Beccarelli, Giuseppe

Dizionario di eretici, dissidenti e inquisitori nel mondo mediterraneo
Edizioni CLORI | Firenze | ISBN 978-8894241600 | DOI 10.5281/zenodo.1309444


Giuseppe Beccarelli (Urago d’Oglio, Brescia, 1660 ca. - Brescia, 5 luglio 1716) è stato un sacerdote condannato per finzione di santità e quietismo.

Educato dai gesuiti, entrò in contatto con superstiti del movimento pelagino nonché (fin dal 1679) con Pier Matteo Petrucci, approfondendo lo studio delle opere di Miguel de Molinos e di altri quietisti.
Aprì un proprio collegio nel 1683. Fu accusato di violenza carnale e sodomia nei confronti degli allievi/e. Per questo il suo collegio venne chiuso nel 1701 ma riaperto nel 1704. In quello stesso anno Bartolomeo Capitanio, arciprete di Manerbio, maestro nel collegio del Beccarelli, fu incriminato per sollicitatio ad turpia.
In seguito ad una nuova denuncia, il collegio venne chiuso ancora, e stavolta definitivamente, nel 1708 per ordine del vescovo Giovanni Alberto Badoer. Il 3 giugno 1708 Beccarelli fu arrestato per conto dell'Inquisizione. Fu quindi sottoposto alla tortura della corda ed abiurò. Nel settembre 1708 fu condannato a sette anni di servizio sulle galere e vent'anni di carcere. Morì in prigione il 5 luglio 1716.

Beccarelli, condannato tra l'altro per sodomia e sollicitatio ad turpia oltre che per finzione di santità, blasfemia ed eresia quietista, sostenne l'illegittimità dell'Inquisizione; negò il valore del matrimonio e sostenne che i liberi rapporti sessuali non costituivano peccato ma atti di carità.

Bibliografia

  • Beccarelli, Giuseppe, in DBI, vol. 7 (1970)
  • Marco Faini, Eresia e società nella Brescia del primo Settecento. La vicenda di Giuseppe Beccarelli, in "Studi Veneziani", XLVI 2003, pp. 141-183
  • Marco Faini, Beccarelli, Giuseppe, in DSI, vol. 1, p. 166
  • Gianvittorio Signorotto, L’eresia di Santa Pelagia. Inquisitori e mistici nel Seicento italiano, Il Mulino, Bologna 1989

Voci correlate

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et tamen e summo, quasi fulmen, deicit ictos
invidia inter dum contemptim in Tartara taetra
invidia quoniam ceu fulmine summa vaporant
plerumque et quae sunt aliis magis edita cumque

[Lucretius, "De rerum natura", lib. V]

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