Dizionario di eretici, dissidenti e inquisitori nel mondo mediterraneo
Edizioni CLORI | Firenze | ISBN 978-8894241600 | DOI 10.5281/zenodo.1309444
Giovanni Battista Gardi è stato un sarto anticlericale perseguitato dal Sant'Uffizio di Bologna alla fine del Seicento.
La vicenda
L'11 febbraio del 1688 Cornelio Corradino dalla Balla, dottore in legge di trentacinque anni, si presentò al Sant'Uffizio di Bologna per denunciare Giovanni Battista Gardi, sarto della stessa città. Davanti al vicario dell’inquisitore, frate Vincenzo Ferrari, dichiarò di avere ricevuto in prestito dal sarto un libro e di avere poi scoperto che si trattava di un testo posto all'Indice. L’aveva subito restituito ammonendo Gardi sul divieto di possedere tali scritture ma era stato brutalmente insultato. L’uomo gli aveva replicato di consultare l'Indice solo per scoprire quali fossero i libri proibiti, perché allora vi sarebbe stato «qualche cosa di buono»1. Cornelio riferì anche che il sarto aveva detto a dei conoscenti di dubitare della facoltà del pontefice Innocenzo XI di emanare scomuniche che riguardassero la sfera temporale e concluse la denuncia facendo i nomi dei ‘complici’, fra i quali figurava quello di Ercole Rivani, capitano di milizie. Il 27 febbraio Cornelio si ripresentò davanti al vicario per completare la denuncia e per alleggerire definitivamente la propria coscienza, e riferì che Gardi aveva accusato Innocenzo XI di quietismo, affermando persino che aveva dovuto abiurare. Secondo Cornelio, il sarto avrebbe sostenuto che il papa aveva intenzione di riconoscere pubblicamente il quietismo, e tal fine aveva nominato dei cardinali quietisti, sperando in una loro futura elezione al soglio pontificio per affermare l'’eresia’ all'interno della Curia. Cornelio aggiunse ancora di avere sentito Gardi lodare l'Historia del Concilio di Trento di Paolo Sarpi e di avere sostenuto che gran parte dei libri proibiti erano censurati in quanto veritieri.
Dopo la prima deposizione di Cornelio la macchina inquisitoriale si era già innescata. I mandatari, coadiuvati dal fiscale del Sant'Uffizio, sequestrarono presso i locali presi in affitto del sarto diversi manoscritti. Si trattava di numerose pasquinate di tono anticlericale; sonetti che ridicolizzavano i conclavi del tempo; poesie agnostiche ed un libretto manoscritto intitolato Regole e istruzioni de Sig.ri li discepoli di S. Agostino dell'unione, in cui veniva esaltato il giansenismo e la dottrina della predestinazione. Venuto a conoscenza della perquisizione, Gardi decise di presentarsi spontaneamente dal vicario del Sant'Uffizio. L'uomo dichiarò di avere quarantanove anni e di essere figlio di Domenico, ma di non conoscere il motivo delle perquisizioni effettuate nella sua casa e bottega. Quando il vicario gli mostrò i manoscritti sequestrati, Gardi li riconobbe come propri; tuttavia chiarì che si trattava di materiale ereditato dal fratello Andrea, morto intorno al 1682. Il sarto fu dimesso ma venne condotto preventivamente nelle carceri del Sant'Uffizio di Bologna. Le discussioni tra Gardi, Ercole Rivani e gli altri compagni di conversazione si erano incentrati particolarmente sulla vicenda dei ‘quartieri’, che aveva contrapposto Luigi XIV a Innocenzo XI. Gli inviati dei sovrani stranieri a Roma infatti godevano di una zona franca, in cui la polizia pontificia non aveva alcuna autorità. Ma negli anni settanta del Seicento la situazione era degenerata: molti malfattori si rifugiavano nei ‘quartieri’ per eludere la giurisdizione romana ordinaria. Inoltre le immunità doganali di cui godevano gli inviati iniziarono a danneggiare economicamente lo Stato pontificio. Innocenzo XI, papa riformatore, decise di porre fine al sistema, ottenendo il consenso di gran parte dei sovrani europei. Ma la Francia si oppose fermamente. La vicenda provocò una lunga serie di incidenti e di controversie diplomatiche, culminate nel 1687 con la nomina del nuovo ambasciatore di Francia. Innocenzo XI, che non gli era ostile, fece sapere al governo francese che sarebbe stato ricevuto alla sua corte solo dopo la rinuncia al quartiere. Con la bolla del 12 maggio 1687, infatti, il papa dichiarò soppressa la libertà di quartiere. Luigi XIV, irritato dall'iniziativa, nel novembre dello stesso anno inviò a Roma l’ambasciatore con l'intenzione di riaffermare quel diritto. Il papa rispose negandogli l'udienza e infliggendogli una scomunica. Gardi e i suoi compagni, come depose Cornelio, erano contrari a quella scomunica perché una pena spirituale era stata usata nell'ambito di una disputa politica ossia di carattere temporale. Le testimonianze dei lavoranti di bottega e dei conoscenti, registrate nei mesi successivi alla carcerazione di Gardi, presentano l'uomo come un acceso sostenitore della Francia e come un polemico denigratore dei pontefici del tempo. I papi, avrebbe sostenuto Gardi, «s'usurpano più autorità che non havea S. Pietro»2 e trascuravano la Chiesa dei vescovi, in particolare quella di Bologna. La simpatia del sarto verso la Francia fu confermata dal suo interesse per le opere di Louis Maimbourg, un gesuita che nel 1681 era stato costretto ad abbandonare la Compagnia per le sua difesa dei diritti della Chiesa gallicana. I sui testi erano stati condannati qualche mese prima dalla Congregazione del Sant'Uffizio e furono posti all'Indice nel 16803.
