Dizionario di eretici, dissidenti e inquisitori nel mondo mediterraneo
Edizioni CLORI | Firenze | ISBN 978-8894241600 | DOI 10.5281/zenodo.1309444
Giovanni Botero (Bene Vagienna, 1544 - Torino, 23 giugno 1617), è stato un gesuita, filosofo e teorico politico italiano.
Vita e opere
Giovanni Botero ha avuto, tra le altre, la fortuna di essere stato biografato da due grandi storici del Novecento italiano: Federico Chabod e Luigi Firpo. Ragion per cui un suo profilo aggiornato, alla luce di nuove scoperte documentarie o di maggiori approfondimenti, è praticamente impossibile o non necessario. Se ne può tuttavia abbozzare uno sintetico, tenendo conto degli studi, sempre più fiorenti e per lo più di matrice spagnola, sulla doppia fedeltà. Botero, infatti, figura controversa e già celebre in vita, di ex gesuita, scrittore e pensatore politico, non solo fu servitore di più padroni e declinò, in quanto tale, la sua produzione letteraria e storiografica in base ai legami del momento. Egli restò in bilico fra due poteri forti – la monarchia asburgica e il papato – nell’alveo dei quali entrò più specificamente in contatto con Milano e con Torino. Leggendo così, cioè tenendo a mente la Spagna, il suo percorso biografico e intellettuale, e smorzando invece il passaggio dal servizio di un principe a un altro (la curia romana, i Borromeo, il duca di Savoia), si rivaluta nella giusta dimensione internazionale un autore arcinoto soprattutto per un titolo: il Della ragion di Stato.
Secondo Firpo, che ha smentito altre datazioni, nacque nel 1544 a Bene, da una famiglia di modeste condizioni. Nel 1559 compare tra gli allievi del Collegio della Compagnia di Gesù di Palermo, dove era approdato grazie allo zio sacerdote Giovenale, e nel 1560 è attestato a Roma, nel Collegio romano, compagno di Roberto Bellarmino. Ancora assai giovane insegnò retorica nei collegi di Amelia, Loreto e Macerata e nel 1567 ebbe occasione di recarsi a Parigi, dove maturò sentimenti anti-spagnoli e compose scritti che gli attirarono l’ostilità dei superiori i quali nel ’69, pur senza espellerlo, lo richiamarono in Italia con destinazione Bologna. L’ordinazione sacerdotale giunse tardiva fra il 1571 e il 1573, ma intanto Botero si fece conoscere e apprezzare come oratore e poeta a Padova, dove strinse amicizia con Gian Vincenzo Pinelli, e a Milano, dove Carlo Borromeo gli chiese un consulto circa l’opportunità delle nozze dell’anziano cardinale Enrico di Aviz, succeduto sul trono di Portogallo alla morte del giovane nipote Sebastiano (1578). I frequenti contrasti caratteriali con i rettori, uniti a moti di stizza e a momenti di depressione, lo spinsero a chiedere, a partire dal 1577, di essere inviato missionario nelle Americhe. Invano: i padri avevano in mente per lui il Collegio di Torino e le missioni evangelizzatrici nel Saluzzese percorso dalle correnti ugonotte e valdesi. La prospettiva lo mandò in escandescenze e nel 1580, dopo aver trovato riparo presso il cardinal Borromeo, chiese e ottenne di poter abbandonare la Compagnia di Gesù. Durante i primi incarichi affidatigli fra Luino, Treviglio e Genova, Botero scrisse il De regia sapientia, dedicato a Carlo Emanuele I di Savoia ed edito a Milano nel 1583, e si laureò in teologia a Pavia, entrando anche nel circuito accademico-culturale di Federico Borromeo. Alla morte di san Carlo – che lo aveva pure introdotto presso il cardinale Andrea Báthory, nipote del re di Polonia – ebbe l’occasione di recarsi in missione diplomatica in Francia insieme con René de Lucinge des Allymes per conto di Carlo Emanuele: fra le Epistolae theologicae composte in quei mesi del 1585 una, indirizzata al Carafa e riservata ai culti para-cristiani asiatici e americani, pare essere il primo nucleo costitutivo delle Relazioni universali. La lettura dei Sex livres de la République di Jean Bodin, poi, fu determinante nella concezione del Delle cause della grandezza e magnificenza delle città, «un’operetta di mole esigua, ma lucida e penetrante, forse il suo capolavoro» (Firpo, DBI), apparsa a Roma nel 1588, e soprattutto del Della ragion di Stato, «l’aureo opuscolo» (ivi) edito a Venezia da Giolito de’ Ferrari nel 1589 e subito recepito in tutta Europa.
