Mazzarelli, Domenico

Dizionario di eretici, dissidenti e inquisitori nel mondo mediterraneo
Edizioni CLORI | Firenze | ISBN 978-8894241600 | DOI 10.5281/zenodo.1309444


Domenico Mazzarelli (Muzzarelli) è stato un eretico attivo a Rovigo nel XVI secolo.

Biografia

La famiglia era originaria di Bologna, ma alcuni suoi componenti avevano da tempo scelto di trasferirsi in località diverse; un ramo è infatti attestato a Ferrara dal XV secolo con ottima situazione economica, un secondo a Rovigo, già dal 1456. Le prime notizie certe sulla presenza “attiva” di Domenico nella città polesana risalgono agli anni quaranta del Cinquecento, quando si legò a Pietro Illicino, senese, che al tempo era precettore pubblico, ruolo che tenne dal 1543 al ’45, anno in cui “rinunciò” improvvisamente all’incarico. Proprio la frequentazione di questo personaggio sarà determinante nella conferma di quelle idee ereticali che porteranno Mazzarelli, già compromesso, a due processi per eresia, dai fascicoli dei quali ricaviamo le molte notizie utili per ricostruire le vicende di entrambi. Serve tuttavia soffermarsi, pur brevemente, sulla figura di Illicino; in realtà se “nulla sappiamo della giovinezza”, qualche dato più certo viene dai documenti che provano la sua presenza a Rovigo, luogo abbastanza decentrato rispetto alla città natale.
Come vi fosse giunto non è dato sapere, ma “quanto” le sue idee fossero state determinanti negli anni in cui vi dimorò è ormai dimostrato. L’insegnamento pubblico gli diede comunque l’indipendenza economica che gli consentì di frequentare lo Studio padovano, dove si addottorò in Diritto canonico nel 1547, “quando già si era fatto un nome non solo come giurista, ma anche come umanista”, per aver seguito con passione le lezioni di Lazzaro Bonamico. Forse aveva già lasciato Rovigo, dove la partenza “improvvisa” fu sicuramente legata al suo ruolo nella diffusione delle prime idee ereticali in città; lo ritroviamo alla fine dello stesso anno in Ungheria, e qualche tempo dopo a Cracovia, dove insegnò Diritto e Filosofia. Personaggio inquieto e controverso, tornato in Ungheria ottenne un canonicato a Gran, schierandosi apertamente contro le idee riformate, e creandosi così numerosi nemici fra i protestanti. Fu espulso come “persona inquieta, seditiosa et scandalosa”, e si rifugiò in Moravia, a Olomouc − dove morirà nel 1582 − con nuovi incarichi e protezioni. Difficile capire il suo cambiamento dottrinale, se non supponendo il desiderio di un possibile quanto improbabile rientro in Italia.
Proprio gli anni che lo videro maestro pubblico a Rovigo sono indicativi della sua influenza “negativa” su molti personaggi in vista della città; fra questi Giovanni Domenico Roncalli e Antonio Riccoboni, futuro professore a Padova e teste importante in quasi tutti i processi per eresia, durante i quali non esitò ad accusare gli amici. È tuttavia il primo procedimento contro Domenico Mazzarelli, celebrato nel 1564, a chiarire il ruolo di Illicino e le complesse vicende legate anche ad altre persone, coinvolte a loro volta in successivi dibattimenti, due dei quali finiti tragicamente. Fu Domenico il primo a “cadere” nella suggestione del pensiero di Illicino, con il quale “quando ardeva et il sangue et l’ingegno” − ricordava durante uno dei tanti interrogatori − prima della partenza da Rovigo, discuteva delle Scritture, tanto da cimentarsi in due sonetti contro il frate predicatore della chiesa di S. Francesco, dove esalta il sacerdozio universale, nega il libero arbitrio, sostiene la “giustification per mera gratia”. Una buona cultura del resto non gli mancava; era notaio, esercitava in città e, come sosteneva un teste suo amico, pare avesse conseguito un dottorato a Padova. Non gli fu perciò difficile − partito il senese − costituire un nuovo gruppo di amici con le sue stesse convinzioni, anche perché, qualche anno dopo, nel 1553, con la fondazione dell’Accademia degli Addormentati per opera di Giovanni Domenico Roncalli, “predicator d’heresie”, si diede vita al luogo ideale per riunire tutti coloro che sostenevano le nuove dottrine riformate. Erano i personaggi più in vista della città: oltre a Roncalli e Mazzarelli, lo stesso Riccoboni, Giovanni Maria Avanzi, avvocato di prestigio, Luigi Groto, il Cieco d’Adria, i fratelli Ludovico e Girolamo Biscaccia, quest’ultimo “abbrusciato qui sopra la piazza […], il che voglio creder ch’abbia da servir per timor et esempio a molti”, come scriveva “trionfante da Rovigo” il vescovo Giulio Canani al cardinale Scipione Rebiba. Era il 1570, ma nel frattempo molti fatti erano avvenuti.
Mazzarelli aveva intensificato i suoi rapporti con Roncalli, legandosi a lui con vincoli di amicizia e di fede: frequentava la sua casa a Venezia, condivideva il suo sentire. Aveva nel frattempo sposato Laura Pellegrini da Montagnana, sorella dell’eretico Giacomo, e alla nascita del suo primo figlio legittimo, Teofrasto, lo fece battezzare “alla lutherana” dall’eretico Giovanni Antonio Manara, legato al Roncalli: tutta la sua vita ormai andava in una sola direzione, quella di praticare la nuova fede, facendo quanti più proseliti poteva. Nel 1562 la chiusura per eresia dell’Accademia degli Addormentati − dove la moglie Laura sedeva con il nome di Oziosa, ed era omaggiata da Groto che nelle sue Lettere famigliari ne decantava virtù, intelligenza, bellezza − fu l’inizio di un periodo travagliato per tutti i suoi appartenenti. Nello marzo dello stesso anno moriva a Padova il Roncalli, e Domenico si trovò ad essere a Rovigo il maggiore rappresentante delle dottrine riformate. L’amicizia con il nuovo precettore pubblico, l’“ultramontano” Guglielmo Dulcet (Dolceti), presente in città dal 1561 al ’62, “heretico marzo” poi bandito, lo spinse a cimentarsi nella scrittura: iniziò così a comporre quel Dialogo della filosofia che vedrà la stampa a Venezia nel 1568.
