Dizionario di eretici, dissidenti e inquisitori nel mondo mediterraneo
Edizioni CLORI | Firenze | ISBN 978-8894241600 | DOI 10.5281/zenodo.1309444
Gaspara Stampa (Padova, 1523? – Venezia, 23 aprile 1554) è stata una musicista e poetessa, nella cui opera si trovano riferimenti alle inquietudini religiose del Cinquecento italiano.

Biografia
Gaspara Stampa nasce a Padova, probabilmente nel 1523. Il padre Bartolomeo, ricordato nei documenti come gioielliere e orefice, dispone di buone sostanze. Nel 1522 istituisce una società con lo scultore Antonio Minelli – attivo, al pari del padre Giovanni, nel grande cantiere della Basilica del Santo – al quale fornisce i capitali per aprire una bottega a Venezia. Bartolomeo muore entro il 1529; Cecilia, la vedova, si trasferisce successivamente a Venezia con i tre figli – oltre a Gaspara, Cassandra e Baldassare – in un anno imprecisato, verosimilmente non molto dopo la morte del marito. Benché permangano stretti rapporti con la città d’origine, la vita della famiglia si radica in laguna. Qui la personalità della Stampa è già ben individuata alla metà degli anni Quaranta: numerose testimonianze letterarie la menzionano, ancor prima che come poetessa, in qualità di eccellente strumentista e cantante. È anche ricordata come animatrice di un «ridotto», termine che a Venezia indica un luogo di incontro dedicato alle occupazioni del tempo libero, circolo di intellettuali e salotto elegante.
Tutti i fratelli Stampa acquisiscono una buona formazione culturale. Baldassare precede Gaspara sulla strada della poesia (di lui restano una trentina di componimenti) e intesse precoci e documentate amicizie con letterati molto attivi nell’ambiente lagunare quali Francesco Sansovino, Giuseppe Betussi e Lodovico Domenichi. È possibile che egli abbia frequentato lo Studium di Padova e partecipato alle adunanze dell’Accademia degli Infiammati. Baldassare muore nella prima metà del 1544, all’incirca ventenne. Anche allo scopo di onorare la memoria del giovane amico scomparso, Francesco Sansovino nel 1545 dedica a Gaspara tre sue opere (una ristampa per l’editore Giolito del prosimetro boccacciano Ameto; un dialogo di tema amoroso intitolato Ragionamento; la Lettura di Benedetto Varchi sul sonetto alla gelosia di Giovanni Della Casa).
Verosimilmente nell’autunno del 1548 la Stampa conosce il conte trevigiano Collaltino di Collalto e inizia con lui un’intensa storia d’amore: stando a quanto raccontato da Gaspara nella sua lirica, è questo legame che fa sgorgare la sua vena poetica e la trasforma in scrittrice. Collaltino è un aristocratico di antico lignaggio, colto uomo d’armi dagli spiccati interessi letterari e poeta in prima persona (suoi testi compaiono nella fortunata serie giolitina delle Rime diverse, a partire dalla prima edizione del 1545). È anche mecenate e protettore di vari scrittori: nel 1543 promuove la pubblicazione dei Paradossi di Ortensio Lando; nel 1544 è ringraziato nelle Rime di Lodovico Domenichi e nel 1547 è dedicatario del suo volgarizzamento dei Sette libri di Xenophonte della impresa di Ciro minore; dal 1545 al 1549 stipendia come segretario Giuseppe Betussi, il quale con riconoscenza gli dedica i volgarizzamenti del Boccaccio latino (De mulieribus claris, De casibus virorum illustrium, Genealogia deorum gentilium) da lui portati a termine in quegli anni.
La Stampa trasfigura letterariamente il legame con Collaltino nelle sue Rime, che per gran parte raccontano di una storia d’amore tormentata, caratterizzata dal differente coinvolgimento dei protagonisti: forte e saldo il sentimento dell’autrice, mutevole e distaccato il contegno dell’amato. Tra alterne vicende, brevi momenti di vicinanza e lunghi periodi di lontananza dovuti principalmente alla partecipazione del conte a varie campagne militari, la relazione termina nel 1551. Nelle Rime trova spazio anche l’amore per un altro personaggio, il gentiluomo veneziano Bartolomeo Zen, di cui è stato individuato solo il nome nel sonetto acrostico Ben si convien, signor, che l’aureo dardo. All’altezza del 1552, quando ancora nessuna sua lirica è stata pubblicata, Ortensio Lando nei Sette libri de’ cathaloghi definisce la Stampa «gran poetessa et musica eccellente» (p. 475): la menzione è indice di una diffusione manoscritta dei suoi testi e di una già raggiunta fama di scrittrice, dimostrata anche da una lettera degli stessi anni (post giugno 1550) di Lucrezia Gonzaga, che richiama altresì le numerose «testimonianze […] del suo singolar intelletto» (Lettere, ed. 2009 [1552], n° 308, p. 225). Tre soli componimenti sono stampati in vita dell’autrice, nel Sesto libro delle rime di diversi eccellenti autori (1553) curato da Girolamo Ruscelli.
