Imperato, Ferrante

Dizionario storico delle scienze naturali a Napoli dal Rinascimento all’Illuminismo


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Ferrante Imperato (Napoli, ca 1525-1615), filosofo naturale e farmacista partenopeo autore della celebre Dell'historia naturale libri XXVIII. La sua dimora di Palazzo Gravina ospitò una collezione di piante, animali, minerali e mirabilia, nota ai naturalisti di tutta Europa.

Cenni biografici

Ferrante Imperato nasce a Napoli intorno al 1525. Non si hanno notizie precise sulla famiglia, che doveva appartenere al ceto produttivo partenopeo. Anche sull’apprendistato e sui primi anni della professione di speziale, di cui dovette avviare l’esercizio intorno al 1554, si possiedono informazioni assai scarse. Le fonti lo descrivono infatti già nel pieno di una solida attività professionale, sposato e padre di tre figli. Nella sua attività, Imperato guadagna ben presto stima e riconoscimento; lo si evince dalla dedica di Bartolomeo Maranta nell’opera Della theriaca et del mithridato, che lo saluta come membro del Consiglio di Ispezione e Sorveglianza dell’arte degli speziali, o Consiglio degli Otto. Il trattato stesso rappresenta il frutto degli esperenti condotti da Maranta ed Imperato per realizzare due rimedi, la Theriaca ed il Mitridato. Le ricerche di Imperato vennero favorite dalla ricca collezione naturalistica che aveva allestito nella propria dimora di Palazzo Gravina, in un’ampia sala e nel terrazzo, probabilmente a partire dal 1566, anno della stipulazione di un contratto con due maestri intagliatori del legno. Il museo accoglieva reperti di tutti i tre regni, minerali, vegetali e animali, una buona quantità di strumenti ed artificialia legati alle indagini sulla natura ed all’arte farmaceutica, un erbario secco, la corrispondenza scientifica ed una galleria di ritratti di naturalisti. Si annoverano nella collezione anche due animali vivi, una tartaruga ed una mangusta. Nella tarda maturità il prestigio di cui già Imperato disponeva si accresce. Nel 1585 è capitano del popolo dell’Ottina di Nido, e due anni più tardi governatore popolare della Gran Casa dell’Annunziata, istituzione fornita di un ingente patrimonio; alla stessa carica viene rieletto nel 1594. Nel 1597 riceve invece l’incarico di protettore del Sacro Monte di Pietà. Il 1599 vede l’edizione del trattato Dell'historia naturale libri XXVIII, il lavoro più significativo di Imperato, edito a Napoli a cura del figlio Francesco.
Negli ultimi anni di vita, Imperato accoglie nell’ambiente del suo museo un certo numero di visitatori illustri, come Federico Cesi, che nel 1604 visita la collezione, intenzionato ad aprire a Napoli una colonia dell’Accademia dei Lincei. E tuttavia quando nel 1612 la colonia dell’Accademia è fondata a Napoli, Imperato non viene accolto tra i suoi membri. La data e il luogo precisi della morte risultano ignoti.

