Groto, Luigi

Dizionario di eretici, dissidenti e inquisitori nel mondo mediterraneo
Edizioni CLORI | Firenze | ISBN 978-8894241600 | DOI 10.5281/zenodo.1309444


Luigi Groto detto il Cieco d’Adria (Adria, 7 settembre 1541 – Venezia, 13 dicembre 1585) fu un letterato polesano dalla cultura profonda e sfaccettata, processato per eresia dall’Inquisizione.

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Biografia

Il Cieco d’Adria, al secolo Luigi Groto (Grotto, con scempiamento consonantico tipicamente veneto), nacque nel 1541 dal notaio Federico e da Maria Rivieri, sorella di Giovan Battista che fu arciprete della cattedrale adriese e vicario generale del vescovo Giulio Canani. La grave menomazione visiva che lo colpì fin dai primi giorni di vita dà conto del soprannome con cui egli fu (ed è) abitualmente designato, ma non gli precluse certo la possibilità di affermarsi in differenti ambiti culturali, tanto da divenire uno dei massimi rappresentanti del mondo intellettuale polesano e veneziano del XVI secolo.
Nonostante recenti studi cerchino di rivalutare la figura di Luigi Groto e di sottrarlo alla posizione marginale di erudito poligrafo “di palude” con cui lo aveva stigmatizzato parte della critica precedente, molte notizie sulla sua biografia risultano ancora incerte. L’origine nobile del suo casato, ad esempio, da sempre sostenuta da biografi e studiosi, è smentita dal recente lavoro di Barbara Spaggiari (2014), né ad oggi è dato sapere con sicurezza se vi sia un rapporto di parentela tra i Groto adriesi e quelli di Ferrara e Rovigo. Quel che è certo è che la famiglia del Cieco d’Adria diede i natali a generazioni di avvocati, giudici e notai pienamente inseriti nella vita pubblica polesana, ai quali verrà riconosciuto “un posto e uno stemma nell’Elenco della nobiltà adriese, approvato dal Senato Veneto nel 1781”1.
L’infanzia e la prima giovinezza del Groto furono segnate da diverse disgrazie e accidenti, come lui stesso ricorda in alcuni scritti. Nel 1544, a soli tre anni, rimase orfano del padre e poco dopo una piena del Po gli tolse la maggior parte delle terre ereditate. Fu avviato agli studi da precettori privati, a cominciare dal napoletano Scipione Gesualdo de’ Belligni, marito di una sua cugina, e dall’avvocato Celio Calcagnini, che però faticavano a trovare un metodo didattico adeguato alla sua condizione d’ipovedente. Il giovane adriese, dotato di straordinarie capacità mnemoniche e multiforme talento, si rivelò precoce poeta e oratore: a nove anni, nel 1550, compose alcuni sonetti per la morte del suo primo maestro e successivamente seguitò a scrivere (o, meglio, a dettare) poesie mettendo in versi anche alcuni episodi biblici, che costituiranno il nucleo del dramma sacro Isac (terminato forse nel 1556 e rappresentato per la prima volta, con protagonista lo stesso Groto, nel febbraio 1558 ad Adria). Ancora, nel 1557 dedicò a Lucrezia Guarnieri l’Innamoramento d’Amore, un poemetto in cinque canti sulla favola apuleiana di Amore e Psiche. All’incirca allo stesso periodo risalgono le prime orazioni, come quella pronunciata in occasione del soggiorno veneziano della regina Bona di Polonia (1 maggio 1556) o il discorso gratulatorio per l’elezione del doge Lorenzo Priuli (10 agosto 1556). A tale attività, esercitata sia in qualità di rappresentante della Comunità adriese, sia a titolo personale, Luigi Groto non venne mai meno nel corso della sua esistenza: le sue orazioni, spesso edite singolarmente, furono raccolte in volume dallo stesso autore e pubblicate postume, a partire dal 1586.
