Bodin, Jean

Dizionario di eretici, dissidenti e inquisitori nel mondo mediterraneo
Edizioni CLORI | Firenze | ISBN 978-8894241600 | DOI 10.5281/zenodo.1309444


Jean Bodin (Angers, 1529 o 1530 – Laon, 1596) è stato un filosofo della politica e del diritto francese, magistrato e teorico dell’Inquisizione.

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Vita e opere

Formatosi come studioso di diritto romano, di cui fu docente all’Università di Tolosa, Jean Bodin visse la propria maturità intellettuale nel delicato periodo delle guerre di religione.
Il suo primo lavoro degno di nota fu il commentario e la traduzione in latino di un poema di Oppiano, il De Venatione (1555), al quale seguì un’opera scritta di suo pugno, l’Oratio de instituenda in Republica juventute (1559), pregevole come elogio del diritto romano, ma ancora immatura sul piano dell’argomentazione e della capacità critica.
Il testo più importante di questa stagione fu certamente la Methodus ad facilem historiarum cognitionem (1566), ritenuta a torto un’opera minore fino all’analisi svolta da alcuni studiosi, Vittorio De Caprariis e Girolamo Cotroneo in testa, che la riconobbero come un autentico spartiacque nel pensiero e nell’opera di Bodin e di altri autori culturalmente a lui vicini. Non solo De Caprariis vi scorse l’impianto germinale della successiva speculazione del filosofo, tesa al superamento di quella rigida interpretazione del diritto romano, tratteggiata nell’Oratio, quale unica fonte della scienza politica; vide inoltre una sorta di prolessi della «teoria dei climi» delineata da Montesquieu nell’Esprit des lois (1748). Quanto a Cotroneo, riprendendo il dibattito crociano concernente la nascita dello storicismo, poté connettere la genesi di quest’ultimo all’età rinascimentale facendo perno proprio sulla Methodus, dove l’autore ambiva a mostrare l’incidenza della cognitio historica sulla tradizione, l’elaborazione e lo sviluppo della dottrina giuridica.
Il trasferimento di Bodin a Parigi, nel 1567, coincise con l’abbandono della docenza in favore dell’esercizio dell’avvocatura: attività che gli permise di entrare in contatto con l’ambiente di corte, ricoprendo ben presto la carica di procuratore regio sotto Enrico III e di maître de requȇtes al servizio del di lui fratello, il duca Francesco d’Alençon.
Vicino al movimento dei Politiques, capeggiato da Michel de l’Hôspital, cercò con gli intellettuali del gruppo di elaborare una possibile soluzione alle lotte intestine fra cattolici e ugonotti, culminate poi nel massacro della notte di San Bartolomeo del 1572.
L’intento dei Politiques e di Bodin era di separare la sfera giuridica da quella religiosa, affrancando l’autorità del re dalle questioni teologico-dottrinali. Essi caldeggiavano pertanto l’investitura di Enrico IV di Borbone, che fra i pretendenti al trono era il più propenso a porre un freno ai disordini mediante l’avvio di una politica di tolleranza. Purtroppo Bodin morì prima che fosse emanato l’Editto di Nantes (1598) che, pur non risolvendo il problema, ma rinviandolo temporaneamente, rappresentò una prima risposta alle richieste avanzate dal suo movimento.
A questi anni risale probabilmente la stesura del mirabile Colloquium Heptaplomeres de abditis rerum sublimium arcanis, rimasto a lungo anonimo e pubblicato a nome di Bodin verso la metà del XIX secolo, da intendersi come una sorta di «remoto, remotissimo, antenato del “relativismo religioso”» (Cotroneo) e propedeutico, con la sua apologia della «concordia e del consenso di tutti nei confronti di ogni religione», del Traité sur la tolérance (1763) di Voltaire.
Nel frattempo Bodin era andato interessandosi di problemi economici, ai quali dedicò il volume Réponse aux paradoxes de Mr. de Malestroict (1568) in cui forniva una puntuale disamina dei principali fenomeni della sua epoca, a cominciare dal rincaro dei prezzi, offrendo alcune proposte per calmierarli tramite una strategia che avrebbe aperto la strada al mercantilismo. Nella temperie dell’indiscriminata «rivoluzione dei prezzi» che travagliò il XVI secolo, Bodin fu tra i primi a contestare la «tesi bullionistica» che faceva dipendere la ricchezza di uno Stato dalla quantità di moneta e di metallo nobile detenuta dall’erario, ritenendo invece che le fluttuazioni dei prezzi risentissero della circolazione dei beni sul mercato e che il potere di acquisto della moneta variasse secondo le leggi della domanda e dell’offerta.
Nel 1576 Bodin licenziava alle stampe il suo magnum opus, Les six livres de la République, un trattato politologico di fondamentale importanza nell’elaborazione del concetto di «sovranità». Antesignano, insieme a Niccolò Machiavelli, della moderna scienza politica, Bodin vi esponeva l’originaria e più compiuta teorizzazione in chiave laica del principio dell’assolutismo regio. Se fino ad allora questo principio si reggeva su un postulato teologico – ossia sulla credenza che il re fosse tale per «diritto divino», come poteva evincersi da un’interpretazione frettolosa dell’Epistola ai Romani e da alcuni passaggi del De civitate Dei, nel modo che in seguito sarà proposto da Jacques-Bénigne Bossuet – per merito della sua analisi il potere veniva spogliato di ogni prerogativa trascendente per immanentizzarsi nella figura giuridica della sovranità.
Il concetto di sovranità proposto da Bodin risentiva inevitabilmente di una mediazione antica, filtrata dal precetto per cui «quod principi placuit, legis habuit vigorem», come recitava un brocardo di Ulpiano citato nei Digesta (1, 4, 1), ma ne costituiva anche il più significativo superamento. Infatti, sebbene Bodin compose la Juris universi distributio (1580) sostanzialmente per agevolare la comprensione del diritto romano agli studenti, esemplificandone gli aspetti di maggiore problematicità, si prefiggeva altresì il compito di presentare questa antica sapienza giuridica come la prima attestazione di una forma di diritto razionale e dunque universale. E naturalmente il semplice assunto che «quanto aggrada il sovrano ha valore di legge» sarebbe apparso ben poco razionale agli occhi di uno studioso attento e sensibile. Ecco perché Bodin, nella République, si sentì in dovere di precisare che il concetto di sovranità sul quale sarebbe andato a soffermarsi, nonostante fosse alla base di ogni ordinamento statuale, non era mai stato definito nel corso dei secoli da nessun giurista o filosofo della politica.
La sovranità, intesa come «quel potere assoluto e perpetuo ch’è proprio dello Stato» (République, I, 1), designava nell’ottica di Bodin la prerogativa del sovrano di emanare le leggi in quanto al di sopra delle stesse, cioè legibus solutus: non vincolato ai precetti delle leggi medesime che egli sostanziava con la propria attività promulgativa.
La sovranità, proseguiva Bodin, era «il vero fondamento, il cardine su cui poggia tutta la struttura dello Stato, e da cui dipendono i magistrati, le leggi, le ordinanze; è essa il solo legame e la sola unione che fa di famiglie, corpi, collegi, privati un unico corpo perfetto che è appunto lo Stato» (I, 2). Ciò comportava che il re, in veste di estremo rappresentante della fondatezza dello Stato, fosse l’effettivo garante della giustizia e della libertà che uno Stato efficiente aveva l’obbligo di tutelare. Pertanto, concludeva Bodin, «monarca regio è colui che si comporta nei riguardi della legge di natura con la stessa obbedienza che esige dai sudditi nei proprio riguardi, lasciando a ciascuno la libertà personale datagli dalla natura e la proprietà di ciò che gli appartiene», poiché «il re deve obbedire alle leggi di natura ovvero governare i sudditi e comportarsi in tutte le sue azioni secondo giustizia naturale, quella giustizia che si rivela di per sé chiara e lucente come lo splendore del sole. Questa è la vera proprietà essenziale della monarchia regia: che il re si dimostri altrettanto pronto a inchinarsi alle leggi di natura, quando desidera i sudditi obbedienti a sé» (II, 3).
Discettando sul tema della libertà nella République Bodin non era ancora giunto a teorizzare compiutamente la necessità della tolleranza religiosa, ma stava di fatto auspicando quel mutamento di mentalità che si sarebbe consumato nel «siècle des Lumières».

