Dizionario di eretici, dissidenti e inquisitori nel mondo mediterraneo
Edizioni CLORI | Firenze | ISBN 978-8894241600 | DOI 10.5281/zenodo.1309444
Giambattista Vico (Napoli 23 giugno 1668 – Napoli 23 gennaio 1744) è stato un filosofo, storico e giurista.
La formazione
Nato da una famiglia di modeste condizioni economiche – il padre Antonio era un piccolo librario, mentre la madre Candida Masulla una semplice figlia di un lavorante di carrozze – il giovane Vico intraprese dapprima gli studi di filosofia presso il Collegio Massimo dei Gesuiti di Napoli, per poi abbandonarli nel 1680 a causa di un’ingiustizia scolastica subita. Su impulso del padre, si avvicinò agli studi giuridici, condotti anche questi da autodidatta, ottenendo infine la laurea in utroque (diritto canonico e civile) tra il 1693 e il 1694, probabilmente a Salerno. Dal 1686 al 1695, spinto dalle ristrettezze economiche, accettò il posto di istitutore dei figli del marchese Domenico Rocca. I suoi soggiorni saltuari a Portici e a Vatolla, nel Cilento, non spezzarono i legami intessuti con il milieu napoletano del tempo, dove prosperava un ceto intellettuale estremamente attivo e vivace. Nel clima di aspirazioni riformistiche che cominciavano a ribollire in seno al Regno di Napoli, Vico non esitò a fornire il proprio contributo a quel movimento di idee fortemente polemico nei confronti della tradizione scolastica, nonché proteso verso le nuove correnti della cultura europea come la filosofia atomistica, il cartesianismo e l’erudizione storica. In quegli stessi anni si dedicò allo studio del latino e apprese la filosofia cartesiana, verso la quale assunse tuttavia un atteggiamento polemico. Sull’esempio di altri letterati della sua generazione, si cimentò anche nella scrittura di poesie. Tra queste emerge la canzone “Affetti di un disperato”, una rappresentazione in versi di una vera e propria crisi esistenziale, scaturita forse dai processi inquisitoriali intentati a Napoli contro gli ateisti, fervidi esponenti dell’intellettualità napoletana rei di aver sostenuto e diffuso tesi eterodosse in campo religioso e politico.
I primi scritti
Nel 1699 Vico risultò vincitore di una cattedra di retorica presso l’Università di Napoli. Nelle vesti di professore tenne le orazioni inaugurali dei successivi anni accademici, nelle cui pagine è possibile delineare il nucleo fondante del suo pensiero, legato a una pedagogia intrisa di valori civili. La più nota delle sue prolusioni risulta quella del 1708, intitolata De nostri temporis studiorum ratione. Due anni dopo venne dato alle stampe il Liber metaphysicus che, secondo il progetto originario, doveva costituire il primo di tre libri – uno dedicato alla metafisica e alla logica, uno alla fisica e uno all’etica – da riunire sotto il comune titolo di De antiquissima Italorum sapientia ex linguae Latinae originibus eruenda. Con il materiale raccolto per il secondo volume Vico decise di farne un opuscolo (De aequilibrio corporis animantis), di cui sia il manoscritto che l’edizione a stampa risultano perduti. Tra il 1711 e il 1712 elaborò una Risposta e una Seconda Risposta in reazione alle critiche mosse sul «Giornale de’ letterati» di Venezia al De antiquissima. Nel 1713 venne incaricato dal duca Adriano Antonio Carafa di redigere la biografia di suo zio, il condottiero Antonio Carafa (1642-1693) che aveva combattuto al servizio degli Asburgo contro i Turchi e i Magiari. La stesura di tale opera durò tre anni e nel 1716 vide la luce il De rebus gestis Antonii Caraphaei. Mosso anche dall’ambizione di ottenere la prestigiosa cattedra di diritto romano, Vico concentrò i suoi massimi sforzi intorno alla teoria e alla storia delle istituzioni giuridiche, senza trascurare i primari interessi legati agli studi filosofici e letterari. Tra il 1720 e il 1721 venne pubblicato il Diritto universale, composto da una sintesi programmatica (Sinopsi del diritto universale, 1720) e due libri (De universi iuris uno principio et fine uno, 1720; De constantia iurisprudentiae, 1721). Dallo studio approfondito dei poemi omerici, condotto in parallelo a tale opera, egli cominciò a maturare l’idea di ripensare le origini della civiltà umana in chiave storico-antropologica. La sconfitta subita al concorso bandito nel 1723 alimentò i suoi propositi concernenti l’elaborazione di un’opera che, come dichiarò nella sua autobiografia, fosse in grado di «ritrovare i principi del diritto naturale delle genti dentro quegli dell’umanità delle nazioni».