All’inizio degli anni Sessanta il Groto affiancò all’impegno letterario quello di maestro. Trasferitosi per qualche tempo presso lo zio Giovanni Battista dopo la morte della madre, avvenuta nel novembre del 1564, egli divenne pubblico precettore di Adria nel 1565, raggiungendo così una certa stabilità economica. Presentandosi nella triplice veste di oratore, poeta e drammaturgo, Luigi Groto iniziò ad inserirsi appieno nella vita culturale del proprio tempo, entrando ad esempio a far parte dell’Accademia degli Addormentati di Rovigo (nel 1559) e fondando quella adriese degli Illustrati, di cui recitò l’orazione inaugurale in qualità di “Principe” il primo gennaio 1565. L’aria eterodossa e filo-calvinista che si respirava nelle accademie e nei circoli intellettuali polesani in quegli anni, d’altronde, ben si coniugava alla varietà dei suoi interessi che spaziavano dalle lettere all’astronomia, dalla filosofia all’astrologia, dalla cabalistica alle tematiche religiose. Fu proprio l’accusa di possedere un baule pieno di libri proibiti e, peggio ancora, di farseli leggere da giovani scolari dettando loro postille e osservazioni, a trascinare nell’aprile del 1567 il ventiseienne Luigi Groto davanti al Tribunale dell’Inquisizione di Rovigo con l’accusa di eresia. Nella lunga lista di volumi sequestrati dal vescovo Canani figuravano, tra le altre, opere di Bernardino Ochino, Erasmo da Rotterdam, Andrea Corvo, Cornelio Agrippa, Pietro Aretino, Niccolò Macchiavelli e Boccaccio, tutte messe all’indice fin dal 1559. A queste si aggiungeva un manoscritto sospetto, di paternità del Groto, che trattava “della incarnatione de Christo et del amore verso li inimici”2.
L’abilissima autodifesa che il Groto, già pratico d’avvocatura, si costruì, riconducendo ad esempio certe letture incriminate a semplice curiosità intellettuale, ridusse la portata delle gravi imputazioni ereticali per cui rischiava il carcere a vita. Nell’adunanza conclusiva dell’8 luglio 1567, ricapitolati i termini dell’accusa, l’unica colpa riconosciuta al sospetto eretico fu il possesso di libri proibiti senza il necessario permesso e contro le prescrizioni ecclesiastiche. All’abiura seguì la sentenza e, ben più grave della penitenza religiosa, l’ingiunzione di astenersi in perpetuo dall’insegnamento pubblico e privato. Il disagio economico e il clima di sospetto che circondò il Cieco in seguito al processo lo costrinsero ad un atteggiamento più discreto e prudente e a cercare il sostegno di mecenati e benefattori. I moniti ricevuti dal vescovo Canani nel giugno 1576 e nel maggio 1580 documentano, del resto, le pesanti difficoltà che evidentemente lo indussero a riaprire la scuola nonostante il divieto. Tra la fine degli anni Sessanta e l’inizio degli anni Settanta Luigi Groto si rilanciò nell’attività pubblica con il discorso in sostegno del progetto del Taglio di Porto Viro (17 novembre 1569) e soprattutto con l’orazione per la vittoria di Lepanto (18 novembre 1571) e quella di benvenuto recitata a Venezia di fronte a Enrico III di Valois (25 luglio 1574).