Contributo alle scienze naturali in Napoli

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Il fulcro dell’attività scientifica di Imperato è senza dubbio il museo allestito nella sua dimora, luogo di visita e convegno per molti altri eruditi e naturalisti, appartenenti al milieu partenopeo oppure stranieri. Tra gli illustri ospiti, la collezione di Imperato poteva anche fregiarsi dell’assidua presenza del viceré spagnolo. All’esordio del trattato Dell’historia Naturale libri XXVIII (1599) si può ammirare l’elegante xilografia del museo di Palazzo Gravina, che occupa due pagine. Nell’illustrazione, lo spazio è allestito secondo il gusto delle collezioni tardorinascimentali; la stanza ospita un certo numero di armadi e scaffali per i reperti, e numerosi esemplari di fauna, spesso ittica, sono attaccati alle pareti. Animali imbalsamati di dimensioni maggiori erano disposti sul soffitto, o nelle immediate adiacenze. L’immagine raffigura quindi il prototipo della Wunderkammer tardorinascimentale e barocca, della quale la collezione di Imperato rappresenta indubbiamente uno dei modelli originari.
Sul piano della rilevanza scientifica Dell'historia naturale rappresenta il lavoro più considerevole di Imperato ed il coronamento della sua intera impresa naturalistica. Anche se resta l’unico volume pubblicato a firma dell’autore, è assai probabile che fosse preceduto dalla redazione di altri commentari. Altrettanto probabile sembra che l’edizione del 1599 – corredata da centodiciannove illustrazioni di ottima fattura ad opera di autore ignoto – fosse anticipata da altre versioni a stampa, come risulta da una lettera inviata dello stesso Imperato a Ippolito Agostini in data primo gennaio 1601. Il libro si presenta come un trattato di storia naturale in cui gli assunti della tradizione letteraria farmacologica vengono sottoposti ad un attento confronto con gli esiti delle ricerche dello stesso Imperato, frutto di numerose campagne esplorative condotte in Italia meridionale. L’opera si compone di ventotto libri. Il principio d’ordine è infatti fornito dalle proprietà elementali delle sostanze, terre, acque, sali, grassi, metalli, materie aeree ed ignee. Gli ultimi due libri descrivono la flora marina ed alcuni piante ed animali altrove non trattati, tra i quali si possono annoverare varie specie di spugne, i ricci di mare, le telline, il grillotalpa, lo scarabeo rinoceronte e la salamandra. Il criterio che guida l’esposizione consiste nel vaglio e nel confronto dei dati ai fini del perseguimento dell’utile farmacologico: scopo delle indagini è la conservazione della salute dell’uomo, e la confezione di un rimedio universale in grado di curare i morbi. Tale perseguimento procede attraverso la ricerca delle proprietà naturali delle sostanze, le quali si mostrano sempre riconducibili all’esperienza dell’osservatore ordinario.
Lo speziale aderisce quindi apertamente al campo dei novatores, ovvero di coloro che, nello studio della filosofia della natura, si facevano promotori di un approccio sperimentale volto a verificare con opportune indagini la consistenza dei dati trasmessi dalla materia medico-farmacologica. Il trattato non è però privo di analisi o di considerazioni più teoriche; in particolare nei domini dell’agronomia, della geologia e delle scienze della terra, Imperato avanza una serie di intuizioni feconde, relative alla salinità del mare, al fenomeno delle maree, ai depositi stratigrafici delle cave di pozzolana, al vulcanismo ed agli eventi sismici. L’opera abbonda così di felici valutazioni, allineate con i più recenti progressi della filosofia naturale del tardo Cinquecento, che l’occhio di Imperato aveva saputo cogliere nelle frequenti osservazioni dei tre regni della natura, minerale, vegetale e animale.

