortigiano. Quindi, inseguire questi tre termini -“cavaliere”, “hidalgo”, “cortigiano”- significa capire, per la Spagna e per le città italiane, queste vicinanze di culture rinascimentali fra le due aree geografiche ed i rispettivi circoli intellettuali. Si possono prendere tantissimi esempi per un’analisi comparativa tra i due Rinascimenti. Scegliere un tema preciso –quello dell’ “hidalgo”, del cavaliere o del cortigiano- ci dà la possibilità di fare dei paragoni tra la trattatistica di Burgos sul tema e, per esempio, la trattatistica di Urbino, o di Venezia, nella penisola italiana; e di vedere le due mentalità rinascimentali come possano fra di loro intersecarsi o combaciare. Parlare di questo tema significa anche mettere in discussione le mobilità culturali, le comunicazioni culturali, gli scambi culturali e quelle che possiamo definire le “acculturazioni”. Attorno al tema del cavaliere, dell’ “hidalgo”, del cortigiano circolano, a Burgos e ad Urbino, gli stessi testi: Aristotele, Seneca, Plinio, Petrarca, Boccaccio, Bartolo, la trattatistica della poesia popolare, Folengo. Boccaccio è particolarmente importante: si diffonde nelle città del Rinascimento italiano come nelle città del Nord della Spagna. Burgos è un grande centro di lettura di Boccaccio, ma anche di Seneca, di Aristostele, di Plinio. Accanto a questi, la letteratura della poesia popolare: Bartolo (che sarebbe importante rileggere) è uno dei testi più popolari dell’intellettuale iberico. Non va dimenticata l’importanza del Petrarca. Quindi, non abbiamo soltanto tipologie, cronologie, gerarchie: abbiamo mobilità culturali intensissime, letture analoghe di testi che vengono discussi. Questa lettura dei testi della cultura moderna, o di quella cultura antica –Seneca, Aristostele, Plinio- che fa parte del bagaglio intellettuale dell’uomo moderno, è una sensibilità dell’uomo rinascimentale. Sistemiamo meglio le date e i problemi. Si parla di cavaliere, di “hidalgo”, di cortigiano alle corti di Burgos, Medina del Campo, Madrid. Lo stesso dibattito si ha in Italia: alla corte di Urbino, dalla quale nasce “Il libro del Cortigiano”, fra il 1509 e il 1512; alla corte di Mantova, la corte di Tiziano e Giulio Romano, fra il 1530 e il 1540; di riflesso a Venezia e a Padova, Questa è una migliore esposizione, che permette di capire l’esistenza non di lontananze ma di vicinanze tra questi centri, per il momento solo tratteggiati. Per compiere queste analisi si fa riferimento all’articolo di Maria Isabel Pérez de Tudela y Velasco, La dignidad de la caballeria en lo horizonte intelectual de lo siglo XV” (1986). Maria Isabel Pérez de Tudela y Velasco è esponente della scuola madrilena degli anni 1930/1940/1950: la scuola da cui è nato Ruiz Martin, e della quale era esponente, in parte, Sánchez-Albornoz. Allieva di quest’ultimo, questa studiosa ha lavorato lungamente anche in Italia, a Spoleto (grande centro di studi medievali italiani ed europei). Articolo fondamentale sui temi della cavalleria e del Rinascimento in Spagna, ha due prospettive di lettura. Dal punto di vista storiografico, offre, in primo luogo, un’idea del metodo di studio e di lavoro dell’Università Complutense di Madrid: storia degli intellettuali e delle ideologie rinascimentali, in una prospettiva sociale. È un modo di studiare l’intellettuale e la società attraverso alcune figure chiave: il cavaliere, l’“hidalgo”, il cortigiano. In secondo luogo tiene conto delle nuove metodologie di studio del Rinascimento europeo: cerca infatti di analizzare la svolta che avviene nel Quattrocento relativamente a questi dibattiti, e di studiarne le tradizioni culturali dei secoli XI, XII, XIII in Spagna e in Italia. È cioè un esempio di letteratura storiografica spagnola sul “Lungo Rinascimento”, secondo un modello di analisi importantissimo, per tutte le conseguenze che può avere sulle nostre tipologie. Charles de Secondat de Montesquieu porrà Costantinopoli e la Spagna fra le due possibili utopie del Settecento.

