Distretto inquisitoriale di Valladolid

Dizionario di eretici, dissidenti e inquisitori nel mondo mediterraneo
Edizioni CLORI | Firenze | ISBN 978-8894241600 | DOI 10.5281/zenodo.1309444


L'insediamento del Sant'Uffizio nei territori della corona di Castilla avvenne in maniera pacifica e progressiva, portando alla creazione di ventitré tribunali, soggetti poi a una drastica riduzione a causa degli eccessivi costi di manutenzione e funzionamento. Fin dalla sua nascita, il tribunale di Valladolid fu tra i più potenti e attivi nella regione e i motivi ben evidenti: la città ospitava non solo il Tribunal de Chancillería ma godeva anche della vicinanza alla corte e al Tribunale della Suprema. Tuttavia la scarsa presenza di fonti impedisce di studiarne appieno la natura e le vicende inquisitoriali che ebbe a oggetto.
La critica, ancora incerta sulla data di nascita dello stesso, segnala gli anni che vanno dal 1485 al 1488. Inizialmente le sorti dell'istituzione furono rette da collaboratori -d'origine castigliana- esperti in materie di natura teologica: l'Inquisizione medievale, per esempio, fu nelle mani dei domenicani. Tuttavia, col tempo, si fece sempre più forte l'esigenza della conoscenza del diritto: è il 1608 quando il re Felipe III ordina che a nessuno venga conferito il titolo di inquisitore o fiscale -incarichi ai vertici della gerarchia- senza essere, quantomeno, laureato in legge. Anche a commissari e familiari l'Inquisizione imponeva alcune restrizioni. I commissari, per esempio, oltre a essere ministri del culto e buoni osservatori della morale cristiana, erano tenuti a provare la limpieza de sangre e disporre di una ragguardevole somma di denaro. Queste due figure di funzionari videro incrementare il loro potere nella misura in cui l'istituzione dalla quale dipendevano metteva radici più profonde nella società castigliana. I servitori dell'Inquisizione finiranno per godere di privilegi di natura economica, giuridica e sociale. De Prado Moura, Las hogueras de la intolerancia (1996), ci fornisce dati circa sconti su prodotti di prima necessità, alloggio gratis e vitto a prezzi modici qualora si spostassero per motivi professionali. Erano anche esenti dal dovere di dare ospitalità ai soldati. L'accesso a tali cariche, fonte di lauti introiti, fu principalmente di carattere clientelare e nepotistico.
L'apparato inquisitoriale iniziava le sue attività d'indagine attraverso la delazione, sostentata dal fervore religioso e dal sentimento di colpa istillato nell'animo delle masse. Gli stessi Edictos de Fe ne reiterano l'importanza:

"Avendo avvertito con nostro molto aggravio che molto poche sono le delazioni che giungono al Sant'Uffizio (…) causando con la loro omissione un danno mortale alla causa pubblica della religione e macchiando le loro miserabili coscienze con la grave colpa dell'inobbedienza".
[A.H.N.: Sec. Inq. Leg. 3275. Carta del T/C del 10-11-1781. Traduzione e corsiva nostre.]

Una sola delazione era già sufficiente a mettere in moto l'intero meccanismo inquisitoriale. Gli interrogatori ai denunciati avevano infatti un doppio fine: accertare la colpevolezza dell'accusato e coinvolgere, nelle maglie inquisitoriali, quanti più sospettati possibile. I nomi, se non oggetto di confessione spontanea, si ottenevano attraverso il meccanismo della tortura. Il dolore fisico, unito alle condizioni in cui versavano i rei, era in grado di dissolvere anche i legami più solidi. De Prado Moura (1996:42) riporta il caso di una certa María Gonzáles che, accusata di giudaismo, dopo una sessione di torture, denunciò la madre e i suoi due fratelli.
Seppur utilizzata per raggiungere i più svariati fini, più volte in seno alla Suprema si discusse circa l'efficacia della tortura, giacché erano molti i condannati che, per evitare o ridurre il tormento, accusavano conoscenti, amici e consanguinei. Era pratica frequente, inoltre, che, durante lo svolgimento dei processi, l'accusato -per captatio benevolantiae- facesse spontaneamente dei nomi, sperando così in un minor rigore della sentenza. Una volta alloggiato nelle carceri dell'Inquisizione, il reo andava in contro a tre udienze ordinarie, sulle quali giurava di mantenere il massimo segreto. La colpevolezza -presunta, provata o confessata- permetteva il passaggio dalla fase accusatoria a quella probatoria che si concludeva, quasi sempre, con una confessione -indotta?- o con le dichiarazioni d'accusa dei testimoni.
Come è ben noto, le sedi inquisitoriali che si assestarono nella Penisola si dedicarono in un primo momento a risolvere il problema giudaizzante. Il tribunale di Valladolid lo fece con tale impegno e fervore che, già alla fine del XVI secolo, le comunità ebree residenti nella corona di Castilla erano emigrate nel vicino Portogallo e in diverse parti d'Europa, fra cui Londra, Amsterdam e il sud della Francia. L'importanza che i tribunali della regione avevano dato alla causa degli ebrei è dimostrata non solo dalla rapidità con cui questi liquidarono il problema in Castilla, ma anche nelle attività di collaborazione con le sedi inquisitoriali di altre regioni o, addirittura, regni. I pochi documenti pervenuti mostrano, per esempio, ottimi rapporti coi tribunali portoghesi, di cui facilitavano i lavori.
A partire dal XVIII secolo, l'attenzione del tribunale di Valladolid fu rivolta al criptogiudaismo e ai processi contro molinistas e alumbrados. La dottrina molinista, propugnata da Miguel de Molinos e diffusa grazie alla pubblicazione della sua Guía espiritual (1675), era una forma di misticismo che esaltava il potere della contemplazione; gli alumbrados, invece, erano fautori di una religiosità più intima che puntava all'eliminazione delle gerarchie per un contatto diretto con Dio.
A questi processi si aggiungevano quelli per blasfemia e proposizioni eretiche -riflesso di due classi sociali contrapposte: il volgo e il clero-, e i pochi processi per stregoneria che, per lo più, fanno riferimento a fenomeni curativi, incantesimi e fatture. Una tale Dominga Panera fu accusata, per esempio, di atti superstiziosi da Benito Miguélez che