Il Sant’Ufficio nel frattempo aveva cominciato la sua battaglia contro l’eresia; nel 1564 fu la volta di Domenico, che ammise di essere caduto in diversi errori in materia di fede, ma di essersi altresì ricreduto: abiurò pubblicamente nella chiesa di S. Francesco, mentre la moglie nello studio privato del vescovo. In realtà il notaio continuava la sua attività propagandistica, frequentando a Venezia gli amici eretici del Roncalli e in città i consueti compagni di fede, soprattutto il collega Girolamo Biscaccia, processato e giustiziato nel 1570. Accusando Mazzarelli di non averlo denunciato, il Sant’Ufficio istruì un nuovo processo, durante il quale chiamò a testimoniare uno degli amici più “fidati”, quell’Antonio Riccoboni che, pur di salvarsi da sospetti di eterodossia più che fondati − che gli erano costati nel 1564 un’abiura segreta − non esitò a indicare come eretic Domenico e altri con i quali era solito intrattenersi. Affermava che il notaio e Dulcet erano coloro che “cercavano di sedur tutti l’altri”, che il primo “cercava più presto la compagnia delli heretici che la fugisse, facendo professione di esser delli dottori della dottrina lutherana […] io pagherei doi dita della mano non haver mai havuto conversazione con il detto Mazzarello”. Ma Riccoboni con l’amico di un tempo aveva scambiato molto più di qualche chiacchiera, se gli aveva tradotto in volgare quel Dialogo della Filosofia che il notaio aveva scritto in latino, stampato poi a Venezia nel 1568 da Giovanni Bariletto. Domenico non si presentò alla citazione emessa nei suoi confronti dopo la loquace confessione di Riccoboni, né alla successiva “sub pena relapsorum”; venne perciò emessa sentenza di pena di morte “veluti contumacem et fide conversum”, e istruito, nel 1571, un nuovo processo contro gli amici che lo avevano frequentato a Rovigo.
Uno di questi rivelava che il notaio, che nel frattempo aveva fatto perdere le sue tracce, nel novembre 1570 si trovava a Padova, ospitato “in casa dell’ecc. messer Guido Panciroli”; il noto giureconsulto padovano, già sospettato di eresia per il suo legame con Matteo Gribaldi Mofa, era in procinto di partire per Torino, pare per insegnare legge in quella città. Forse Mazzarelli sperava di seguirlo, per sottrarsi al Sant’Ufficio. Non sappiamo se questo avvenne, ma è certo che nell’aprile del 1570 era a Ginevra; il suo nome, “Domenico Muzzarello, de Rovigo, au pays de Venise. Le ministre dell’église italienne, tesm. por le troys.”, compare accanto a quello di Alessandro Trissino, ben noto calvinista vicentino. Le vicende processuali che lo avevano visto protagonista in patria si erano dunque concluse con l’esilio, mentre nulla si sa della moglie Laura e del figlio Teofrasto, forse rimasti a Rovigo.
Qualche cenno al Dialogo della Filosofia, operetta di discreto contenuto; del resto i libri sequestrati nello studio di Domenico, pur se condizionati dalle sue idee riformate, dicono che il notaio non era privo di una buona cultura: la Confutatio prolegomenon Brentii, la Geomanzia di Pietro d’Abano, il De falsa donatione del Valla, La tragedia del libero arbitrio di Francesco Negri e opere di “Bartolomeus Cochles et Joanis Geber”. L’opera è dedicata al cardinale Luigi d’Este, travagliato figlio di Ercole II e di Renata di Francia; è scritta sotto forma di dialogo fra due personaggi, Cimone e Andropoli, con l’intento di discutere sulla “conoscenza delle cose”, poiché per questa via si giunge “alla cognition di Dio”. Il primo ha deciso di vivere appartato, poiché vede nella tranquillità della solitudine la forma più adatta alla meditazione. Andropoli ama la folla, gli amici con i quali discutere, vivendo appieno ogni sua scelta di vita: decidono di dividere il loro dialogo in tre giornate, dedicando la prima al modo di “acquistar notizia” delle cose, la seconda alla discussione delle “scienze utili ad essa conoscenza”, la terza infine, che conclude tutto il negocio”, alla “cognition di Dio”.
La scelta delle tre giornate non è casuale, ma finalizzata ad altrettante parti dell’operetta, che riflettono nell’insieme diversi orientamenti filosofici, offerti al dialogo. Riflettono altresì il metodo di confronto in uso nelle accademie del tempo e nei molti circoli di intellettuali che sceglievano spesso l’intimità della villa o del giardino ove discutere, proporre, “praticare” l’arte dello scrivere. Questa esercitazione letteraria è una sorta di “riassunto” di quello che erano stato l’iniziale itinerario di studi di Mazzarelli, e successivamente l’orientamento culturale che egli aveva acquisito sia con l’esperienza professionale che con la frequentazione di personaggi e ambienti con i quali era entrato in contatto. Nell’insieme lo scritto raccoglie tanto gli influssi aristotelici, presumibilmente assimilati durante gli anni passati nello Studio patavino, che quelli platonici − Logica e Repubblica sono le opere dei due filosofi spesso richiamate − altrettanto presenti nelle letture del notaio: che insiste, per bocca di Cimone, su contenuti neoplatonici, riproposti attraverso autori a lui contemporanei, come Francesco Giorgio Veneto, non dimenticando tuttavia Pietro d’Abano, Marsilio Ficino, Ludovico Lazzarelli.
Di certo l’eretico di Rovigo è da considerarsi un autore “minimo”, come tanti altri che compaiono nell’elenco degli stampatori-editori veneziani del XVI secolo, quando la nascita della stampa aveva favorito, in modo repentino e capillare, la diffusione della cultura, offrendo a molti intellettuali del tempo la possibilità di “mettersi alla prova”. Tuttavia il complesso itinerario, anche “materiale”, della vita di Mazzarelli, le molte relazioni con alcuni dei personaggi più in vista dell’ambiente eterodosso veneto, insieme con i richiami del suo Dialogo, meriterebbero ulteriore approfondimento.

