Dizionario di eretici, dissidenti e inquisitori nel mondo mediterraneo
Edizioni CLORI | Firenze | ISBN 978-8894241600 | DOI 10.5281/zenodo.1309444
Jacopo Aconcio (Ossana, Val di Sole, o Trento 1492/1520 – forse Inghilterra, 1566 circa) è stato un giurista, filosofo, ingegnere e teologo nato in Trentino e successivamente naturalizzato inglese.
Biografia
Notizie certe prima della fuga dall’Italia
Le prime notizie certe della vita di Aconcio risalgono al 1548-1549, anni che lo videro prima operare come notaio a Trento e poi entrare al servizio del conte Francesco Landriano. La notevole scarsità di dati biografici per il periodo precedente è tale da rendere impossibile stabilire con esattezza data e luogo di nascita di Aconcio così come pure ricostruire i suoi anni giovanili, per i quali sappiamo soltanto che egli ebbe una prolungata formazione giuridica, forse non portata a termine, e che prima di giungere a Trento aveva iniziato ad esercitare come notaio ad Ossana grazie agli appoggi del padre Gerolamo, lui stesso giurista e appartenente ad una famiglia della nobiltà locale.
Introdotto dal conte negli ambienti della corte viennese di Carlo V, nel 1556 Aconcio divenne segretario del principe vescovo trentino Cristoforo Madruzzo, allora governatore imperiale a Milano. Aconcio non ricoprì tuttavia tale incarico a lungo e già prima della fine del giugno 1557 fuggì dall’Italia in compagnia di Francesco Betti, un gentiluomo romano alle dipendenze del marchese di Pescara Francesco Ferdinando d’Avalos. Aconcio aveva stretto amicizia con Betti durante il periodo passato con Madruzzo, in ragione dei rapporti che questi intratteneva con il marchese. Dai fatti successivi all’allontanamento dall’Italia, è facile intuire che Aconcio avesse per allora già dei contatti con i circoli riformati di Basilea, la prima tappa accertata della sua fuga. Questa convinzione è confortata da alcuni elementi su cui Delio Cantimori ha per primo attirato attenzione. Tra di essi, riveste particolare rilevanza l’idea secondo la quale la redazione delle prime opere a tema religioso scritte da Aconcio, il Dialogo di Giacopo Riccamati Ossanese e la Somma brevissima della dottrina christiana, sarebbe da riferirsi al tempo in cui si trovava alla corte viennese e poteva essersi interessato alle discussioni religiose che l’agitavano. La supposizione trova appoggio in affermazioni contenute in una lettera di Aconcio scritta a Strasburgo il 27 novembre 1558 e indirizzata a Massimiliano d’Austria, conosciuto negli anni trascorsi a Vienna, in cui l’esule trentino incoraggiava il futuro imperatore a passare alla causa protestante, suggerendo peraltro che ciò potesse favorirne un matrimonio con Elisabetta I d’Inghilterra. A rafforzare l’impressione che la fuga fosse stata preceduta da contatti con gli ambienti riformati interviene inoltre una lettera di Celio Secondo Curione del 1 luglio 1557, indirizzata a Heinrich Bullinger, capo della chiesa riformata di Zurigo, per facilitare l’accoglienza in quella città di Aconcio e Betti. Cantimori, nel pubblicare questa lettera, ha sottolineato un’affermazione nella quale Curione sosteneva che Aconcio e Betti gli avessero manifestato l’intenzione di passare apertamente alla Riforma già nel 1556, deducendone che la decisione di abbandonare l’Italia non fosse quindi maturata improvvisamente. Se ciò spiega in parte la fuga dell’anno successivo, al suo effettivo verificarsi concorsero in ogni caso anche altre notizie, legate a una richiesta rivolta a Madruzzo da Paolo IV affinché si adoperasse energicamente a ricercare i responsabili della fuga di un eretico, Claudio Pralbino, dalle carceri milanesi.
