Dizionario di eretici, dissidenti e inquisitori nel mondo mediterraneo
Edizioni CLORI | Firenze | ISBN 978-8894241600 | DOI 10.5281/zenodo.1309444
Suor Maria Crocifissa, al secolo Isabella Tomasi (1645-1699), è stata una suora benedettina e mistica siciliana del XVII secolo.
Biografia
Isabella Tomasi nacque in Agrigento il 29 maggio 1645 da nobile famiglia di origini capuane, trasferitasi in Sicilia verso la fine del XVI secolo. Era figlia secondogenita di don Giulio Tomasi e di donna Rosalia Traina, fondatori e duchi della città siciliana di Palma, nella baronia di Montechiaro. Dopo un’educazione approssimativa, impartitale privatamente, prese i voti sacri, presso il monastero benedettino del Santissimo Rosario, sito in Palma di Montechiaro, all’età di quattordici anni, assumendo, nella vita religiosa, il nome di suor Maria Crocifissa della Consolazione. Aspirando ad assurgere a ruoli apicali all’interno della nobiltà isolana, la famiglia Tomasi, intimamente compenetrata di una profonda spiritualità, attraverso la consacrazione di suoi diversi componenti, si poneva come guida e modello, cui esemplarsi, anche per le altre dinastie, di pari status sociale. Lo zio paterno di Isabella, Mario Tomasi e Caro, fu capitano del Santo Uffizio dell’Inquisizione di Licata, mentre il fratello minore, Giuseppe Maria Tomasi (Licata, 12 settembre 1649) aderì all’Ordine dei Chierici Regolari Teatini, venendo nominato cardinale da Papa Clemente XI nel concistoro del 18 maggio 1712, pochi mesi prima della morte, occorsa in Roma nel convento teatino di Sant’Andrea della Valle il 1° gennaio 1713. La corrispondenza epistolare intercorsa tra suor Maria Crocifissa e il fratello, don Giuseppe Maria, prevalentemente conservata presso l’Archivio Generale dei Chierici Regolari Teatini, mostra in modo patente strette affinità elettive, da un punto di vista religioso, tra i due consanguinei. Nell’epistolario l’individualità delle persone e delle situazioni è generalmente cancellata dalla dimensione spirituale e moraleggiante. Il monastero di clausura, in cui suor Maria Crocifissa trascorse tutta la vita, fu fondato il 12 giugno 1659, sotto la regola benedettina, allorché era ordinario diocesano di Agrigento monsignor Francesco Gisulfo. Suoi fondatori furono, come per la città di Palma di Montechiaro, Giulio Tomasi e Rosalia Traina, «duchi di detta terra». Solo trent’anni dopo la fondazione, furono edite, in via definitiva, le Costituzioni delle monache benedettine del SS. Rosario di Palma di Montechiaro, che ricalcano, nella complessa codificazione e regolamentazione dei modi e dei ritmi di vita della comunità religiosa muliebre, le regole adottate dal cenobio napoletano rigidamente governato dalla religiosa suor Orsola Benincasa che, prima di morire, si era sottoposta alla direzione spirituale dei Chierici Regolari Teatini. Nelle «Costituzioni» era minuziosamente descritto, tra le altre cose, come, ad esempio, doveva avvenire il cambio settimanale della biancheria; con quale periodicità le monache dovevano, per non affezionarsi ai beni terreni, procedere allo scambio delle celle; di quale lunghezza e di che stoffa dovessero essere confezionati gli abiti; come e quando dormire, come e quando pregare, come essere punite, come essere malate, come morire. Suor Maria Crocifissa, costruendo attorno a sé un alone leggendario di santità, operava per intercessione divina miracoli la cui fama iniziò a circolare di bocca in bocca. C’era chi raccontava, a Palma di Montechiaro, di aver visto levitare e volare, in un tremendo giorno di vento, suor Maria Crocifissa «con la figura dell’Immacolata nel petto e con il segno della Santa Croce nel cuore». Gli scritti di suor Crocifissa, redatti quotidianamente per ordine dei confessori, rappresentavano un’edificante autobiografia spirituale, il cui racconto si snoda lungo tutto l’arco della sua vita, collocandosi in una prospettiva agiografica. Si colgono episodi di tentato autolesionismo laddove, durante gli anni del noviziato, suor Maria Crocifissa, in preda a tormenti mistici, scriveva: «ero in questo tempo come fuori di me stessa; avevo continue molestie di disperazione, arrivavo un giorno a volermi gettare da una finestra e l’avrei fatto se il Signore non mi avesse aiutato per mezzo di una mia sorella, la quale mi trattenne viva ma, in tal stato, afflittissima e nell’anima e nel corpo, essendo allora molto inferma». Occupandosi nel convento anche delle minime e più umili incombenze suor Maria Crocifissa agognava la maggior gloria di Dio, coniugando attraverso il disegno agiografico autoimpostosi la scelta personale e l’itinerario provvidenzialistico. Copiose testimonianze raccolte in convento si riferivano a sue estasi, rivelazioni e visioni, in quanto momenti culminanti dell’orazione mentale; allo stesso tempo, in un clima devotamente austero, era attraversata da inquietudini spirituali, timore del peccato e vari scrupoli, oltre che da senso di inadeguatezza e bassa considerazione di sé, che emergono con prepotenza dai propri carteggi. Nel monastero di Palma di Montechiaro e, contestualmente, presso l’archivio della cattedrale di Agrigento si conserva in duplice copia una scrittura autografa (nota come "lettera del diavolo"), redatta in quattordici righe, in cui suor Maria Crocifissa annotava di aver avuto una strenua lotta contro il Diavolo. Morì nel convento di Palma di Montechiaro dopo lunga malattia, all’età di quarantaquattro anni, il 16 ottobre 1699. È considerata venerabile dalla Chiesa cattolica.
Nel 2017 un'équipe di informatici del Ludum Science Center di Catania ha formulato una proposta di decifrazione e/o decrittazione dell'enigma della "lettera del diavolo" di Suor Maria Crocifissa. La vicenda ha avuto una certa eco mediatica1.
Bibliografia
- Sara Cabibbo, Marilena Modica, La santa dei Tomasi. Storia di Suor Maria Crocifissa (1645-1699), Einaudi, Torino 1989.
Article written by Armando Pepe | Ereticopedia.org © 2022
et tamen e summo, quasi fulmen, deicit ictos
invidia inter dum contemptim in Tartara taetra
invidia quoniam ceu fulmine summa vaporant
plerumque et quae sunt aliis magis edita cumque
[Lucretius, "De rerum natura", lib. V]