Albani, Giovanni Girolamo

Dizionario di eretici, dissidenti e inquisitori nel mondo mediterraneo
Edizioni CLORI | Firenze | ISBN 978-8894241600 | DOI 10.5281/zenodo.1309444


Giovanni Girolamo Albani (Bergamo, 3 gennaio 1509 - Roma, 25 aprile 1591) è stato un giurista e cardinale.

Membro di un'importante famiglia della nobiltà bergamasca, studiò a Padova, addottorandovisi nel 1529.
Compose quindi varie opere giuridiche, orientate, per lo più, alla difesa delle prerogative del papato e della curia romana anche di fronte la contestazione protestante: il De donatione Constantini Magni (1535), il De cardinalatu (1541), il De potestate Papae et Concilii (1544), il De immunitate ecclesiarum (1553), le Disputationes ac consilia (1553) e le Lucubrationes in Bartoli lecturas (1559).

Nel 1550 consigliò e protesse Michele Ghislieri, giunto a Bergamo per procedere contro il vescovo "eretico" Vittore Soranzo. Nel 1556 ospitò il giovane Torquato Tasso.

Nel 1563 fu coinvolto nell'omicidio del conte Achille Brembati, organizzato da due suoi figli. Per questo fu arrestato a Venezia e condannato al bando dai territori della Serenissima. Compose alcune poesie latine nelle quali mostrava la sua sofferenza per l'esilio.

Ghislieri, eletto papa nel 1566 col nome di Pio V, lo fece venire a Roma per sdebitarsi della protezione accordatagli a Bergamo e per servirsene come consigliere. Già protonotario apostolico e governatore di Ancona, Albani fu quindi creato cardinale il 17 maggio 1570.

Rimase a Roma fino alla morte (1591), distinguendosi tra i membri più autorevoli della Curia. Fu papabile nel 1585 e nel 1590.

Bibliografia

  • Bortolo Belotti, Una sacrilega faida bergamasca del Cinquecento, Istituto Italiano d'arti grafiche, Bergamo 1937.
  • Luigi Chiodi, Note brevi di cose bergamasche ignote o quasi, a cura di Vincenzo Marchetti, Comune di Verdello, Verdello 1988.
  • Giovanni Cremaschi, Albani, Giovan Girolamo, in DBI, vol. 1 (1960).

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et tamen e summo, quasi fulmen, deicit ictos
invidia inter dum contemptim in Tartara taetra
invidia quoniam ceu fulmine summa vaporant
plerumque et quae sunt aliis magis edita cumque

[Lucretius, "De rerum natura", lib. V]

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