Secondo una diffusa consuetudine tra gli intellettuali suoi contemporanei, prima di decidersi alla fuga, Aconcio aveva mantenuto un atteggiamento riservato e nicodemitico. Tale atteggiamento consisteva nel considerare indifferenti le forme esterne del culto e le formulazioni dogmatiche: il nicodemita fingeva pertanto di osservare la fede cattolica ed evitava ogni polemica aperta nei suoi confronti. I timori legati alla richiesta di Paolo IV avrebbero indotto Aconcio ad abbandonare tale contegno, portandolo ad uscire allo scoperto e a lasciare l’Italia. Secondo Giorgio Caravale, a spingere ulteriormente all’esilio potrebbe inoltre aver concorso l’inasprimento della politica anti-luterana perseguita dalla corte pontificia nel medesimo periodo, tale da non risparmiare nemmeno personaggi tanto in vista quali il Cardinale Giovanni Gerolamo Morone, Ferdinando I d’Asburgo e il figlio di questi, il già citato Massimiliano.
L’eterodossia di Aconcio e la sua idea di tolleranza
Abbandonata Milano, Aconcio e Betti trovarono inizialmente rifugio tra i fuoriusciti italiani di Basilea. È nel corso del breve soggiorno a Basilea nel 1558 che Aconcio diede alle stampe le due opere già citate, la Somma e il Dialogo, e con esse il De methodo, un trattato filosofico pubblicato in forma anonima e che di tutte le opere di Aconcio è una vera e propria chiave di lettura unitaria. Già in questi primi lavori emerge un dato a prima vista quasi paradossale: l’Aconcio giurista non lascia tracce evidenti di sé nei propri scritti. Se nessuno di essi tratta direttamente di questioni di diritto, un approccio giuridico non vi è tuttavia assente, agendo più in profondità, quale forma mentis dell’argomentazione aconciana. Pur non rivolta a temi di immediata portata giuridica, la riflessione di Aconcio appare infatti segnata da un carattere e uno stile strettamente legati alla tradizione del diritto comune di età medioevale. Il metodo stabilito dai maestri di tale tradizione nell’interpretare i testi giustinianei in funzione delle necessità del loro tempo storico – così da dare soluzione ai casi specifici che la pratica quotidiana poneva alla loro attenzione – era inevitabilmente consistito in un’analisi fortemente pragmatica e attenta alla realtà concreta. Altrettanto pragmatica e concreta è l’argomentazione di Aconcio nella misura in cui, motivata dalle vicende del proprio esilio per causa di religione, essa si salda con le sue visioni religiose e ne diventa cifra caratterizzante. Se infatti già nel De methodo il pragmatismo di Aconcio ha la meglio sull’astrazione e sulla speculazione fini a se stesse, esso diviene decisivo per intenderne i trattati teologici, dai quali emerge come Aconcio non sia inquadrabile in una chiesa particolare: al pari di molti connazionali che vivono l’esperienza dell’esilio prima e dopo di lui tra Cinque e Seicento, le posizioni di Aconcio sono ascrivibili più ad un generico cristianesimo eterodosso che ad una delle “scuole” ufficiali nate in seno alla Riforma.
Concentrandoci brevemente sul De methodo, è utile precisare in che senso esso rappresenti la chiave unitaria del pensiero aconciano o, in altri termini, in che modo esso assuma valore programmatico per la successiva produzione letteraria del suo autore. Tale valore risiede nella volontà, da parte di Aconcio, di mostrare che solo un metodo di tipo matematico, fondato cioè su pochi principi fondamentali, possa consentire una più chiara comprensione delle questioni filosofiche e trasmettere le conclusioni dell’indagine speculativa in modo più immediato e utile. Della portata generale di questo elemento per l’intera riflessione aconciana sono prova tanto gli scritti religiosi quanto quelli in campo storico e ingegneristico. Limitandoci agli scritti religiosi per la loro importanza nella costruzione dell’ideale di tolleranza portato avanti da Aconcio, possiamo pensare alle due opere pubblicate con il De methodo. Il valore programmatico di quest’opera appare evidente, nel caso della Somma, nella riduzione delle dottrine cristiane ad un numero limitato di principi indisponibili e, nel Dialogo, nell’adozione di un approccio non dogmatico da parte dei due protagonisti intorno ai quali l’opera è articolata, Mutio D. e Giacopo Riccamati, un alter ego di Aconcio. L’approccio non dogmatico appena richiamato trova le sue basi nella convinzione che non sussista alcuna certezza assoluta in merito alla verità di fede, con ciò aprendo tanto alla possibilità di un confronto tra le posizioni cattoliche e riformate quanto a una tutela di quelle da esse dissenzienti. Troviamo qui in nuce la chiave di lettura di un’opera successiva di Aconcio, data alle stampe nel 1564 e oggetto di una notevole fortuna letteraria fino al Seicento inoltrato: i Satanae Stratagemata. L’opera, dedicata ad Elisabetta I, ottenne un immediato successo negli ambienti protestanti e nel 1570 sarebbe stata iscritta nell’Index librorum prohibitorum.