La Scienza nuova: corsi e ricorsi della storia
La prima edizione della Scienza nuova venne data alle stampe, a spese dell’autore, nel 1725. Una seconda stesura vide la luce nel 1730, alla quale Vico apportò instancabilmente commenti, note e correzioni che confluirono infine nella terza e ultima edizione del 1744, uscita postuma. La sua massima opera, che costituiva un pionieristico abbozzo di storia universale comparata, non ebbe tuttavia il successo sperato. In una lettera a un amico egli confessava: «Pubblicando la mia opera in questa città mi pare proprio di averla pubblicata nel deserto; evito tutti i luoghi pubblici per non incontrare nessuno di coloro a cui l’ho inviata; quando tuttavia l’incontro è inevitabile, saluto senza fermarmi; in questo caso nessuno mi dà il più piccolo segno di averla ricevuta, per cui rafforzo la mia impressione di avere pubblicato il mio libro in un deserto». La sua prima ricostruzione empirica della storia umana universale – dalla religione alla società, dalle forme di governo alle istituzioni giuridiche – si fondava su un elemento di forte discontinuità rispetto alle correnti di pensiero del tempo: ovvero sul principio filosofico di una eterna legge di sviluppo provvidenziale, non concepito in senso storico-progressivo né tantomeno in senso cosmologico-ciclico. L’evoluzione della società e della civiltà viene scandagliata da Vico, contrariamente alle speculazioni razionalistiche dei giurisdizionalisti, nei termini di un’espressione storica di quello sviluppo dell’umanità attraverso il quale la stessa vita politica trova giustificazione e fondamento. La politica non era quindi concepita come un mondo a sé stante, retto da astratte norme razionali, ma veniva considerata nella sua concreta manifestazione nella storia «ideal eterna». In particolare, Vico distinse tre momenti della storia ideale:
1) l’età degli dei, in cui i pagani vivevano sotto il reggimento divino e per tutte le loro azioni interrogavano auspici e oracoli, da lui definiti come le più antiche istituzioni della storia;
2) l’età degli eroi, caratterizzata dal dominio delle oligarchie aristocratiche sulla massa dei plebei;
3) l’età degli uomini, in cui tutti gli uomini vivono in libere repubbliche e monarchie.
Secondo il pensiero vichiano, solo nell’età umana si giunse dunque al dominio della ragione e di un diritto fondato sulla libera coscienza, sull’uguaglianza e sull’equità. Nella storia si sviluppa al contempo quel progresso politico che contrappone la «ragione umana tutta spiegata» alla ragion di Stato in cui la forza dell’autorità prevale sulla volontà individuale. Nelle moderne forme statuali si ha il regno della libertà, l’identificazione del bene pubblico con quello privato e la conseguente formazione delle repubbliche popolari. All’interno di esse si annida però il germe del disordine anarchico, scaturito dalla tendenza di considerare solo il proprio bene particolare. Per tale ragione si rende necessaria quella «eterna natural legge regia, per la quale le nazioni vanno a riposare sotto le monarchie», al fine di ristabilire l’ordine mantenendo tra i sudditi il principio di eguaglianza. Il ricorso storico, ovvero il ritorno alla barbarie primitiva, non rappresentava per Vico una ricorrenza cosmica, quanto piuttosto una peculiare struttura della storia intrisa di flussi e riflussi. La suprema legge della storia provvidenziale richiedeva, dopo un’età di decadenza e di estrema raffinatezza, il ritorno alla barbarie al fine di ricominciare il suo cammino. La storia si ripete nel suo ciclo eterno di corso, decadenza e ricorso che costituisce la forma naturale e razionale del suo sviluppo. La storia dunque non ha fine né compimento, sebbene diretta dalla provvidenza per la salvezza dell’umanità. Il potenziale eversivo della visione vichiana, concernente una provvidenza immanente nella storia e non più intimamente legata al potere trascendente di Dio, non tardò a essere oggetto di aspre critiche da parte dei cattolici più conservatori. Tuttavia Vico, da sincero credente, non era del tutto consapevole del carattere rivoluzionario della Scienza nuova, in particolar modo della sua critica implicita alla concezione biblico-messianica della storia. Nonostante i giudizi non lusinghieri a lui rivoltigli dal pubblico e dalla critica, la sua intensa attività intellettuale ed editoriale gli valse le particolari attenzioni di Carlo di Borbone. Il sovrano gli conferì nel 1735 l’incarico di storiografo regio, i cui compensi alleviarono le sue persistenti ristrettezze economiche, permettendogli allo stesso tempo di trascorrere con maggiore serenità gli ultimi anni della sua vita.
