Pico della Mirandola, Giovanni

Dizionario di eretici, dissidenti e inquisitori nel mondo mediterraneo
Edizioni CLORI | Firenze | ISBN 978-8894241600 | DOI 10.5281/zenodo.1309444


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Giovanni Pico della Mirandola (Mirandola, 24 febbraio 1463 – Firenze, 17 novembre 1494) è stato un umanista e filosofo.

Cenni biografici

Giovanni Pico della Mirandola nasce il 24 febbraio 1463 dai signori dell’omonima città emiliana. La sua formazione lo porta a viaggiare per i maggiori centri universitari (più simile al «costume dei clerici medievali che alla smania dei viaggi propria dell’età umanistica»)1: nel 1478 è a Bologna, città in cui studia diritto; un anno dopo, in seguito a un breve soggiorno a Firenze, è a Ferrara. Dal 1480 al 1482 si trova, invece, a Padova dove accede agli studi di filosofia sotto la guida del peripatetico Nicoletto Vernia e dell’ebreo Elia del Medigo; nel 1484, infine, è prima a Parigi e poi ancora a Firenze. La propria formazione, dunque, lo vede impegnato costantemente in un duplice percorso filosofico e letterario. Questi, infatti, prosegue e approfondisce i propri interessi nel campo della filosofia grazie all’amicizia che lo lega a Poliziano e soprattutto a Marsilio Ficino (a cui chiede rispettivamente, tra il 1482 e il 1483, la traduzione dell’Enchiridion di Epitteto e la Theologia Platonica) ma al contempo non trascura il proprio interesse per gli studi umanistici e letterari nato negli anni ferraresi sotto la guida di Battista Guarino.

Gli esordi e la prima produzione letteraria

Gli esordi di Pico lo vedono impegnato in una produzione squisitamente di stampo umanistico di liriche latine e volgari e di alcune elegie sempre in latino tra cui una in lode di Firenze; la prima vera stagione letteraria pichiana, però, (individuata entro il 1484 anno della lettera a Lorenzo dei Medici e il 1487 cui si data l’Apologia)2 è fortemente segnata dal duplice indirizzo di studi e di interessi che ha guidato la formazione del dotto umanista. Se da un lato, infatti, Pico continua ad affermare la superiorità della sententia sulla littera: così, infatti nella lettera del 3 giugno indirizzata a Ermolao Barbaro (detta anche de genere dicendi philosophorum) in cui questi difende la verità della dottrina di quei filosofi «quos nuncupatis barbaros […] quod vulgares dicere solent parisiensem»3 a discapito della pura eleganza letteraria svuotata di contenuti, dall’altro egli (come gli fa notare lo stesso Barbaro) nei suoi scritti persegue una certa ricercatezza stilistica e raffinatezza d’espressione. A tale proposito la lettera a Lorenzo il Magnifico del 15 luglio 1484 può essere considerata come lo scritto programmatico in cui Pico esprime gli ideali che lo animavano in quegli anni.
Seppur con toni marcatamente encomiastici, egli afferma, infatti, il proprio modello letterario (concretizzato nelle prove poetiche di Lorenzo) per cui «in tuis versibus amantium lusibus philosophorum seria sunt admixta»4; la poesia di Lorenzo, quindi, riesce a esprimere gli argomenti seri dei filosofi con grazia d’espressione. È lecito, pertanto, rintracciare in tale dichiarazione il primo abozzo dell’ideale artistico-letterario ma più in generale di un paradigma di vita, di un percorso di apprendimento e scoperta del vero che, attraverso il sapiente uso della parola, conduce alla conoscenza ultima delle cose. A tale verità si arriva, però, attraverso un linguaggio non accessibile a tutti ma ricercatamente ambiguo e ricco di significati ulteriori. In quegli anni, non a caso, Pico inizia lo studio della Cabala aiutato da dotto Flavio Mitridate, convinto che fosse l’unico metodo «per ridurre in unità tutte le tesi, tutte le dottrine, tuti i linguaggi del signore»5 in una sostanziale concordia generale (sebbene il cristianesimo rimanga la vera religione) del pensiero dei filosofi antichi, dei profeti e dei dotti moderni.
Nel maggio del 1486 Pico è protagonista del tentato rapimento di Margherita, moglie di Giuliano di Mariotto de’ Medici, ma grazie all’intervento di Lorenzo il Magnifico egli evita le conseguenze più sgradevoli (i magistrati aretini lo dichiararono, infatti, colpevole nei confronti di tutto il popolo) ritirandosi in Umbria. Questi mesi lo vedono impegnato nella stesura del commento alla canzone di Benivieni (trattato di filosofia dell’amore di impronta marcatamente ficiniana), della prima redazione dell’Oratio de hominis dignitate e soprattutto delle Conclusiones: le novecento tesi teologiche e filosofiche che il dotto umanista avrebbe voluto discutere a Roma l’anno successivo.