Negli anni Settanta è stato riportato alla luce il testamento della sorella Cassandra Stampa, redatto nel 1576, che ha fornito notizie inedite sulla vita di Gaspara. Si è appreso che la poetessa ebbe due figlie, Elisabetta e Sulpizia, da un nobile della famiglia Gritti, di nome Andrea. È improbabile – benché non impossibile – che si tratti dell’omonimo doge, raffigurato in un potente ritratto di Tiziano (Washington, National Gallery), che morì a 83 anni, nel 1538, quando Gaspara era appena quindicenne; è stato ipotizzato che possa trattarsi di un esponente più giovane della stessa famiglia, morto nel 1544. Null’altro si sa di questo legame, né delle figlie di Gaspara; il fatto però che nel testamento Cassandra definisca le nipoti «neptes suas carissimas» e le nomini sue eredi universali indica che i rapporti familiari erano stretti. La poetessa muore improvvisamente a Venezia dopo 15 giorni di malattia il 23 aprile del 1554, a soli 31 anni, nella parrocchia dei Santi Gervasio e Protasio (San Trovaso). Dal testamento della sorella si apprende che è sepolta nella chiesa veneziana dei Santi Rocco e Margherita.
Opere
La produzione lirica della Stampa è pressoché interamente contenuta nelle sue Rime, edite postume nel 1554. Non se ne conservano testimonianze manoscritte e non è noto se, ed eventualmente in quale misura, l’opera rispecchi un progetto d’autrice. Il libro si apre con una dedica a Giovanni Della Casa firmata da Cassandra Stampa; seguono sette sonetti in lode e in morte della poetessa (di Benedetto Varchi, Giulio Stufa, Giorgio Benzone, Torquato Bembo) e la lettera Allo illustre mio signore indirizzata da Gaspara a Collaltino; chiude la raccolta un sonetto elogiativo di Leonardo Emo. I primi 220 testi (216 sonetti, 2 sestine, 1 canzone, 1 ode) sono di argomento amoroso e presentano alcuni elementi della forma-canzoniere: sonetto proemiale, d’innamoramento, descriptio dell’amato, testi d’anniversario, connessioni intertestuali, progressione diegetica. Seguono altri 65 componimenti (64 sonetti, 1 canzone) in cui la scansione narrativa che caratterizza la prima sezione si attenua: si tratta per lo più di testi d’occasione, irrelati, rivolti a diversi destinatari, non tutti identificabili con certezza (tra i quali si annoverano il re e la regina di Francia Enrico II e Caterina de’ Medici, Luigi Alamanni, Sperone Speroni, vari petrarchisti veneziani tra cui Girolamo Molin). Questa seconda sezione termina con una serie compatta di testi religiosi, che testimonia la volontà di concludere l’opera – sul modello bembiano e ancor prima petrarchesco – su temi di pentimento e contrizione. Le ultime sezioni, intitolate Capitoli e Madrigali (rispettivamente 6 e 19 componimenti), sono separate dal resto del corpus su base metrica e contengono componimenti di tema quasi interamente amoroso. L’ordinamento della princeps è stato modificato dall’editore moderno delle Rime, Abd-el-Kader Salza, che ha riunito i testi di argomento amoroso in una prima sezione di Rime d’amore (comprensiva quindi anche dei Capitoli e dei Madrigali) a cui ha fatto seguire una sezione di Rime varie. Oltre ad alcuni spostamenti interni, Salza ha anche riunito in un unico gruppo i componimenti religiosi posti al termine della seconda sezione con altri di tema analogo collocati in diversa posizione nella seriazione originaria. L’edizione americana a cura di Jane Tylus e Troy Tower ha ripristinato l’ordinamento della princeps.