Eravamo rimasti ad un passaggio: da un modello di città, spagnola e italiana, relativo alla storia del Rinascimento e alla sua periodizzazione, al tentativo di prendere in esame un tema per spiegare quelle che abbiamo definito le “mobilità” fra le diverse epoche del Rinascimento, la circolazione delle idee, delle culture –li abbiamo più volte definiti “modelli culturali”- fra la Spagna e l’Italia. Questo anche per permettere un più proficuo approccio con l’area francese dato che anche quest’area si colloca nella definizione di “Rinascimento”, accanto all’area italiana. Abbiamo potuto osservare come il Rinascimento spagnolo, generalmente, venga collocato in una cronologia leggermente diversa da quella italiana. Si parte dal secondo Trecento, per dare particolare importanza agli anni 1420-1440: anni cruciali, in cui si colloca la nuova svolta. Si è visto che esiste un rapporto d’interdipendenza: non soltanto culturale; non soltanto fra l’area italiana e l’area iberica: generalmente ci riferiamo alla Castiglia, al vecchio Regno di Castiglia. Abbiamo anche cercato d’individuare l’importanza di Burgos, la città del Nord, accanto a Medina del Campo: due città interdipendenti, pur con una struttura economica e sociale diversa. Entrambe si trovano nel nord della Castiglia, poco lontano da Bilbao. Burgos ha una caratteristica burocratica, intellettuale: è il più grande centro della burocrazia e della nuova cultura rinascimentale spagnola; accanto a Medina del Campo, città delle fiere, dei mercanti europei –genovesi, veneziani, fiorentini, napoletani- e delle banche. Quindi Medina del Campo è il grande mondo delle trasformazioni e delle mobilità economiche. Queste due città sono altrettanto preziose ai fini dell’analisi che ci apprestiamo a fare. I trattati sul tema del cavaliere, l’“hidalgo” e il cortigiano nascono infatti, attorno al 1420-1450, a Burgos; e vengono poi diffusi attraverso le fiere di Medina del Campo, nell’area italiana, in particolare a Urbino, Mantova, Venezia, Firenze. Abbiamo messo in relazione le due città spagnole non soltanto per far capire uno scambio di funzioni fra due centri, ma, quel che più interessa, per individuare le vie di una circolazione intellettuale, attraverso le vie mercantili e commerciali: che mancano a Burgos, città burocratica per eccellenza; ma che vengono attuate attraverso i mercati e le fiere di Medina del Campo. Se si parte da questo presupposto, si comprende meglio il concetto di “mobilità urbana”: un ruolo delle città è far funzionare il mercato economico e il mercato culturale. Questa vicinanza è un esempio di tale funzionamento. Un funzionamento che è strutturale, ossia di fondo, essenziale, connaturato alle caratteristiche stesse delle città in questione. Si è fatto uno schema delle varie città spagnole, individuandone le diverse funzioni: città burocratiche, città mercantili, città religiose, città inquisitoriali, oppure città di corte come Valladolid e Madrid. A questo punto, siamo in grado di fare un ulteriore passaggio. Burgos diventa la culla dei trattati sulla cavalleria spagnola: le diverse discussioni sulla figura, il ruolo, le funzioni del cavaliere spagnolo. Il cavaliere, nella sua funzione, è molto spesso vicino al nobile “hidalgo”. Confrontiamo queste due figure sociali, tipiche del Rinascimento spagnolo e italiano, con un’altra figura, centralissima, della società rinascimentale: il cortigiano, o “cortegiano”, nella diversa accezione. Giungiamo allora a una prima definizione: il grande Rinascimento castigliano, o iberico, è legato alla rinascita della cavalleria, al suo ritrovato ruolo militare e sociale. Semplificando, diremo che il Rinascimento castigliano è, per sua natura, un Rinascimento cavalleresco. Singolarmente, questo modello iberico-castigliano viene diffuso e rielaborato alle corti di Urbino e di Mantova. Più in lontananza, si avverte la presenza della cultura francese, con una diversa prospettiva: al Rinascimento del cavaliere si guarda con ironia. Nella definizione di “Rinascimento cavalleresco” va evitata una confusione, attorno al termine “cavalleresco”: è questo infatti proprio anche della medievistica attuale, degli studiosi delle società delle culture del Duecento e del Trecento europeo. Nelle opere di Jacques Le Goff, per esempio, si parla di un “medioevo cavalleresco”. La tautologia è solo apparente: il “medioevo cavalleresco”, infatti, è legato a una diversa funzione del cavaliere: è il cavaliere della Tavola Rotonda, il cavaliere modello Orlando, che combatte contro gli infedeli; è prevalentemente l’uomo delle feudalità, e del piccolo castello francese. È cioè l’uomo che viene presentato nei romanzi di Tristano e Isotta. Un altro modello, quindi, di cavalleria e di cultura cavalleresca: legata all’amore, al castello, all’avventura, non è una cultura legata alle definizioni di corte e di città come viene espressa dal mondo dei cavalieri spagnoli o dei cortigiani delle corti italiane, Urbino in particolare. È necessaria, dunque, chiarezza nella distinzione dei termini: e per una migliore utilizzazione diremo, più correttamente e precisamente, che il Rinascimento castigliano è il Rinascimento della “cavalleria”. Iniziamo l’analisi delle società e degli intellettuali spagnoli partendo dal già citato articolo di Maria Isabel Pérez de Tudela y Velasco, La dignidad de la caballeria en lo horizonte intelectual de lo siglo XV. Saggio fondamentale, e utile anche per gli studi di italianistica e storia della società italiana fra Quattrocento e Ottocento. La miscellanea che contiene l'articolo è un buon esempio dei metodi della nuova storiografia madrileno-spagnola. È dai suoi maggiori esponenti che nasce la nuova interpretazione del Rinascimento spagnolo. Felipe Ruiz Martin è uno degli studiosi del Cinquecento spagnolo, in particolar modo delle economie delle città: è lui che ha ispirato a Fernand Braudel