Il 1487, l’anno della svolta

Il 1487 costituisce una svolta importante nella breve storia di Pico della Mirandola. La pubblicazione delle novecento tesi contenute nelle Conclusiones il 7 dicembre 1486 aveva destato non poche polemiche e accuse nei confronti del dotto; il 20 febbraio 1487, dunque, Innocenzo VIII sospende la disputa romana istituendo una commissione atta a valutare l’ortodossia delle affermazioni pichiane.
L’opera è suddivisa in due sezioni: 402 tesi riguardanti il pensiero di filosofi del passato (distinte ancora in sette gruppi: filosofi e teologi latini, arabi, greci di indirizzo peripatetico, neoplatonici, caldei, Ermete Trimegisto e infine la Cabala) e 499, invece «secundum opinionem propriam». Su quest’ultima sezione, ovviamente, si è concentrato il doppio esame (magisteriale e inquisitoriale) voluto dal papa. La commissione, insediatasi il primo marzo, classifica secondo pericolosità le tesi contenute nelle Conclusiones: tesi di sapore ereticale, tesi ambigue che necessitano di chiarificazione e tesi rese oscure dalla terminologia ambigua e inconsueta6. Prima della fine del mese la condanna per Pico arriva dapprima per tredici tesi ritenute eretiche o pericolose, in ordine: de descensu Christi ad inferos, de poena peccati mortalis, de adoratione crucis, an a Deo suppositari natura irrationalis possit, de magia naturali et cabala, de sacramento Eucharestiae, de salute Origenis, de libertate credendi, de veris consecrationis, de miraculis Christi, an Deus intelligat, de abdita animae intelligentia, in un secondo momento con la bolla Et si iniuncto nobis del 4 agosto 1487 il papa vieta sotto minaccia di scomunica la stampa e la lettura dell’intera opera.
In risposta Pico scrive (per sua ammissione di getto e freneticamente, in solo venti notti) l’Apologia, pubblicata il 31 maggio 1487, in cui viene recuperata e riutilizzata la seconda parte dell’Oratio. L’opera si apre con la dedica a Lorenzo dei Medici e ribatte puntualmente le accuse rivoltegli proponendo un nuovo elenco di quarantasei tesi in sostiutuzione delle tredici incriminate. Non ottenendo il risultato sperato Pico è costretto a fuggire dall’Italia. Nel 1488 questi si ritrova in Francia dove viene imprigionato (ma il verbo ospitare si avvicina meglio alla realtà di quei giorni) nella rocca di Vincennes; grazie all’intercessione di Lorenzo il magnifico, il dotto ormai libero si reca a Torino e in seguito a Firenze dove vi rimane fino alla propria morte avvenuta il 17 novembre 1494 (a causa di un avvelenamento forse compiuto proprio dal cancelliere personale Cristoforo da Casale).