Sensibilità religiosa
La Stampa vive certamente le inquietudini religiose del suo tempo. La prima testimonianza letteraria nota su di lei è una missiva inviatale dalla monaca angelica Paola Antonia Negri, datata 20 agosto 1544 (Novo libro di lettere scritte da i più rari auttori e professori della lingua volgare italiana, ed. 1545, cc. 98v-100r; Negri, Lettere spirituali [1576], pp. 619-623), in cui la religiosa invita Gaspara a non lasciarsi sedurre dalle tentazioni mondane e a rivolgersi con abnegazione a Dio. La predicazione della Negri – figura carismatica del nuovo ordine barnabitico – raggiunge probabilmente la Stampa durante l’infaticabile opera di proselitismo portata avanti dalla religiosa, che nel 1543-1544 tocca Padova e Venezia. Qui, facendo presa sugli strati sociali più elevati, la monaca diffonde un messaggio fondato sull’annullamento di sé, il rifiuto delle vanità terrene, l’imitazione di Cristo e la meditazione sulle sofferenze della croce. È un momento di grande espansione e popolarità dell’ordine barnabitico, che sarà poi invece espulso dalla Serenissima nel 1551 per motivazioni politiche che non mancheranno di coinvolgere anche l’autorità considerata anomala e sconveniente della Negri, guida spirituale di un intero ordine e quindi donna che sovvertiva le prescritte gerarchie sociali ed ecclesiastiche.
Dall’epistolario della Negri risulta che anche Baldassare Stampa è in contatto con lei fin dalla fine del 1543. La religiosa intende distogliere il giovane dalle «vane scientie» e dagli «studii di stolta sapienza» e sembra anche esprimere delle riserve sulla piena ortodossia di Baldassare, alludendo ad alcune sue «opinioncelle di gratia et predestinatione» da estirpare. Si tratta di un dato interessante alla luce di alcuni evidenti riferimenti alla dottrina della giustificazione sola fide e all’inutilità delle opere ai fini della salvezza che si ritrovano nella poesia di Gaspara: «Signor, che doni il paradiso e tolli, / doni e tolli a la molta e poca fede / (per opre no, ch’a sì larga mercede / sono i nostri operar deboli e folli)», 277 ed. princeps, CCCVI ed. Salza, vv. 1-4. Altri argomenti della predicazione della Negri quali la svalutazione di sé, il rifiuto delle passioni mondane e l’enfasi sulle sofferenze di Cristo crocifisso sembrano aver lasciato delle tracce nei testi della poetessa.
Nel 1548 la Stampa è verosimilmente destinataria di tre missive (il nome è abbreviato con le sole iniziali «G. S.») del medico e letterato friulano Orazio Brunetti, vicino alle idee riformate, autore di una raccolta di Lettere dedicata a Renata di Francia. Diversamente da quanto accade nel resto dell’opera, Brunetti non fa menzione di tematiche religiose nei testi rivolti alla Stampa, e lamenta piuttosto di essere stato escluso dal ridotto della poetessa.
Alcuni sonetti di corrispondenza delle Rime potrebbero essere indirizzati ad altre personalità dalle tendenze eterodosse: Priuli (234, 265 ed. princeps, CCLXXXVI-VII ed. Salza) e Soranzo (267 ed. princeps, CCLXXXIX ed. Salza) sono verosimilmente Alvise Priuli e Vittore Soranzo; Ortensio (270 ed. princeps, CCXCII ed. Salza) è con tutta probabilità Ortensio Lando. La Stampa avrebbe potuto avvicinarsi al fervido dibattito religioso dei suoi anni anche per tramite della relazione con Collaltino. Il conte è infatti legato alla figura di Alessandro Citolini, molto critico verso le idee e le istituzioni cattoliche e condannato in contumacia per eresia nel 1565, dopo anni di nicodemismo. La Tipocosmia di Citolini, pubblicata nel 1561 ma terminata dieci anni prima, è ambientata nella dimora veneziana del conte di Collalto, che nel libro è anche portavoce del grande progetto mnemotecnico e retorico dell’autore. Al fratello di Collaltino, Vinciguerra III di Collalto, Girolamo Ruscelli dedica la nuova edizione della Lettera d’Alessandro Citolini in difesa della lingua volgare (1551), testo caratterizzato da una forte polemica anticlericale e in cui si sostiene la possibilità di tradurre fedelmente dal latino al volgare le sacre scritture. Di recente si è scoperta la presenza di libri di autori proibiti quali Lutero, Zwingli, Calvino, Ochino e Curione nel castello di San Salvatore a Susegana, principale feudo dei Collalto, circostanza che sembra confermare la vicinanza dei conti alle idee riformate.
Bibliografia
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Article written by Veronica Andreani | Ereticopedia.org © 2022
et tamen e summo, quasi fulmen, deicit ictos
invidia inter dum contemptim in Tartara taetra
invidia quoniam ceu fulmine summa vaporant
plerumque et quae sunt aliis magis edita cumque
[Lucretius, "De rerum natura", lib. V]