Nei mesi successivi continuarono le indagini e gli interrogatori del vicario e vennero raccolte numerose testimonianze contro il sarto e Rivani; ma il 30 marzo 1688 Gardi fu dimesso dal carcere. L'uomo, infatti, era stato colto da un'infermità e gli era stata concessa la possibilità di continuare la detenzione nella propria casa grazie a una fideiussione offerta dal medico curante, Antonio de Giavarini. Il 10 luglio, quattro mesi dopo la convalescenza, Gardi fu riconvocato dal vicario del Sant'Uffizio per un ultimo interrogatorio. Ormai le testimonianze a conferma della denuncia di Cornelio erano più che abbondanti; tuttavia il giudice della fede voleva avere altre spiegazioni sulle letture del sarto. Gardi dimostrò di ricordare bene gli argomenti di cui parlavano i testi consultati, ma alla domanda se avesse mai pensato che si trattasse di letture proibite, l'uomo mostrò il suo rammarico per non avere avuto l'accortezza di consultare l'Indice. Si giustificò, spiegando di non esserne stato a conoscenza. Il vicario chiese anche delle composizioni poetiche e delle pasquinate sequestrate, e Gardi dichiarò di non conoscerne l'autore e ribadì la provenienza del materiale come eredità ricevuta dalla morte del fratello uterino Andrea. Ammise anche di avere letto le composizioni, ma incalzato dai moniti del vicario, rispose: «capisco l’errore che ho fatto di legere e tenere le dette compositioni, e mi dispiace d’haverlo fatto, e ne dimando perdono a Dio»4. Infine fu invitato a dire cosa pensava dell’autorità dell’Indice, del potere dei pontefici, della potestà spirituale, dell’arma della scomunica, e di tutti gli altri argomenti che lo avevano portato davanti al Sant’Uffizio. Lo stesso giorno gli furono letti gli atti del processo che provavano la sua colpevolezza. Il sarto rifiutò di avvalersi dell'avvocato d'ufficio per formulare la difesa, affidandosi alla misericordia del tribunale. Il vicario rimandò Gardi al carcere domicilare.
Il 22 e il 27 agosto 1688 dello stesso anno furono emesse le sentenze nei confronti di Gardi e Rivani. Entrambi, oltre che alle consuete penitenze salutari, furono condannati al divieto assoluto di lasciare la città di Bologna per un periodo indeterminato e all’obbligo di presentarsi al Sant’Uffizio ogni volta che ne fosse fatta richiesta. L’11 febbraio 1692 il vicario generale arcivescovile Bonaventura Martinelli scrisse una lettera all’inquisitore e al suo vicario in cui chiese la grazia per Gardi. Erano passati quattro anni dal processo, e la condotta del sarto era stata ineccepibile. Le restrizioni impostegli stavano creando un grave pregiudizio per la sua vita e per la sua attività. L’inquisitore recepì la supplica e accordò la grazia al sarto anticlericale.
Bibliografia
- Antonio Battistella, Il S. Officio e la riforma religiosa in Bologna, Zanichelli, Bologna 1905.
- Gian Luca D’Errico, L’Inquisizione di Bologna e la Congregazione del Sant’Uffizio alla fine del XVII secolo, Aracne editrice, Roma, 2012.
Nota bene
Questa voce è la rielaborazione, con alcune modifiche e aggiunte, di un testo originalmente pubblicato in Dizionario storico dell'Inquisizione, diretto da Adriano Prosperi in collaborazione con Vincenzo Lavenia e John Tedeschi, Edizioni della Normale, Pisa 2010, vol. 2, pp. 644-45.
Article written by Gian Luca D'Errico | Ereticopedia.org © 2013
et tamen e summo, quasi fulmen, deicit ictos
invidia inter dum contemptim in Tartara taetra
invidia quoniam ceu fulmine summa vaporant
plerumque et quae sunt aliis magis edita cumque
[Lucretius, "De rerum natura", lib. V]