Gli Stratagemata costituivano un atto di denuncia non soltanto dell’Inquisizione romana, ma di ogni forma di dogmatismo ortodosso, di autoritarismo e di intolleranza. In essi, Aconcio si lanciava in quella che si potrebbe a buon diritto definire una “campagna della tolleranza”. Le convinzioni maturate negli scritti pubblicati a Basilea quasi un decennio prima, avevano ormai convinto il loro autore che non esistesse alcuna reale possibilità per le diverse confessioni cristiane di affermare con sicurezza di possedere in esclusiva la verità di fede. Fondandosi su ciò, gli Stratagemata portavano a maggiore sistematizzazione le riflessioni svolte in precedenza, caratterizzandosi innanzitutto per l’intento di rinsaldare l’unità intra-cristiana. La composizione dell’opera va infatti ricondotta al proposito di ridurre quanto più possibile i motivi di contrasto religioso, limitando i casi di ulteriore scissione interna al cristianesimo e la scomunica dei dissidenti per divergenze su punti non realmente fondamentali delle Scritture. Aconcio non negava che una verità religiosa sussistesse né che essa fosse rinvenibile e da difendere. Cadrebbe quindi in errore chi intendesse in tale direzione le semplificazioni e lo sforzo compiuto da Aconcio al fine di ridurre il numero di dogmi del cristianesimo a pochi principi indisponibili e certi, ai quali è ricondotta, in ultima istanza, ogni possibilità di salvezza ultraterrena. Tra questi principi, Aconcio annoverava l’esclusione della giustificazione attraverso le opere, la fede in Cristo quale mezzo di salvezza dalla dannazione dovuta al peccato originale e il dogma della trinità. Ne escludeva invece ogni convinzione in merito all’eucarestia, a dispetto della centralità della questione nei dibattiti dottrinali del suo tempo, al fine di sottolineare, contrariamente ad essi, la volontà di non limitare la comunione cristiana ai soli sostenitori dell’una o l’altra delle scuole di pensiero emerse in proposito.
Il caso di Adriaen van Haemstede e le ultime notizie certe
Se è a scritti a tema religioso che è principalmente legata la fama di Aconcio, i suoi interessi toccano ambiti assai diversi, includendo, oltre al già citato diritto, la filosofia, la storia e perfino l’ingegneria civile e militare. Proprio alla capacità che maturò in quest’ultimo campo è principalmente legata la fortuna che Aconcio seppe guadagnarsi in Inghilterra. L’esule trentino vi giunse da Strasburgo nel 1559, non più in compagnia di Betti, ottenendo in seguito la cittadinanza inglese. In proposito, occorre notare che diversi erano gli italiani tenuti allora in grande considerazione negli ambienti della corte elisabettiana, tra cui Giovanni Battista Castiglioni, precettore personale d’italiano della regina. Una reciproca fiducia e una comune tensione religiosa avrebbe unito Aconcio e Castiglioni, tanto che questi sarebbe divenuto garante e socio nelle attività di bonifica eseguite dal primo in terra inglese e ne sarebbe stato nominato erede delle opere alla morte.