"… trovandosi con una nube nell'occhio destro, da cui non vedeva proprio nulla, ed essendo pubblico che la rea curava questi mali, su consiglio di Antonio Miguélez … andò nella sua casa, le parlò di questi mali nel mese di agosto e … gli disse che glielo avrebbe curato lei. Che in seguito suo marito portò dodici chicchi di grano bianco, li diede all'accusato e questi andò via; li mise in una ciotola bianca, e da lì prendeva i chicchi a due a due e si faceva il simbolo della croce nell'occhio malato, e delle tante parole che il colpevole pronunciava ricorda solo le seguenti: se la nube è nera, Dio la fermi, se è bianca, Dio la distrugga, se è gialla, Dio la consumi; Signora Santa Lucia, Signora Sant'Anna. E anche se il confitente non fa memoria d'altre … gli disse l'accusata che era necessario nominarli perché altrimenti non sarebbe guarito… Gli tornò l'occhio sano proprio come lo aveva prima."
[A.H.N.: Sec. Inq. Leg. 3729, núm. 205. Año 1761. Traduzione e corsiva nostre.]

Altri processi ebbero come oggetto accuse di bigamia, solicitatio ad turpia da parte del confessore -soprattutto dopo che il concilio di Trento impose ai servitori della legge divina un comportamento in regola con la morale della dottrina cattolica-, e reati contro il Sant'Uffizio. Parte dell'attività inquisitoriale fu rivolta anche al controllo delle pubblicazioni e alle relative operazioni di censura, estese alla società tutta. Tuttavia, in casi eccezionali, il Sant'Uffizio concedeva delle licenze per la lettura dei libri proibiti a ecclesiastici e professori universitari che attingevano al male per conoscerne le forme e il pensiero e salvaguardare, così, l'integrità religiosa imperante.

"Con la presente concediamo la nostra licenza e permesso a Fra' Juan Martínez Nieto, Maestro di Religione nella Provicina di Castilla dell'Ordine di Nostra Signora della Mercede, affinché possa tenere e leggere libri proibiti dal Sant'Uffizio, con l'eccezione di quelli di Pedro Suave, Niccolò Machiavelli, e quanti trattano di oscenità, e con la dovuta cura affinché nessun altro possa leggerli… E confidiamo alla sua prudenza e cristianità il buon uso di tali libri, e l'incarico che a sua morte si riconsegnino al Ministro o Tribunale dell'Inquisizione più prossimo."
[A.H.N.: Sec. Inq. Leg. 3274. Risoluzione del Consiglio del 20-06-1774. Traduzione e corsiva nostre.]

Fonti e bibliografia

  • Ángel De Prado Moura, Las hogueras de la intolerancia. La actividad represora del Tribunal Inquisitorial de Valladolid, Junta de Castilla y León, Concejería de Educación y Cultura, Valladolid 1996.
  • A.H.N.: Sec. Inq. Leg. 3275. Carta del T/C del 10-11-1781.
  • A.H.N.: Sec. Inq. Leg. 3729, núm. 205. Año 1761.
  • A.H.N.: Sec. Inq. Leg. 3274. Risoluzione del Consiglio del 20-06-1774.

Article written by Gaetano Antonio Vigna | Ereticopedia.org © 2015

et tamen e summo, quasi fulmen, deicit ictos
invidia inter dum contemptim in Tartara taetra
invidia quoniam ceu fulmine summa vaporant
plerumque et quae sunt aliis magis edita cumque

[Lucretius, "De rerum natura", lib. V]

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