Bibliografia

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  • Silvana Seidel Menchi, Erasmo in Italia 1520-1580, Bollati Boringhieri, Torino 1987.
  • Adriano Prosperi, L’eresia del libro grande. Storia di Giorgio Siculo e della sua setta, Feltrinelli, Milano 2001,
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  • Stefania Malavasi, Tra diavolo e acquasanta. Eretici, maghi e streghe nel Veneto del Cinque-Seicento, Minelliana, Rovigo 2004.
  • Ugo Caleffini, Croniche 1471-1494, Deputazione provinciale ferrarese di Storia Patria, Serie Monumenta, XVIII, Ferrara 2006.
  • Le Famigliari del Cieco d’Adria, a cura di Marco De Poli, Luisa Servadei e Antonella Turri, saggio introduttivo di Mario Nanni, Antilia, Cornuda (Tv) 2007.
  • Massimo Firpo, Juan de Valdés e la Riforma nell’Italia del Cinquecento, Laterza, Roma-Bari 2016.

Article written by Stefania Malavasi | Ereticopedia.org © 2016

et tamen e summo, quasi fulmen, deicit ictos
invidia inter dum contemptim in Tartara taetra
invidia quoniam ceu fulmine summa vaporant
plerumque et quae sunt aliis magis edita cumque

[Lucretius, "De rerum natura", lib. V]

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