Agli elementi di natura biografica fin qui segnalati, è opportuno aggiungerne uno ulteriore per il peso che esso assume relativamente alle convinzioni religiose di Aconcio. Nella Londra della metà del Cinquecento, la pratica del culto era organizzata dalle varie comunità presenti sul territorio su base nazionale, sebbene una simile organizzazione dipendesse in ultima istanza dal vescovo londinese Edmund Grindal. In assenza di una struttura a livello italiano, Aconcio aderì inizialmente al gruppo spagnolo, il cui controllo spettava agli olandesi. Quando Adriaen van Haemstede, che ne era a capo, patrocinò dinanzi al vescovo l’ammissione di alcuni compatrioti che si rivelarono poi essere anabattisti, Haemstede fu prima chiamato a discolparsi e infine, nel dicembre 1560, condannato ad abbandonare il paese. In tale vicenda, Aconcio e Castiglioni, amici di Haemstede, si esposero apertamente in suo favore. Non sono giunte fino a noi copie del testo della difesa di Aconcio, per cui si può solo presumere – seguendo un’opinione sostenuta da Charles D. O’Malley – che vi si esprimessero toni tolleranti assai prossimi a quelli da lui adoperati nella redazione pressoché contemporanea degli Stratagemata e in una lettera rivolta proprio a Grindal, nel 1564, per chiedere di essere ammesso nell’appena ricostituita chiesa italiana di Londra.
Le ultime notizie certe su Aconcio sono di poco successive a questi fatti, di cui non conosciamo peraltro gli esiti. Esse si limitano ad un’ultima lettera, datata 6 giugno 1566 e indirizzata da Aconcio a un ignoto corrispondente: l’assenza dopo di essa di informazioni sull’esule trentino ripete quella constatata per i suoi anni giovanili e rende una mera congettura qualsiasi tentativo di stabilirne data e luogo esatti della morte. È significativo che anche questa lettera riguardi una questione teologica già trattata negli Stratagemata e consistente nella possibilità di salvezza, rifiutata da Aconcio, per chi professi l’eresia sabelliana, ovvero neghi la distinzione tra le persone della trinità intendendo il Figlio e lo Spirito Santo come nient’altro che modalità differenti di manifestazione di Dio. Alla posizione da Aconcio espressa sul punto va riconosciuta importanza particolare per la comprensione del suo pensiero: pur limitando il più possibile i principi fondamentali della fede e restando sempre costante nell’invito a trattare i casi di contrasto religioso con spirito di misericordia e fratellanza, Aconcio mostra di essere convinto che una verità rivelata sussista e che vada difesa. Queste osservazioni aiutano a individuare, al di là delle oscillazioni del pensiero e delle vicissitudini personali, i due poli entro cui risulta sospesa la ricerca aconciana: tolleranza verso i contrasti su elementi secondari della fede e chiarezza dottrinaria sui principi indisponibili. Lo spirito di apertura ripetutamente espresso da Aconcio nei suoi scritti non elimina quindi, pur limitandola, la possibilità di un’esclusione dalla comunione cristiana, fondandola proprio su questi principi indisponibili, in particolare sul dogma della trinità e sul ruolo del Cristo.
Opere di Aconcio
- Acontiana: Abhandlungen und Briefe des Jacobus Acontius, a cura di Walther Köhler ed Erich Hassinger, Carl Winter, Heidelberg 1932.
- “De methodo” e opuscoli religiosi e filosofici, a cura di Giorgio Radetti, Vallecchi, Firenze 1944.
- Stratagematum Satanae libri VIII, a cura di Giorgio Radetti, Vallecchi, Firenze 1946.
- Trattato sulle fortificazioni, a cura di Paola Giacomoni, con la collaborazione di Giovanni Maria Fara e Renato Giacomelli, edizione e traduzione di Omar Khalaf, Olschki, Firenze 2011.
Bibliografia secondaria
- Francesco, Ambrosi, Jacopo Aconcio, il più antico filosofo trentino, Tipografia Tomasich, Trieste 1889.