In campo più prettamente letterario tradusse il primo libro dell’Iliade in ottave, dedicandolo al cardinale Luigi d’Este (1570), pubblicò il Trofeo della Vittoria Sacra, una raccolta poetica di vari autori da lui promossa e curata per le celebrazioni lepantine (1572), iniziò a lavorare al Decameron riformato e pian piano tornò a dedicarsi intensamente al teatro. Dopo la messa in scena nel 1572 della tragedia Dalida (composta però in precedenza) si susseguirono le pubblicazioni, rappresentazioni e ristampe di diverse altre opere teatrali, mentre di alcuni testi conosciamo appena il titolo (Ginevra, Isabella, Progne, Mirra). Accanto agli amori di sempre, l’oratoria e il teatro, tra le fatiche dell’ultimo Groto va ricordata un’opera, perduta, di ambito astronomico (l’Effemeride) e l’intenso lavoro di promotore e curatore di volumi altrui su tematiche assai differenti, quali ad esempio i trattati di Giovanni Maria Bonardo sulla cosmologia, l’agricoltura e la mineralogia.
La continua partecipazione al mondo culturale contemporaneo è comprovata dall’ingresso nel 1571 col nome virgiliano di “Damòne” nell’Accademia dei Pastori Frattegiani che si raccoglievano attorno al Bonardo, grande amico e sodale del Cieco, e alle frequentazioni, pare tramite la poetessa sua allieva Issicratea Monti, della celebre Eolia di Costozza. In tal modo egli entrò in contatto da un lato col fervido ambiente di tipografi e stampatori veneziani e dall’altro con artisti, letterati e rimatori molto noti al tempo come il poeta in lingua rustica Giovanni Battista Maganza detto Magagnò. Testimonianza della notorietà che il letterato adriese acquisì negli anni è inoltre il celebre ritratto eseguito, a dar credito alle parole dello stesso Groto, da Jacopo Tintoretto (ma attributo da Spaggiari piuttosto alla sua bottega).
Della fitta rete di amicizie e conoscenze intessute dal Cieco con l’aristocrazia intellettuale veneta, nonostante i rari spostamenti dalla città natia, rende ampiamente conto il suo ricco epistolario, nel quale invece non si trova cenno all’unione con la fantesca Caterina: unione legittimata il 18 marzo 1580 ma da cui erano già nati due figli, Giovan Battista e Domenica (rispettivamente nel 1572 e nel 1579).
Il definitivo riconoscimento della sua crescente fama di erudito e letterato giunse però al Groto con l’inaugurazione del Teatro Olimpico di Vicenza durante il Carnevale del 1585, quando salì sul palcoscenico per la fastosa rappresentazione dell’Edipo tiranno, volgarizzamento della tragedia sofoclea realizzato dal veneziano Orsatto Giustinian. Sul ruolo da lui interpretato, Edipo o Tiresia, non vi è in realtà accordo né tra le testimonianze contemporanee né tra gli studiosi moderni, e nemmeno l’epistolario grotiano pare in questo caso dirimere con certezza la questione. In una lettera indirizzata al Magagnò, datata 4 giugno 1584, il letterato accetta, entusiasta e riconoscente, l’invito degli Accademici Olimpici a recitare la parte di Tiresia, mentre in una epistola del 22 luglio, rispondendo a Camillo Camilli che gli proponeva di impersonare Edipo, dichiara che è giusto che un cieco sostenga la parte d’un cieco, senza che sia chiaro quali panni infine vestisse. È persino probabile che Luigi Groto e l’accademico vicentino Nicolò Rossi (anche lui precettato tra gli attori principali) si scambiassero le parti del sovrano e dell’indovino, tra la prima inaugurale del 3 marzo e la replica avvenuta due giorni dopo3.
Nell’autunno dello stesso anno il Cieco d’Adria, che da tempo auspicava un ingresso nell’accademia, si recò a Venezia dove, con l’appoggio del doge Pasquale Cicogna, gli era stata assegnata la “lettura” di filosofia alla prestigiosa Scuola di Rialto. Sulla sospirata cattedra però Luigi Groto non riuscì mai a salire poiché, malato di pleurite, morì appena quarantenne il 13 dicembre 1585 (il giorno di santa Lucia, protettrice dei ciechi). Le sue spoglie furono inizialmente accolte nella chiesa veneziana di S. Luca, per essere successivamente trasferite nella cattedrale di Adria.