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Sfortunatamente l’opera successiva, la Démonomanie des sorciers (1580), testimoniò che lo stesso Bodin non era estraneo a un tipo di mentalità retrogrado, di stampo medievale. Scritta in risposta al De praestigiis daemonum (1563) di Johann Wier, confutava sistematicamente le tesi ivi contenute. Qui Wier, discepolo del medico ed esoterista Agrippa von Nettesheim, riteneva che le credenze in merito al potere delle streghe derivassero da una forma di suggestione: suggestione che coinvolgeva tanto le sedicenti streghe quanto la società che, avallando il loro isterismo, vi attribuiva tale qualifica. Secondo Wier, che era oltretutto un medico, le facoltà convenzionalmente riferite alle streghe erano anche frutto delle sostanze allucinogene presenti negli unguenti che le donne si spalmavano sul corpo. A ciò si aggiungeva lo stato di profondo eccitamento suscitato dai rituali cui prendevano parte, nonché l’idea stessa di fare qualcosa di straordinario e di proibito. Del resto Wier, pur credendo nei fenomeni di possessione diabolica, era convinto che il potere dei demoni si applicasse agli indemoniati senza che essi ne usufruissero. In sostanza le streghe, se pervertite dal maligno, erano comunque incapaci di compiere sortilegi, quindi era perfettamente inutile mandarle al rogo. Nell’ottica di Wier la caccia alle streghe risultava priva di fondamento sia sul piano religioso che su quello giuridico, andando a colpire persone innocenti e inoffensive.
Evidentemente Bodin, che da magistrato aveva soprinteso a un processo per stregoneria, era del parere opposto. Egli non aveva dubbi circa gli effettivi poteri derivanti dalle pratiche magiche e dal momento che Wier li negava doveva necessariamente essere uno stregone a sua volta. D’altronde si trattava non a caso di un allievo di Agrippa, il quale era finito sotto la lente dell’Inquisizione per il suo De occulta philosophia (1533), in particolare dopo l’uscita postuma di una sezione intitolata De Caerimoniis Magicis (1559) che era stata identificata come apocrifa proprio da Wier. Basandosi su questo Bodin poteva confutare le tesi di Wier non solo ad rem, bensì ad hominem, mettendo in discussione l’integrità della persona per via del suo legame con Agrippa. Ma la struttura della Démonomanie era molto più complessa e non si poteva etichettare come un pamphlet polemico di circostanza. Si proponeva piuttosto di fungere da manuale ad uso degli inquisitori, come quelli che circolavano già alla fine del Duecento (la Summa de Officio inquisitorii, 1270 ca.) e che negli ultimi secoli si erano nutriti di una cospicua letteratura sul tema (il Tractatus de strigibus di Bernardo Rategno, 1510 ca., o la Strix sive de ludificatione daemonum di Giovanfrancesco Pico della Mirandola, 1523): una sorta di nuovo e più aggiornato Malleus maleficarum (1486) – che ritornò in auge dopo una breve parentesi di oblio – ma assai più efficace nel suo stile eloquente ed erudito, pieno di rimandi alle Sacre Scritture e ai testi classici, e con l’aggravante di essere stato redatto da un insigne giurista.
A dispetto allora della sua larghezza di vedute e dei suoi aneliti alla tolleranza, della sua preparazione come filosofo del diritto e della politica, come storico ed economista d’avanguardia – alcuni studiosi, da Francesco Ferrara in avanti, gli attribuiscono il merito di aver formulato i primi lineamenti di una «teoria quantitativa della moneta» – Bodin si rivelò condizionato da imperdonabili pregiudizi, cadendo vittima di quello spirito oscurantista e iniquo che sembrava teoricamente incline ad avversare.