Opere
- Giambattista Vico, La Scienza nuova 1744, Paolo Cristofolini, Manuela Sanna (a cura di), Edizioni di Storia e Letteratura, Roma 2013.
- Giambattista Vico, Le iscrizioni e composizioni latine, Gian Galeazzo Visconti (a cura di), Guida Editore, Napoli 2004.
- Giambattista Vico, La Scienza nuova 1730, Paolo Cristofolini, Manuela Sanna (a cura di), Guida Editore, Napoli 2004.
- Giambattista Vico, Minora. Scritti latini storici e d’occasione, Gian Galeazzo Visconti (a cura di), Guida Editore, Napoli 2000.
- Giambattista Vico, Le gesta di Antonio Carafa, Manuela Sanna (a cura di), Guida Editore, Napoli 1997.
- Giambattista Vico, Varia. Il “De mente heroica” e gli scritti latini minori, Gian Galeazzo Visconti (a cura di), Guida Editore, Napoli 1996.
- Giambattista Vico, Epistole, Manuela Sanna (a cura di), Morano, Napoli 1993.
- Giambattista Vico, Le orazioni inaugurali I-VI, Gian Galeazzo Visconti (a cura di), Il Mulino, Bologna 1982.
- Giambattista Vico, Opere, Fausto Nicolini (a cura di), La letteratura italiana. Storia e testi. Riccardo Ricciardi Editore, Milano 1972.
Bibliografia
- Leonardo Amoroso, Lettura della “Scienza nuova” di Vico, UTET, Torino 1998.
- Nicola Badaloni, Introduzione a Vico, Laterza, Roma-Bari 2008.
- Romana Bassi, Favole vere e severe: sulla fondazione antropologica del mito nell’opera vichiana, Edizioni di Storia e Letteratura, Roma 2004.
- Andrea Battistini, Vico tra antichi e moderni, Il Mulino, Bologna 2004.
- Sergio Cotta, Il pensiero politico del razionalismo e dell’illuminismo, in Nuove questioni di storia moderna, vol. II, Marzorati, Milano 1985, pp. 980-981.
- Paolo Cristofolini, La “Scienza nuova” di Vico: introduzione alla lettura, La Nuova Italia Scientifica, Roma 1995.
- Benedetto Croce, La filosofia di Giambattista Vico, Laterza, Bari 1911.
- Maria Donzelli, L’età dei barbari. Giambattista Vico e il nostro tempo, Donzelli Editore, Roma 2019.
- Eugenio Garin, Dal Rinascimento all’Illuminismo, Nistri-Lischi, Pisa 1970, pp. 197-230.
- Karl Lowith, Significato e fine della storia. I presupposti teleologici della fine della storia, Il Saggiatore, Milano 2015, pp. 123-142.
- Enzo Paci, Ingens sylva: saggio sulla filosofia di Giambattista Vico, Mondadori, Milano 1949.
- Paolo Rossi, Le sterminate antichità: studi vichiani, Nistri-Lischi, Pisa 1969.
- Stefania Sini, Figure vichiane: retorica e topica della “Scienza nuova”, LED Edizioni, Milano 2005.
- Marco Vanzulli, La scienza di Vico: il sistema del mondo civile, Mimesis, Milano 2006.
Sitografia
- Andrea Battistini, Vico, Giambattista, in Il contributo italiano alla storia del pensiero, 2012.
- Domenico Proietti, Vico, Giambattista, in Enciclopedia dell’Italiano, 2011.
- Vico, Giambattista, in Dizionario di Storia, 2011.
Article written by Martina Gargiulo | Ereticopedia.org © 2019
et tamen e summo, quasi fulmen, deicit ictos
invidia inter dum contemptim in Tartara taetra
invidia quoniam ceu fulmine summa vaporant
plerumque et quae sunt aliis magis edita cumque
[Lucretius, "De rerum natura", lib. V]