Opere

Gli scritti del Groto godettero inizialmente di una discreta fortuna, come testimonia l’elevato numero di ristampe licenziate nel trentennio successivo alla morte dell’autore, ma su di essi calò ben presto un silenzio secolare. I severi giudizi di scarsa originalità e bizzarro manierismo, che fin dal Settecento colpirono in particolar modo le Rime, divennero dei luoghi comuni della critica che in realtà assai poco si interessò del Cieco d’Adria. La sua ricca e composita produzione, generalmente relegata nell’ombra dalle storie letterarie, non destò infatti quell’attenzione che un’opera così complessa meritava e soltanto negli ultimi decenni si è tentato di riscattare la figura di questo raffinatissimo letterato, mettendone in evidenza le eccezionali capacità espressive e la “singolare avventura umana ed artistica”4.
Ad attirare gli strali della critica, come accennato, furono soprattutto le liriche grotiane: sonetti, madrigali, capitoli, sestine e canzoni certamente tributari della lezione petrarchesca, ma caratterizzati da virtuosismi concettistici estremi e ardite sperimentazioni formali. La ricerca ostentata dell’ingegnosità e i faticosi funambolismi stilistici, in linea con il gusto manierista del tempo, danno prova dell’innegabile abilità tecnica dell’autore, pur inclinando spesso verso una fredda e artificiosa meccanicità.
Rientra nella produzione in versi anche il giovanile, e tuttora inedito, Innamoramento d’Amore, libera trasposizione in ottave dell’Asino d’oro di Apuleio, composta alla luce del volgarizzamento di Matteo Maria Boiardo.
Maggior fortuna ebbe, per lo meno fino a metà Seicento, il Groto drammaturgo che fu uomo di teatro a tutto tondo: non solo autore ma anche attore, regista e istruttore di recitanti. La sua produzione teatrale si compone di tre commedie, due tragedie, una sacra rappresentazione e due favole pastorali, ma grazie allo stesso letterato abbiamo notizia di diversi altri testi appena abbozzati e mai giunti alla stampa.
Il dramma sacro, edito postumo (Isac 1586), fu il suo più antico componimento scenico, mentre incerta risulta la datazione primigenia delle due opere afferenti al genere pastorale, diversissime tra loro ma entrambe ugualmente sperimentali e innovative. Secondo testimonianze annalistiche, il Pentimento amoroso fu rappresentato per la prima volta nel 1565 nel palazzo pretorio di Adria, ma tale dato si scontra, almeno in apparenza, con quanto si evince dall’epistolario grotiano. Il fatto che l’autore dichiari di lavorare alla favola silvestre nel dicembre 1572 e che essa si reciterà “subito che sia fatta”5, fece pensare ad un errore documentario o, al contrario, che il Pentimento messo in scena nel 1575 (un anno prima della princeps) fosse la rielaborazione di un testo giovanile. In ogni caso l’opera ebbe una certa risonanza: conobbe infatti quattro edizioni vivente l’autore, fu tradotta in francese (e in Francia divenne uno dei testi di riferimento della pastorale drammatica) e recitata a Cambridge in latino nei primi anni del XVII secolo con il titolo Pathernia. Nonostante gli evidenti legami con la pastorale sannazariana e la tradizione aulica e cortigiana della bucolica amorosa, la favola boschereccia del Groto si caratterizza per il linguaggio solenne e gli artificiosi intrighi in cui sono coinvolte le tre coppie protagoniste dell’intreccio. L’azione e gli slanci lirici soccombono ormai all’eloquenza e all’esibito cerebralismo, tanto che l’egloga, agli antipodi rispetto alla semplicità della coeva Aminta tassiana, interessò i comici dell’Arte per il concettismo dei suoi pezzi amorosi.
La prima stesura della Calisto, rappresentata nel 1582, risalirebbe per alcuni studiosi all’inizio degli anni Sessanta, per altri al decennio successivo. Assai rimaneggiata rispetto alla versione originale pare dunque la stampa del 1583, con la dedica al duca di Ferrara Alfonso II e una lunga parentesi encomiastica sulla famiglia estense. La Calisto, sulla scia dell’Amphitruo plautino, vede protagoniste le divinità: in un intreccio di matrice più novellistica che bucolica, con frequenti aperture al comico e all’osceno, vengono raccontati gli amori spregiudicati di Giove e Mercurio per due ninfe che, ingannate e disonorate, finiranno spose dei fedeli pastori che le hanno sempre amate.