Impatto nel contesto italiano ed europeo ed eredità intellettuale

Come dimostrano gli esperimenti condotti insieme al botanico Bartolomeo Maranta, Imperato ha saputo allestire negli ambienti del museo e della propria bottega degli autentici laboratori, spazi idonei a condurre ricerche, esperimenti ed osservazioni naturalistiche. Nelle pagine di una nuova stampa dei suoi Discorsi Pietro Andrea Mattioli (1501-1578) descrive infatti un’osservazione sul parto delle vipere condotta nel museo di Imperato, di cui viene a conoscenza grazie a Gian Vincenzo Pinelli (1535-1601), umanista al centro di una fitta rete di corrispondenze tra naturalisti e savants di ogni parte d’Europa. L’osservazione ha luogo nel 1572, appena un anno prima dell’edizione di Mattioli.
Nello stesso anno viene edito il manuale Della theriaca et del mithridato, in cui sono raccolti gli esiti di numerose esperienze condotte da Imperato insieme all’autore, il botanico Bartolomeo Maranta, già scomparso nel 1571. L’edizione provoca quasi immediatamente le repliche di alcuni medici patavini, che ne criticano gli errori nelle Meditationes doctissimae in theriacam et mithridaticam antidotum, pubblicate a Venezia nel 1576. La polemica dei medici del Collegio padovano verte soprattutto sull’equiparazione tra medicina e farmacia, ovvero tra le professioni del medico e dello speziale, giudicate tra loro incompatibili. La risposta degli studiosi partenopei non si fa attendere. Già nel Theriace et mithridatia libellus, edito a Napoli, la difesa postuma di Maranta ad opera del medico e filosofo Nicola Antonio Stigliola (1546-1623) è introdotta dall’animosa lettera di Imperato, che accusa gli studiosi padovani di superbia. Il volume rappresenta un importante documento sulla vivacità dell’ambiente scientifico napoletano del tardo Cinquecento, dove l’avviato clima di collaborazione tra medici, speziali e naturalisti sembra ormai giunto ad un grado di apprezzabile maturità.
È d’altra parte noto come il museo fosse meta dei più illustri filosofi naturali e medici del Regno delle Due Sicilie: oltre a Maranta, Stigliola, Giovan Battista Della Porta, Fabio Colonna – che proprio sulle collezioni di Imperato fondava le sue indagini intorno a piante e fossili – e, probabilmente, lo stesso Tommaso Campanella. Tuttavia, nonostante le frequentazioni comuni, le ricerche dei naturalisti appartenenti al milieu partenopeo erano eseguite sulla base di interpretazioni delle scienze della natura tra loro piuttosto diversificate. Profonde differenze corrono specialmente tra le ricerche naturalistiche di Imperato e di Della Porta. Se le prime risultano caratterizzate da un approccio empirico rivolto alle acquisizioni della medicina, le seconde si innestano nella tradizione della magia naturale, disciplina assente dall’orizzonte concettuale di Imperato.
Nel contesto europeo, la proiezione delle ricerche di Imperato non è limitata alla nutrita corrispondenza, ed alle numerose visite ricevute da naturalisti di altri paesi. Oltre ai carteggi con Gian Vincenzo Pinelli ed altri naturalisti e uomini di cultura europei come i botanici Joachim Camerarius e Carolus Clusius, Imperato ebbe modo di coltivare le sue relazioni anche grazie alla frequentazione della Fiera del Libro di Francoforte, dove, tramite un proficuo commercio di scambi e doni, riuscì ad ampliare la propria collezione di reperti. Parte delle ricerche di Imperato fu direttamente proseguita dal figlio Francesco, che nel 1610 diede alle stampe un breve volume sui fossili, il De fossilibus opusculum, certamente redatto con l’aiuto del padre. D’altra parte, Francesco si era già a suo tempo incaricato di provvedere alla pubblicazione del maggiore lavoro paterno, Dell’Historia Naturale. L’opera venne ristampata nel 1672 a Venezia e a Colonia, mentre nel 1695, ancora a Colonia, a testimonianza di una certa fortuna, venne approntata l’edizione latina.
Gli esiti dell’attività di ricerca di Imperato vennero dunque recepiti negli ambienti della cultura scientifica europea. Un esempio delle felici intuizioni che costellano l’opera dello speziale partenopeo è ancora segnalato dal botanico e micologo svedese Elias Magnus Fries (1794-1878); pur privo di nozioni micologiche, Imperato aveva saputo riconoscere nella pietra fungaia (Polyporus tuberaster) non un minerale od un sasso, ma un prodotto vegetale sotterraneo.

Bibliografia

Opere di Ferrante Imperato

  • Dell'historia naturale libri XXVIII. Nella quale ordinatamente si tratta della diversa condition di miniere, e pietre. Con alcune historie di piante, et animali sin hora non date in luce, Napoli, C. Vitale, 1599.

Studi

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ARTICLE WRITTEN BY MARCO GHIONE | STORIADELLACAMPANIA.IT © 2021

Hinc felix illa Campania est, ab hoc sinu incipiunt vitiferi colles et temulentia nobilis suco per omnis terras incluto, atque (ut vetere dixere) summum Liberi Patris cum Cerere certamen. Hinc Setini et Caecubi protenduntur agri. His iunguntur Falerni, Caleni. Dein consurgunt Massici, Gaurani, Surrentinique montes. Ibi Leburini campi sternuntur et in delicias alicae politur messis. Haec litora fontibus calidis rigantur, praeterque cetera in toto mari conchylio et pisce nobili adnotantur. Nusquam generosior oleae liquor est, hoc quoque certamen humanae voluptatis. Tenuere Osci, Graeci, Umbri, Tusci, Campani.
[Plinius Sen., "Nat. Hist." III, 60]

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