Dizionario di eretici, dissidenti e inquisitori nel mondo mediterraneo
Edizioni CLORI | Firenze | ISBN 978-8894241600 | DOI 10.5281/zenodo.1309444
Gostanza da Oliveto, detta la Birighinga è stata una donna perseguitata per stregoneria dall'Inquisizione nel 1616.
Il caso di Gostanza da Oliveto (Monte San Savino, Arezzo) detta la Birighinga costituisce uno dei momenti più inquietanti della lotta alla stregoneria in Toscana nella prima metà del Seicento. La povera vedova, dopo la morte del marito, si era trasferita al Monte San Savino dove si guadagnava da vivere filando il lino e la canapa in casa di Virgilio Giovanpieri. Proprio questi l’accusò davanti al Luogotenente del Monte - allora feudo Orsini - di aver operato un maleficio alla sua figlioletta, che da lì a poco morì.
Carcerata il 10 giugno 1616, Gostanza fu processata, e nulla poté contro i pregiudizi del giudice e la ferocia degli aguzzini, descritti con cura dal notaio di turno.
Il fatto che fece precipitare a suo sfavore il processo, si ebbe nel momento in cui, spogliata e depilata, le fu trovato addosso un piccolo rinvolto a uso di breve che conteneva immagini sacre e un osso forato, che parve la prova del patto diabolico.
Fu allora ripresa con più vigore l’inaudita tortura che divenne insopportabile per l’anziana donna che, nell’estrema speranza di sospendere il martirio, confessò quanto il giudice volevano sentirsi dire sugli stereotipi stregoneschi del sabba, del diavolo e delle modalità del maleficio, firmando così la sua condanna.
Gli atti del processo con l’accusa di «maliarda» furono trasmessi all’Inquisitore fiorentino che si mostrò prudente, dichiarando subito nullo il processo perché la confessione della Birighinga era stata strappata col tormento. Ordinò quindi a frate Arcangelo dal Monte San Savino, suo vicario, di istruirne uno nuovo processo.
La lettera del 2 agosto 1616 con la quale il Vicario comunicava all’Inquisitore le prime notizie sul caso Gostanza, restituiscono un’immagine angosciante delle condizioni dell’anziana donna: consumata e distrutta dalle torture, pareva un «brutto mostro», tutto pelle e ossa, a stento capace di parlare e prossimo alla morte.
Aveva ragione. Quando il carceriere Morando da Palazzuolo di Romagna aprì la porta della prigione per liberarla la trovò morta.
Si verificò allora un altro problema per il Vicario: giudicare se Gostanza avesse commesso realmente il reato di apostasia, che, se confermato, avrebbe impedito la sepoltura in luogo consacrato. Si avviarono così nuove indagini e interrogatori ai carcerieri e alla figlia di Gostanza che non risolsero il dubbio. Su consiglio del pievano Felice Veltroni della Pieve del Monte S. Savino, si decise di seppellirla in luogo sconsacrato, perpetrando così l’ultima ingiustizia verso la povera Birighinga, colpevole di un reato immaginario.
Bibliografia
- Francesco Sinatti, Il vertice della stregoneria toscana. Il mago Nepo e gli stregoni di Galatrona (secoli XV-XVII), Aska Edizioni, Firenze 2016.
- Francesco Sinatti, Quando la medicina smise di curare l'anima. Il pluralismo terapeutico nella Toscana di Cosimo I tra magia, empirismo e ossessione diabolica, Accademia Valdarnese del Poggio - Quaderni del Centro Studi e Documentazione del Valdarno Superiore, Montevarchi 2019.
Article written by Francesco Sinatti | Ereticopedia.org © 2020
et tamen e summo, quasi fulmen, deicit ictos
invidia inter dum contemptim in Tartara taetra
invidia quoniam ceu fulmine summa vaporant
plerumque et quae sunt aliis magis edita cumque
[Lucretius, "De rerum natura", lib. V]