Fu certamente nella tragedia che più brillò l’ingegno del letterato polesano. La Dalida, messa in cantiere all’inizio degli anni Sessanta, fu recitata sotto la loggia del Palazzo Civico soltanto nel 1572, anche a causa delle vicende inquisitoriali che sconvolsero la vita dell’autore in quegli anni. La storia è un crescendo di eccidi e immotivate atrocità che rivelano dietro al modello senecano la presenza dell’Orbecche di Giraldi Cinzio.
L’opera drammatica più famosa di Luigi Groto è però l’Adriana (1578), prima grande tragedia manieristica del Cinquecento, che attirò l’attenzione degli studiosi per alcune macroscopiche affinità testuali col più tardo Romeo and Juliet shakespeariano. La vicenda, incentrata sullo sfortunato amore tra Adriana e Latino, figli rispettivamente dei rivali re di Adria e del Lazio, si inserisce in un filone tematico dall’alta dignità letteraria, già sfruttato in Italia da scrittori quali Masuccio Salernitano, Luigi Da Porto e Matteo Bandello. L’articolato ordito retorico e il linguaggio ermetico e allusivo denotano un gusto dell’espressione ormai volto al barocco.
Un alto grado di letterarietà caratterizza anche le commedie sia per la ricchezza dei riferimenti e delle derivazioni sia per l’aspetto formale, essendo tutte composte in lingua letteraria e in endecasillabi sciolti sdruccioli. L’Emilia è un’opera erudita, fortemente debitrice dell’Epidicus plautino, che porta la scena a Costantinopoli, subito dopo la caduta di Cipro nelle mani dei Turchi. Fu rappresentata nel 1579 per l’inaugurazione del teatro stabile di Adria, voluto dallo stesso Groto, ed edita poco dopo per evitare che altri mandassero in stampa copie inesatte e infarcite d’errori.
Il Tesoro (1580) deve molto alla Vaccaria di Ruzante e al Centonovelle boccacciano, specie per il suo linguaggio aspro e i dialoghi arguti ed eversivi nei confronti di una società dipinta come gretta e provinciale. L’ingegnosa commedia, dall’intonazione quasi novellistica, è ambientata ad Adria e si fonda sul tradizionale contrasto tra un vecchio marito geloso e una coppia di giovani innamorati che giunge al lieto fine solo grazie alla prontezza di spirito e all’efficacia oratoria della bella protagonista.
Di filiazione parzialmente beolchiana e decameroniana è anche l’ultima commedia del Groto, Alteria (1584, edita postuma), dove un’atmosfera adriese più indulgente e pacata fa da sfondo ad una trama assai ingarbugliata per la presenza di personaggi superflui e infiniti equivoci, non sempre risolti. Ancora basata sull’opposizione tra vecchi e giovani e su un personaggio femminile determinato e a tratti irriverente, l’opera adotta un linguaggio altamente metaforico ed elaborato che non impedisce però il godimento di alcune scene di grande effetto parodistico.
Un certo successo andò anche alle epistole e alle orazioni grotiane che conobbero un buon numero di ristampe specialmente per il loro valore precettistico. La raccolta delle Lettere famigliari, ad esempio, di cui oggi i critici si servono soprattutto allo scopo di ricostruire la biografia e la psicologia dell’autore, venne pubblicata postuma ed utilizzata come un vero e proprio manuale di studio dall’epistolografia secentesca.
Tra le altre opere del Groto, a parte alcune traduzioni dalle lettere classiche e un testo perduto di matrice ovidiana scritto in gioventù (Le costituzioni e le regole dell’amore), merita di essere ricordato il lavoro sui Cinque Canti ariosteschi e sul Decameron di Boccaccio. La prima impresa, cui Groto attese tra il 1563 e il 1564, pare collegarsi alla sua frequentazione dell’ambiente di corte ferrarese. Egli infatti, su richiesta di Girolamo Ruscelli, collaborò alla revisione dei Cinque Canti di Ludovico Ariosto redigendo in particolar modo “le allegorie” e “gli argomenti” che accompagnarono l’edizione valgrisina del Furioso apparsa l’anno successivo.
La “riforma” del capolavoro boccacciano fu concepita dall’autore alla fine degli anni Settanta, forse con l’intento di riabilitarsi agli occhi dell’Inquisizione, ma ritardi dovuti addirittura alla perdita del suo manoscritto annotato e corretto portò all’uscita postuma dell’opera (1588). Quello del Groto fu il terzo tentativo – dopo le esperienze di Vincenzo Borghini e Leonardo Salviati – di una redazione purgata del Centonovelle, specialmente dei passi anticlericali e amorali, e come gli altri venne in seguito aspramente criticato quale “infamissima rassettatura”6.