Bibliografia

  • Jean Bodin, Colloquium Heptaplomeres. Le sette visioni del mondo, trad. it., Terziaria, Milano 2003.
  • Jean Bodin, Demonomania degli stregoni, trad. it., Edizioni di Storia e Letteratura, Roma 2006.
  • Jean Bodin, I sei libri dello Stato, trad. it., UTET, Torino 1999.
  • Jean Bodin, Methodus ad facilem historiarum cognitionem, trad. it., Edizioni della Normale, Pisa 2013.
  • Vittorio De Caprariis, Propaganda e pensiero politico in Francia durante le guerre di religione (1559-1572), Società Editrice Italiana, Napoli 1959.
  • Girolamo Cotroneo, Il ritorno di Bodin, in “Filosofia politica”, Il Mulino, Bologna, fasc. 1, aprile 2014.
  • Girolamo Cotroneo, Jean Bodin teorico della politica, Società Editrice Italiana, Napoli 1966.
  • Girolamo Cotroneo, Una religione senza trascendenza, in Croce filosofo italiano, Le Lettere, Firenze 2015.
  • Luigi Gambino, I “Politiques” e l’idea di sovranità (1573-1593), Giuffrè, Milano 1991.
  • Eugenio Garin, Note sull’ermetismo del Rinascimento, in Testi umanistici sull’ermetismo, Bocca, Roma 1955.
  • Diego Quaglioni, I limiti della sovranità: il pensiero di Jean Bodin nella cultura giuridica e politica moderna, Cedam, Padova 1992.
  • Friedrich Meinecke, L’idea della Ragion di Stato nella storia moderna [1924-1925], trad. it., Sansoni, Firenze 1970.
  • Paolo Rossi, La magia naturale nel Rinascimento. Testi di Agrippa, Cardano, Fludd, UTET, Torino 1989.
  • Francesco Tigani, Briciole di umanesimo e scorie democratiche. La libertà e il potere nel tempo della luce e del ferro, in AA.VV., Società, potere e libertà. Studi storici dal Medioevo all’Età contemporanea, Aracne, Roma 2016.
  • Francesco Tigani, Lo specchio, la strega e il quadrante. Vetrai, orologiai e rappresentazioni del “principium individuationis” dal Medioevo all’Età moderna, Aracne, Roma 2012.
  • Michaela Valente, Bodin in Italia. La “Démonomanie des sorciers” e le vicende della sua traduzione, Centro Editoriale Toscano, Scandicci 1999.
  • Cesare Vasoli, Le filosofie del Rinascimento, Mondadori, Milano 2002.

Article written by Francesco Tigani | Ereticopedia.org © 2016

et tamen e summo, quasi fulmen, deicit ictos
invidia inter dum contemptim in Tartara taetra
invidia quoniam ceu fulmine summa vaporant
plerumque et quae sunt aliis magis edita cumque

[Lucretius, "De rerum natura", lib. V]

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