Il trattato politico, divenuto subito celeberrimo e letto troppo spesso solo in ottica anti-machiavelliana, contiene in nuce alcuni temi portanti delle Relazioni universali: il nesso Stato-fede, l’attenzione per le dinamiche economiche, il confronto tra paesi e sistemi politici diversi. Ma le Relazioni, apparse nella prima versione a Roma nel 1591 con dedica al cardinale di Lorena Carlo di Guisa, travalicano la dimensione del saggio breve e si propongono come la summa del mondo (fino ad allora) cognito, organizzando la materia, enorme, farraginosa, affascinante, in quattro parti strettamente interconnesse fra loro. La prima affronta la geografia fisica dei continenti – Europa, Asia, Africa e Mondo nuovo, ai quali si affianca l’ampia sezione sulle isole, trattate come piccoli mondi separati – prevedendo per ciascuno la descrizione delle nazioni, delle regioni e delle città che li componevano. La seconda, emanazione e sublimazione del Della ragion di Stato, analizza le forme di governo delle maggiori potenze mondiali offrendo numerosi dati di carattere statistico e soprattutto, come in una sorta di partita a Risiko sempre da giocare, osservando l’interazione fra regni e blocchi di potere nelle dinamiche di guerra e nei complessi equilibri di pace. La terza parte è dedicata ai culti sparsi per l’orbe terracqueo con attenzione al grado di riuscita del cristianesimo e dell’evangelizzazione cattolica, sulla quale ultima, infine, si concentra la quarta e più ristretta parte delle Relazioni. Best seller europeo capace di un centinaio di edizioni tra Cinque e Seicento e di subitanee traduzioni in latino, tedesco, polacco e spagnolo, l’opus, giudicato da Chabod, nel bene e nel male, il capolavoro di Botero, si rivela tuttora unico nella sua straordinaria sapienza tematica e nella concezione filosofica che lo ispira: non solo o non tanto, come a lungo è stato valutato, un vessillo del cattolicesimo universale e controriformistico, bensì pure un viaggio politico virtuale nel mondo moderno la cui ansia di contemporaneità e l’urgenza del dato economico e numerico ne fa davvero lo specchio di un globo antropologicamente interessante e variegato, affollato, dinamico, in perenne trasformazione.
La quinta parte, rimasta inedita fino a che l’erudito Carlo Gioda, nel 1895, non la trascrisse, è in tal senso illuminante. Stesa come aggiornamento veloce della massa delle Relazioni all’incirca tra il 1607 e il 1611, essa indugia sulle rovinose guerre di Fiandra, sulla cacciata dei moriscos dalla Spagna, sulle guerre turco-persiane che andavano alterando gli equilibri dell’Impero ottomano fra il Mediterraneo e l’Afghanistan, sull’economia negriera di Guinea e Sierra Leone, sulla minaccia giapponese in estremo oriente, sulla ribellione degli Araucani del Cile, sullo stato effettivo (e non ottimale) del cattolicesimo nel mondo, in un caleidoscopio di prospettive politico-economiche preoccupanti ed esaltanti al tempo stesso.
Poco importa allora che Botero, rimproverato da molti suoi commentatori e da Chabod per primo, copi - e spesso indiscriminatamente - relazioni e storie altrui per raccogliere il maggior numero di informazioni possibile: Ludovico Guicciardini, la raccolta di Giovan Battista Ramusio, Leone l’Africano, le Litterae annuae dei gesuiti (ex colleghi sempre elogiati e persino invidiati per la chance di esplorare terre incognite e fondare missioni), José de Acosta, João de Barros e ancora, per la parte quinta, Cesare Campana, Giovanni Tommaso Minadois, Francisco de Almada e altri fungono da testimoni attendibili e talvolta oculari di quanto stava stava accadendo negli intensi decenni delle scoperte geografiche, dell’espansione degli imperi (asburgico, turco, angolano, etiope, cinese, etc.), dei progressi della cartografia, di un’economia e di un orizzonte devozionale davvero mondiali.
Il successo assicuratogli dal trittico fortunatissimo garantì a Botero la protezione di Filippo II che, attraverso l’ambasciatore spagnolo a Roma Antonio Fernández de Córdoba, duca di Sessa e amico personale dell’ex gesuita, gli assegnò una pensione, orientandolo così alle dediche in omaggio a Pietro Tagliavia d’Aragona e a Juan Fernández de Velasco per alcune delle parti riedite delle Relazioni. Ma a segnare il passaggio definitivo dell’autore al servizio di Spagna fu la profferta di Carlo Emanuele I di divenire, nel 1599, precettore dei tre principi più grandi avuti dall’Infanta Catalina Micaela, cioè Filippo Emanuele, Vittorio Amedeo ed Emanuele Filiberto. Fu lui ad accompagnarli alla corte di Valladolid nel 1603 a compimento della loro educazione principesca (e nella speranza che Filippo Emanuele, poi morto di vaiolo nel 1605, potesse succedere a Filippo III ancora senza prole) e fu lui a soggiornare in terra spagnola con loro per quasi tre anni, fino al luglio del 1606. L’esperienza, dipinta dai biografi come negativa per le cattive condizioni di salute dei rampolli e per il costante peregrinare della corte asburgica, fu in realtà seminale per il concepimento della Parte V delle Relazioni, nella quale abbondano riferimenti di prima mano a conversazioni e riflessioni intrattenute con nobili e ministri del posto, non ultimo il duca di Lerma: si pensi alla severa e controcorrente condanna boteriana della cacciata dei moriscos dalla penisola iberica, o agli illuminanti paragoni tra la rivoluzione dei Paesi Bassi e la ribellione degli Araucani in Cile.