Bibliografia

Opere di Luigi Groto

  • I Cinque Canti di M. Lodovico Ariosto, i quali seguono la materia del Furioso. Tutti di nuovo revisti, & ricorretti da molti importantissimi errori, che fin qui sono stati in tutti gli altri. Con gli argomenti in rima, & discorsi di M. Luigi Grotta d’Adria. Con alcune brevi & importanti annotationi del medesimo, in Orlando furioso di M. Lodovico Ariosto, tutto ricorretto, & di nuove figure adornato. Con le annotationi, gli avvertimenti, & le dichiarationi di Ieronimo Ruscelli. La vita dell’autore, descritta dal signor Giovan Battista Pigna. Gli scontri de’ luoghi mutati dall’autore doppo la sua prima impressione. La dichiaratione di tutte le istorie, & favole toccate nel presente libro, fatta da M. Nicolò Eugenico. Il Vocabolario di tutte le parole oscure, Et altre cose utili e necessarie. Di nuovo aggiuntovi Li Cinque Canti, del medesimo autore. Et una tavola de’ principij di tutte le stanze. Con altre cose utili, & necessarie, Valgrisi, Venetia 1565 [con successive riedizioni].
  • Il primo libro della Iliade d’Homero. Tradotto da Luigi Groto cieco d’Hadria, Rocca, Venetia 1570.
  • La Dalida tragedia nova di Luigi Groto cieco di Hadria, Guerra, Venetia 1572 [con successive riedizioni].
  • Trofeo della Vittoria Sacra, Ottenuta dalla Christianissima Lega contra Turchi nell’anno MDLXXI. Rizzato da i più dotti spiriti de’ nostri tempi, nelle più famose lingue d’Italia; con diverse Rime raccolte, e tutte insieme disposte da Luigi Groto cieco di Hadria, Sigismondo Bordogna & Franc. Patriani, Venetia 1572 [alcuni esemplari uscirono incompleti, cfr. Malavasi 2012: 52 n. 130].
  • Il Pentimento amoroso. Nuova favola pastorale di Luigi Groto, Cieco di Hadria. Recitata l’anno MDLXXV sotto ’l felice Regimento del clarissimo M. Michiel Marino, in Hadria, Rocca, Venetia 1576 [con successive riedizioni].
  • La prima parte delle rime di Luigi Groto cieco di Hadria, Zopini, Venetia 1577 [con successive riedizioni].
  • La Hadriana tragedia nova di Luigi Groto Cieco d’Hadria, Farri, Vinegia 1578 [con successive riedizioni].
  • La Emilia comedia nova di Luigi Groto cieco di Hadria. Recitata in Hadria, il dì primo di marzo MDLXXIX la domenica di carnesciale, sotto il reggimento del clarissimo signor Lorenzo Rimondo, Ziletti, Venetia 1579 [con successive riedizioni].
  • Il Thesoro comedia nova di Luigi Groto cieco d’Hadria. Nuovamente stampata, Zopini, Venetia 1583 [con successive riedizioni].
  • La Calisto nova favola pastorale di Luigi Groto cieco di Hadria. Nuovamente stampata, Zopini, Venetia 1583 [con successive riedizioni].
  • Le orationi volgari di Luigi Groto cieco di Hadria da lui medesimo recitate in diversi tempi in diversi luoghi, e in diverse occasioni, parte stampate, e ristampate altre volte ad una ad una, e parte non mai più venute in luce. Et hora dall’Autore istesso ricorrette, agevolate con gl’argomenti, distinte con le annotationi nel margine, e tutte insieme con l’ordine de tempi raccolte in un sol volume, Zoppini, Venetia 1586 [con successive riedizioni].
  • Lo Isach, rappresentation nova di Luigi Grotto cieco d’Hadria. Alla molto mag. & rever. sig. suor Orsetta Pisani. Nuovamente posto in luce, Zoppini, Venetia 1586 [con successive riedizioni].
  • La Alteria comedia nova di Luigi Grotto cieco d’Hadria. Nuovamente posta in luce, Zoppini, Venetia 1587 [con successive riedizioni].
  • Il Decamerone di messer Giovanni Boccaccio cittadin fiorentino. Di nuovo riformato da M. Luigi Groto cieco d’Adria. & con le dichiarationi avertimenti, & un vocabolario fatto da M. Girolamo Ruscelli. Colla vita del Boccaccio di M. Francesco Sansovino, Zoppini, Venetia 1588 [con successive riedizioni].
  • Lettere famigliari di Luigi Groto Cieco d’Adria. Scritte in diversi generi, & in varie occasioni con molta felicità, e di nobilissimi concetti ornate. Delle quali, come di un vivo esemplare, se ne potrà ciascuno securamente servire in ogni maniera di lettere. Con la tavola de i generi delle lettere, & di coloro, a cui esse son scritte. Dedicate al clariss. sig. Giulio Molino, Brugnolo, Venetia 1601 [con successive riedizioni].
  • Le orationi volgari, et latine di Luigi Grotto cieco di Hadria da lui medesimo recitate in diversi tempi, in diversi luoghi, e in diverse occasioni, parte stampate, e ristampate altre volte ad una, ad una, e parte non mai più venute in luce. Et hora dall’Autore istesso ricorrette, agevolate con gli argomenti, distinte con le annotationi nel margine, e tutte insieme con l’ordine de’ tempi raccolte in un sol volume. Con due tavole, l’una delle oratione, & l’altra delle cose più notabili: & con due ammaestramenti, l’uno d’imparare a cognoscere le parti dell’oratione, l’altro di sapere di che cosa si potrà trattare nell’oratione. Alla illustre Accademia Olimpica Vicentina, Reghettini, Trevigi 1609 [con successive riedizioni].
  • Rime di Luigi Groto cieco d’Hadria. Parte prima. A cui seguono altre due parti hora di nuovo date in luce. Con la vita dell’Autore, Et con la Tavola degli Argomenti. Parte Prima, Ambrosio Dei, Venetia 1610.
  • Rime di Luigi Groto cieco d’Hadria. Parte Seconda, Ambrosio Dei, Venetia 1610.
  • Rime di Luigi Groto cieco d’Hadria. Parte Terza, Ambrosio Dei, Venetia 1610.