- Lodovico Oberziner, Il quarto centenario di un illustre trentino. Jacopo Aconcio, in “L’Alto Adige”, 7 settembre 1892.
- Edoardo Ruffini-Avondo, Gli Stratagemata Satanae di Jacopo Aconcio, in “Rivista storica italiana”, 45, 1928, pp. 113-140.
- Erich Hassinger, Studien zu Jacobus Acontius, Verlag für Staatswissenschaften und Geschichte, Berlin-Grunewald 1934.
- Giovanni Ciccolini, La famiglia Conci di Ossana (Contributo dei piccoli archivi regionali alle ricerche genealogiche), in “Studi trentini di scienze storiche”, 24, 1, 1943, pp. 3-32.
- Paolo Rossi, Giacomo Aconcio, Fratelli Bocca, Milano, 1952.
- Charles D. O’Malley, Jacopo Aconcio, traduzione di Delio Cantimori, Edizioni di Storia e Letteratura, Roma 1955.
- Delio Cantimori, Aconcio, Iacopo, in DBI, vol. 1 (1960).
- Delio Cantimori, Eretici italiani del Cinquecento e Prospettive di storia ereticale italiana del Cinquecento, a cura di Adriano Prosperi, Einaudi, Torino 1992, in part. pp. 323-331.
- Joseph Lecler, Histoire de la tolérance au siècle de la Réforme, Parigi, Albin Michel, 1994, pp. 351-357.
- Jacopo Aconcio. Il pensiero scientifico e l’idea di tolleranza, a cura di Paola Giacomoni e Luigi Dappiano, Editrice Università degli Studi di Trento, Trento 2005.
- Michaela Valente, Jacopo Aconcio, in Fratelli d’Italia. Riformatori italiani nel Cinquecento, a cura di Mario Biagioni, Matteo Duni e Lucia Felici, Claudiana, Torino 2012, pp. 9-17.
- Renato Gacomelli, La tolleranza religiosa in quanto problema dell’assolutismo: il pensiero politico di Jacopo Aconcio, in The Theology of potentia Dei and the History of European Normativity, 2 voll., a cura di Anton Schütz e Massimiliano Traversino, “Divus Thomas” [115, 2, 2012 e] 116, 3, 2013, pp. 205-230.
- Giorgio Caravale, Censorship and Heresy in Revolutionary England and Counter-Reformation Rome. Story of a Dangerous Book, traduzione di Frank Gordon, Palgrave Macmillan, Cham 2017 e, nell’edizione originale italiana, Storia di una doppia censura. Gli “Stratagemmi” di Giacomo Aconcio nell’Europa del Seicento, Edizioni della Normale, Pisa 2014.
- Massimiliano Traversino Di Cristo, Jacopo Aconcio: breve biografia di un “eretico minore” del Cinquecento, in “Mediterranea. International Journal on the Transfer of Knowledge”, 3, 2018, pp. 213-217.
- Massimiliano Traversino Di Cristo, Jacopo Aconcio: vita e opera di un giurista e intellettuale trentino del primo secolo della Riforma, in “Rivista di storia e letteratura religiosa", 57, 2, 2021, pp. 197-214.
- Massimiliano Traversino Di Cristo, Aconcio, Jacopo, 1492/1520-c.1566, in Écrivains juristes et juristes écrivains du Moyen Âge au siècle des Lumières, a cura di Bruno Méniel, Classiques Garnier, Parigi, in pubblicazione nel 2022.
Voci correlate
- Francesco Betti
- Celio Secondo Curione
- Elisabetta I d’Inghilterra
- Cristoforo Madruzzo
- Giovanni Morone
- Paolo IV
Article written by Massimiliano Traversino Di Cristo | Ereticopedia.org © 2022
et tamen e summo, quasi fulmen, deicit ictos
invidia inter dum contemptim in Tartara taetra
invidia quoniam ceu fulmine summa vaporant
plerumque et quae sunt aliis magis edita cumque
[Lucretius, "De rerum natura", lib. V]