lo schema, che abbiamo visto, delle città spagnole. Molto legato a Ruiz Martin è Miguel Angel Ladeo Quesada, occupatosi anche lui di storia dell’economia delle città, ma anche, in maniera specifica, di quello che lui chiama il “Rinascimento economico” della Spagna nell’età di Carlo V. Questi due studiosi sono studiosi del nuovo Rinascimento spagnolo. Il punto di congiungimento è la scuola di Braudel, la sua interpretazione del Rinascimento, i suoi lavori di storia del Mediterraneo. Accanto a questi, vanno presi in considerazione altri quattro studiosi. Ayala Martinez si è occupato soprattutto dello sviluppo delle città spagnole nel Cinquecento. Figura affascinante – si è occupato dei problemi della morte, della fortuna, degli intellettuali spagnoli, della letteratura degli “hidalgos”– è Eduardo Maurano Moreno. Ad un’altra dimensione – e vanno citati insieme in quanto molto simili – appartengono gli studi Claudio Sánchez-Albornoz, di cui abbiamo già parlano, e Ana Guzmán. Quest'ultima studiosa segue la traiettoria di Sánchez-Albornoz, occupandosi prevalentemente del Duecento e Trecento spagnolo. Ovvero prevalentemente castigliano: lei stessa afferma ripetutamente di studiare il medioevo iberico cioè castigliano. La Guzmán, quindi, è più vicina agli studi precedenti il nuovo Rinascimento, precedenti cioè il 1330-1390. In questo ambiente, in questa cultura, viene impostato il dibattito oggetto della nostra attenzione. I temi della cavalleria, dell’hidalgo, della cultura del cortegiano non vengono dunque affrontati solo nell’articolo di Maria Isabel Pérez de Tudela y Velasco: circolano un po’ in tutti i lavori del gruppo madrileno, e alcuni vengono ripresi molte volte. Dell’articolo, per impostarne correttamente l’analisi, bisogna prendere il punto di partenza che vi viene proposto –Burgos– e fare una serie di paragoni con due altri importanti testi. Il primo è Il Libro del Cortegiano di Baldassar Castiglione, pubblicato a Venezia, presso la libreria di Aldo Manuzio, nel 1528 (interessante datazione: un anno dopo il Sacco di Roma). Sarà nostro compito partire da Burgos e vedere i riflessi nell’area urbinate. Il secondo punto di riferimento è il Gargantua e Pantagruele di François Rabelais, pubblicato per la prima volta nel 1532. Abbiamo scelto appositamente un itinerario preciso: Burgos e Medina del Campo negli anni 1420-1440; Urbino nel 1523; l’area francese nel 1532. Lo stesso tema circola in questa area, accomunata da tre caratteristiche. In primo luogo – caso interessante – ci troviamo in aree rinascimentali analoghe; i temi si diffondono attraverso le correnti mercantili e le corti: e – terza caratteristica – ci troviamo al centro del concetto di mobilità urbana, con un analogo tema che circola e al tempo stesso viene approfondito: usando gli stessi testi – Aristotele, Seneca, Plinio, Petrarca, Boccaccio – a Burgos come a Urbino, a Parigi. Aree imparentate lontane, sostanzialmente vicine. Queste considerazioni sono utili per superare anche un altro luogo comune relativo al Rinascimento. Non si può più distinguere, come ha fatto la vecchia storiografia, tra un Primo Rinascimento, fiorentino e un Secondo Rinascimento, romano. Le linee corrono su uno stesso modulo rinascimentale: a Urbino e a Venezia che stampa “Il Libro del Cortegiano”; a Parigi e in Francia (e quando si parla di Parigi e Francia si considera tanto l’area settentrionale francese, quanto la Provenza, con tutti i suoi riflessi e le sue comunicazioni). È in questo compatto mondo che ci muoviamo: un lungo, omogeneo Rinascimento. Fatte le dovute premesse, possiamo iniziare l’analisi dei testi. Maria Isabel Pérez de Tudela y Velasco inizia il proprio saggio ponendo alcune domande. Perchè parlare della cavalleria come del motivo dominante della nuova cultura europea? Quale è l’importanza della cavalleria, non solo sul piano della grande cultura di corte, ma anche nella vita quotidiana? Questo articolo, infatti, cerca di analizzare anche un quotidiano della storia della nuova cavalleria spagnola. La terza domanda è un po’ la conseguenza della prima: quale è l’ideologia di questa nuova cavalleria spagnola? Questi i quesiti di partenza. La datazione 1420-1440, è abbastanza sicura: ma la Pérez si preoccupa di saldarsi anche con la tradizione trecentesca: con la cui cultura il saggio presenta numerosi agganci. La studiosa spagnola inizia la sua trattazione con alcune considerazioni preliminari. Vedere quali classi sociali occupi la cavalleria spagnola è di estrema importanza. La cavalleria spagnola non fa parte soltanto dell’alto livello delle società – l’aristocrazia, o la nobiltà nuova del mercante arricchitosi – come avviene a Firenze, a Venezia, Urbino, e in altre città italiane. La cavalleria, in Spagna, secondo la Pérez, ha due identità sociali. Esiste una cavalleria che proviene dal mondo contadino: è il contadino che si è arricchito, o che, entrato nel meccanismo della carriera militare, si è arricchito con le guerre. Accanto al contadino, anche l’uomo povero delle città può diventare, ad un certo momento, cavaliere. Ma la cavalleria spagnola si identifica anche in una parte della nobiltà militare: è questa la seconda identità sociale. Accanto a questi due livelli principali – il livello rurale/urbano, e il livello dell’aristocratico che fa il mestiere delle armi –, va inserita una terza, sottile variante: l’uomo che si dedica alle armi ed al servizio del re, anche a corte. Possiamo quindi trarre una prima conclusione: la cavalleria è uno strumento di promozione di nuovi gruppo sociali. Per Baldassar Castiglione, il cavaliere-cortigiano è la nuova figura della corte o della società all’inizio del Cinquecento. Lo stesso argomento viene proposto a Burgos, e nelle nuove capitali economiche dell’emisfero meridionale, delle Americhe (le capitali palladiane) dalle dinamiche che i cavalieri spagnoli hanno creato.

