Dizionario di eretici, dissidenti e inquisitori nel mondo mediterraneo
Edizioni CLORI | Firenze | ISBN 978-8894241600 | DOI 10.5281/zenodo.1309444
Giacomo Malipiero, figlio "d'un frate o di un prete", nonostante il cognome patrizio, subì una denuncia da parte di un informatore anonimo al Sant'Uffizio veneziano il 1° maggio 1565. Insieme a lui fu denunciato il giovane patrizio Antonio Loredan, suo sodale. Era nipote acquisito di Francesco Tagliapietra (che aveva sposato una sua zia paterna), che fu podestà a Brescia, si rifiutò di eseguire la condanna a morte di un vecchio eretico e diede scandalo con il cardinale Carlo Borromeo e aveva ereditato alcune proprietà dalla nonna, che gli consentivano una vita tranquilla. Interrogato dal Sant'Uffizio di Venezia a partire dal 14 giugno 1565, dopo alcune iniziali reticenze, ammise di aver negato l'esistenza del Purgatorio, il valore delle indulgenze, l'autorità della Chiesa romana (definita "sinagoga dell'Anticristo"), la presenza reale del corpo e sangue di Cristo nell'eucarestia, il valore del culto dei santi, il valore della confessione e dei digiuni quaresimali e di aver ritenuto come sacramenti validi solo il battesimo e il matrimonio. Si sottomise all'abiura il 7 luglio 1565 e fu condannato a un anno di carcerazione e tre anni di penitenze.
Bibliografia
- Federica Ambrosini, Storie di patrizi e di eresia nella Venezia del ‘500, Franco Angeli, Milano 1999, ad indicem, in part. pp. 104-109.
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et tamen e summo, quasi fulmen, deicit ictos
invidia inter dum contemptim in Tartara taetra
invidia quoniam ceu fulmine summa vaporant
plerumque et quae sunt aliis magis edita cumque
[Lucretius, "De rerum natura", lib. V]