Dizionario di eretici, dissidenti e inquisitori nel mondo mediterraneo
Edizioni CLORI | Firenze | ISBN 978-8894241600 | DOI 10.5281/zenodo.1309444
Fanino Fanini (Faenza, ca 1520 – Ferrara, 22 agosto 1550) è stato un eretico condannato a morte dall'Inquisizione.
Biografia
Figlio di Melchiorre Fanini, popolano benestante, e di Chiara Brini, ebbe un fratello che si fece prete, Giuseppe, e una sorella di nome Bianca. In quanto primogenito ereditò, nel 1546, i beni paterni. Intraprese l'attività di fornaio e nel 1542 sposò Barbara Barboncini, dalla quale ebbe due figli (Giovanni Battista e Giulia).
Probabilmente influenzato dalla predicazione dell’Ochino, di passaggio a Faenza nel 1538, e dala lettura di testi filoprotestanti come il Beneficio di Cristo o la Tragedia del libero arbitrio di Francesco Negri, si convertì alle nuove idee religiose attorno al 1543-44, intraprendendo un'attività di predicazione e propaganda, che ne provocò il primo arresto nel 1547.
Processato dall'inquisitore di Faenza Alessandro da Lugo, abiurò su pressione dei parenti. Fu liberato ma bandito dai territori dello Stato della Chiesa. Incurante di ciò proseguì, insieme ad alcuni compagni, l'attività di propaganda e proselitismo nelle campagne della Romagna. Fu quindi nuovamente arrestato nel febbraio 1549, a Bagnacavallo, in territorio estense.
Proprio a Bagnacavallo Fanini era entrato in contatto con le suore del convento di S. Chiara. Dagli interrogatori di sette di queste, condotti nel 1548 dall'inquisitore della Romagna Antonio Delfini, si evincono i nomi dei complici (Barbone Morisi e Giovan Matteo Bulgarelli) e i contenuti delle dottrine propagandate dai Fanini: negazione del sacramento dell'eucarestia, svalorizzazione della messa e degli ordini sacerdotali, rifiuto del culto dei santi, oltre che di altre pratiche tradizionali, come la recita del rosario o il digiuno.
Trasferito dalla rocca di Lugo a Ferrara, Fanini fu difeso da Camillo Orsini, dalla duchessa di Ferrara Renata di Francia e da Lavinia Della Rovere (quest'ultima intervenne su sollecitazione di Olimpia Fulvia Morato che le scrisse appositamente dalla Germania), ma senza successo. La Congregazione del Sant'Uffizio, da parte sua, ne richiese l'estradizione a Roma, ma il duca Ercole II preferì che il processo si svolgesse a Ferrara. Già il 25 settembre 1549 Fanini fu condannato a morte, ma gli interventi a suo favore ritardarono l'esecuzione, che avvenne comunque a Ferrara il 22 agosto 1550 tramite impiccagione (il cadavere fu quindi bruciato sul rogo come da prassi e le ceneri gettate nel Po).
La vicenda di Fanini fu presentata da Giulio Della Rovere nella sua Esortatione al martirio (1552), dove il fornaio faentino veniva esaltato come martire protestante esemplare. In tale opera Giulio Della Rovere accennava anche a vari scritti lasciati da Fanini (che non ci sono pervenuti). Prima ancora la vicenda di Fanini era stata trattata anche da Francesco Negri nella De Fanini faventini et Dominici bassanensis morte … brevis historia (1550).
Fonti e bibliografia
- Salvatore Caponetto, La Riforma protestante nell’Italia del Cinquecento, Claudiana, Torino 19972.
- Alfredo Casadei, Fanino Fanini da Faenza. Episodio della Riforma protestante in Italia in "Nuova Rivista Storica", XVIII, 1934, pp. 168-195.
- Lucia Felici, Fanini, Fanino, in DBI, vol. 44 (1994).
- Giulio da Milano, Esortatione al martirio, [Poschiavo?], Dolfino Landolfi?, Poschiavo? 1550.
- Francesco Lanzoni, La controriforma nella città e diocesi di Faenza, F. Lega, Faenza 1925.
- Francesco Negri, De Fanini Faventini et Dominici Bassanensis morte ... brevis historia, Dolfino Landolfi?, Poschiavo? 1550.
- Maria Grazia Tre Re, Gli avvenimenti del XVI secolo nella città di Faenza con particolare riguardo ai processi e alle condanne degli inquisiti per eresia, in "Studi romagnoli", VIII, 1957, pp. 279-297.
Article written by Daniele Santarelli | Ereticopedia.org © 2014
et tamen e summo, quasi fulmen, deicit ictos
invidia inter dum contemptim in Tartara taetra
invidia quoniam ceu fulmine summa vaporant
plerumque et quae sunt aliis magis edita cumque
[Lucretius, "De rerum natura", lib. V]