Le società e le culture, anche contemporanee, continuano il loro dialogo con il Rinascimento, rielaborandolo in Risorgimento (E. Garin) in rivoluzioni, in rinascite ideologiche (Erasmo, Machiavelli), e l’intellettuale, nuovo artifex, ne è l’espressione più matura. Per usare un’espressione di Epicuro si tratta di una ricerca della libertà “differente da quella delle leggi antiche”. Le “forze di resistenza” (inquisitori, censure, tirannie) ne ostacolano il cammino; ma l’universo dell’artifex moderno continua nel suo viaggio verso i nuovi saperi.

Bibliografia orientativa

  • Fernand Braudel, Il secondo Rinascimento: Due secoli e tre Italie, Einaudi, Torino 1986 [rielaborazione di un saggio apparso nella Storia d'Italia Einaudi nel 1974 (vol. 2, pp. 2092-2248)]
  • Jacob Burckhardt, La civiltà del Rinascimento in Italia, Sansoni, Firenze 1958
  • Benedetto Croce, Teoria e storia della storiografia, a cura di Giuseppe Galasso, Adelphi, Milano 1998
  • Georges Duby, L’anno Mille. Storia e psicologia collettiva, Einaudi, Torino 1977
  • Estudios en memoria del profesor D. Claudio Sánchez-Albornoz, vol. 2, "En la España medieval", 9 (1986), pp. 813-829.
  • Eugenio Garin, La cultura del Rinascimento, Il Saggiatore, Milano 1988
  • Karl Marx, Il Capitale, Editori Riuniti, Roma, 1964 (traduzione di D. Cantimori, introduzione di M. Dobb)
  • Jules Michelet, La Renaissance. Histoire de France au seizième siècle, Calmann-Levy, Paris 1930 [testo originalmente pubblicato dall’autore nel 1855]
  • Achille Olivieri (a cura di), Le trasformazioni dell’umanesimo tra Quattrocento e Settecento. Evoluzione di un paradigma, Unicopli, Milano 2008.
  • François de Rabelais, Gargantua e Pantagruele, Sansoni, collana “Le Betulle”, Siena, 1988
  • Armando Sapori, Medioevo e Rinascimento: proposta di una nuova periodizzazione, in AA.VV., Nuove questioni di storia medioevale”, Marzorati, Milano 1964, pp. 597-621

ARTICLE WRITTEN BY ACHILLE OLIVIERI | ERETICOPEDIA.ORG © 2014

et tamen e summo, quasi fulmen, deicit ictos
invidia inter dum contemptim in Tartara taetra
invidia quoniam ceu fulmine summa vaporant
plerumque et quae sunt aliis magis edita cumque

[Lucretius, "De rerum natura", lib. V]

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