Gli ultimi anni

Pico riceve l’assoluzione dal peccato di eresia solo il 18 giugno 1493 (morto ormai Lorenzo il magnifico) da papa Alessandro VI. Nel frattempo egli continua e sviluppa le proprie riflessioni approfondendo i suoi studi sull’ebraico con un maestro d’eccezione Jochanan Alemanno. Il lavoro al commento ai Salmi e ai primi 27 versi della Genesi confluisce nel 1488 nell’Heptaplus dedicato a Lorenzo il Magnifico in cui forte si sente l’influenza del pensiero cabalistico; nel 1491 viene alla luce, invece, l’opera forse più sottile e più matura del pensiero pichiano de Ente et Uno dedicata a Poliziano in cui lo studioso tenta una riconciliazione tra i due massimi sistemi filosofici (aristoteliso e platonismo) in una pax filosofica generale comprendente un reimpasto di teologie precristiane e cristiane.
Di questi anni sono anche le laude in onore dello stesso Poliziano, le Epistolae indirizzate al nipote Giovanni Francesco e le Disputationes adversus astrologiam divinatricem, opera interrotta per la morte del suo stesso autore. Il testo risente delle influenze del pensiero religioso savonaroliano che Pico stesso aveva fatto chiamare a Firenze nel 1490; sebbene le Disputationes costituiscano una sorta di ritrattazione delle precedenti idee in cui l’astrologia era ammessa come fondamento della magia naturale, il dotto filosofo non smette di ribadire (fino alla morte) il proprio pensiero cardine, basato sulla centralità e dignità dell’uomo, unico essere non predeterminato ma in gardo di congiungersi all’intelletto divino.

Bibliografia

  • AA. VV., Homo sapiens. Homo humanus, Olschki, Firenze 1990 (vol. II pp. 203-220).
  • AA. VV., L’opera e il pensiero di G. Pico della Mirandola nella storia dell’Umanesimo, Olschki, Firenze 1965.
  • Franco Bacchelli, Pico, Giovanni, conte della Mirandola e Concordia, in DBI, vol. 83 (2015).
  • Gian Carlo Garfagnini (a cura di), Giovanni Pico della Mirandola. Convegno internazionale di studi nel cinquecentesimo anniversario della sua morte (1494-1994) Mirandola 4-8 ottobre 1994, Olschki, Firenze 1997, (cit. nel testo Albano Biondi, La doppia inchiesta sulle Conclusiones e le traversie romane di Pico nel 1487 pp. 197-212)
  • Eugenio Garin, Ritratti di umanisti, Sansoni, Firenze 1967.
  • Eugenio Garin, Prosatori latini del Quattrocento, in La letteratura italiana. Storia e testi, Raffaele Mattioli, Pietro Pancrazi, Alfredo Schiaffini, Ricciardi, Milano-Napoli 1953, t. XIII.
  • Eugenio Garin, Giovanni Pico della Mirandola. Vita e dottrina, Le Monnier, Firenze 1937.
  • Jader Jacobelli, Pico della Mirandola, Longanesi, Milano 1986.
  • Paolo Orvieto, Giovanni Pico della Mirandola, in Storia della letteratura italiana, a cura di Enrico Malato, Salerno, Roma 1996 pp. 342-349.
  • Paolo Viti (a cura di), Pico, Poliziano e l’Umanesimo di fine Quattrocento. Biblioteca Medicea Laurenziana 4 novembre – 31 dicembre 1994, Olschki, Firenze 1994 (in particolare Francesco Bausi, Il “dissidio” del giovane Pico tra Umanesimo e filosofia (1484-1487) pp. 31-58).

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Article written by Cristina Dusio | Ereticopedia.org © 2017

et tamen e summo, quasi fulmen, deicit ictos
invidia inter dum contemptim in Tartara taetra
invidia quoniam ceu fulmine summa vaporant
plerumque et quae sunt aliis magis edita cumque

[Lucretius, "De rerum natura", lib. V]

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