Ma oltre all’aggiornamento dell’opera maggiore, Botero non cessò di scrivere altro, pur ripiegando su un meno felice genere agiografico ed encomiastico: appartengono a tale fase I prencipi (Alessandro Magno, Cesare e Scipione) dedicato ai suoi tre alunni nel 1600, e il più interessante excursus su I capitani, stampato a Torino da Giovan Domenico Tarino nel 1607, anch’esso ad usum delphini ma condotto sul filo della storia contemporanea nel tentativo di rileggere la crisi delle Fiandre attraverso le biografie di Francesco ed Enrico di Guisa, Enrico III di Valois, Anne di Montmorency, del duca d’Alba e di Alessandro Farnese. La raccolta uscì abbinata a una nuova edizione delle Relazioni universali per i tipi di Tarino con l’aggiunta di relazioni aggiornate o riscritte sulla Spagna, sul Piemonte, su Nizza – tre chiari omaggi al patron sabaudo, ma anche testimonianza delle più recenti avventure personali –, sullo Stato della Chiesa e su Ceylon. Due discorsi brevi ma non banali sull’idea di monarchia e di nobiltà e due medaglioni celebrativi di Emanuele Filiberto e Carlo Emanuele I corredavano, infine, il volume.
Divenuto precettore degli altri due principi di Casa Savoia Tommaso e Maurizio, nel 1610 Botero rinunciò a favore di quest’ultimo, giovane cardinale, alla rendita su San Michele della Chiusa che Carlo Emanuele gli aveva concesso alcuni anni prima; ciò anche in polemica con le ultime manovre filofrancesi del duca e in ossequio a quel ripiegamento intimo che condizionò sempre di più gli anni finali della sua vita. Quando morì, il 23 giugno 1617, fu seppellito, come voleva, in una tomba senza nome nella Chiesa dei Santi Martiri di Torino. Questa non solo era il luogo delle devozioni dei confratelli della Compagnia di San Paolo, ma era officiata dai padri gesuiti che erano rimasti per lui il miglior riferimento spirituale.
Bibliografia essenziale
- Aldo Albònico, Il mondo americano di Giovanni Botero. Con una selezione dalle Epistolæ e dalle Relationi Universali, Bulzoni, Roma 1990.
- Enzo Baldini (a cura di), Botero e la ‘Ragion di Stato’. Atti del convegno in memoria di Luigi Firpo, Torino, 8-10 marzo 1990, Olschki, Firenze 1992.
- Giovanni Botero, Della ragion di Stato. Con tre libri Delle cause della grandezza delle città, due Aggiunte e un Discorso sulla popolazione di Roma, a cura di Luigi Firpo, Utet, Torino 1948.
- Giovanni Botero, Le relazioni universali, Introduzione e cura di Blythe Alice Raviola, Nino Aragno editore, Torino 2015, 2 voll.
- Giovanni Botero, I capitani. Con alcuni discorsi curiosi, a cura di Blythe Alice Raviola, Nino Aragno editore, Torino 2017 [in corso di stampa].
- Giovanni Botero, Le relazioni universali. Parte quinta. Con la Relazione del mare, a cura di Blythe Alice Raviola, Nino Aragno editore, Torino 2017 [in corso di stampa].
- Michela Catto, Guido Mongini, Silvia Mostaccio (a cura di), Evangelizzazione e globalizzazione. Le missioni gesuitiche nell’età moderna tra storia e storiografia, Società editrice Dante Alighieri, Firenze 2010.
- Federico Chabod, Giovanni Botero, in «Nuovi studi di Diritto, Economia e Politica», 4, 1934 e in Id., Scritti sul Rinascimento/, Einaudi, Torino 1967, pp. 269-374; Appendici a «Giovanni Botero», ivi, pp. 375-458.
- Romain Descendre, //L’état du monde: Giovanni Botero entre raison d’état et géopolitique, Droz, Genève 2009.
- Luigi Firpo, Botero, Giovanni, in DBI, 13 (1971).
- Marzia Giuliani, Il vescovo filosofo. Federico Borromeo e I sacri ragionamenti, Olschki, Firenze 2007.
- John M. Headley, Geography and Empire in the Late Renaissance: Botero’s Assignment, Western Universalism, and the Civilizing Process, in «Renaissance Quarterly», vol. LIII, n. 4, Winter 2000, pp. 1119-1155.
- Alberto Magnaghi, Le “Relazioni universali” di Giovanni Botero e le origini della statistica e dell’antropogeografia, Clausen, Torino 1906.
- Blythe Alice Raviola, Un viaggio politico nel mondo moderno, in Giovanni Botero, Le relazioni universali, cit., I, pp. XXVII-XC.
Article written by Blythe Alice Raviola | Ereticopedia.org © 2016
et tamen e summo, quasi fulmen, deicit ictos
invidia inter dum contemptim in Tartara taetra
invidia quoniam ceu fulmine summa vaporant
plerumque et quae sunt aliis magis edita cumque
[Lucretius, "De rerum natura", lib. V]