Edizioni moderne

  • Luigi Groto, Adriana, in Il teatro italiano. II. La tragedia del Cinquecento, a cura di Marco Ariani, 2 voll., Einaudi, Torino 1977, I, pp. 281-424.
  • Le Famigliari del Cieco d’Adria, a cura di Marco De Poli, Luisa Servadei e Antonella Turri, saggio introduttivo di Mario Nanni, Antilia, Treviso 2007.
  • Le Rime di Luigi Groto, Cieco d’Adria. Edizione critica a cura di Barbara Spaggiari, 2 voll., Apogeo, Adria (Ro) 2014.

Strumenti

  • Giovanni Benvenuti, Il Cieco di Adria: vita e opere di Luigi Groto, Forni, Bologna 1984.
  • Francesco Bocchi, Luigi Groto (il Cieco d’Adria) nato 8 settembre 1541 morto 13 dicembre 1585: il suo tempo, la sua vita e le sue opere, Eredi Guarnieri, Adria 1886.
  • Giovanmaria Bonardo, Le Ricchezze dell’Agricoltura, a cura di Stefania Malavasi, Minelliana, Rovigo 2012.
  • Alessandro Duranti, Sulle “Rime” di Luigi Groto, in “Filologia e Critica”, 2, 1977, pp. 337-388.
  • Flavio Fiorese (a cura di), Orsatto Giustiniani. Edipo tiranno. Con la Lettera di Filippo Pigafetta che descrive la rappresentazione dell’Edipo re di Sofocle al Teatro Olimpico di Vicenza nel 1585, Neri Pozza, Vicenza 1984.
  • Sara Frigato, Appunti sulle Commedie del Cieco d’Adria, in “Atti dell’Istituto Veneto di Scienze, Lettere ed Arti”, t. CXLIX, CLIII, 1990-91, pp. 111-141.
  • Valentina Gallo, Groto, Luigi (detto Il Cieco d’Adria) in DBI, vol. 60 (2003).
  • Gabriele Gatti, Tra Petrarca e Ariosto. Il lessico delle Rime. Parte Prima di Luigi Groto il Cieco d’Adria, in Petrarca in Barocco. Cantieri Petrarchistici. Due seminari romani, a cura di Amedeo Quondam, Bulzoni, Roma 2004, pp. 33-71.
  • Primo Griguolo, Giovanni Maria Bonardo e l’ambiente culturale di Fratta nel ‘500, in Palladio e palladianesimo in Polesine, Minelliana, Rovigo 1984, pp. 79-85.
  • Giuseppe Grotto, La vita di Luigi Grotto cieco d’Adria, Gio. Jacopo Miazzi, Rovigo 1777.
  • Luigi Andrea Grotto, Notizie intorno alla vita del celebre Luigi Grotto cieco d’Adria date l’anno 1769 da un altro Luigi della stessa famiglia al signore N.N. suo amico che gliene fece ricerca, Pietro Savioni, Venezia 1769 (poi Erede d’Alberto Pazzoni, Mantova 1772).
  • Luigi Groto e il suo tempo. Atti del Convegno di Studi (Adria, 27-29 aprile 1984), a cura di Giorgio Brunello e Antonio Lodo, 2 voll., Minelliana, Rovigo 1987.
  • Stefania Malavasi, Giovanni Maria Bonardo agronomo polesano del Cinquecento, Deputazione Editrice, Venezia 1988.
  • Stefania Malavasi, Ancora sull’agronomo Giovanni Maria Bonardo e l’Accademia dei Pastori Frattegiani, in Verso la santa agricoltura. Alvise Cornaro, Ruzante, il Polesine. Atti del XXV Convegno di Studi dell’Associazione Culturale Minelliana. Rovigo, 29 giugno 2002, Minelliana, Rovigo 2004, pp. 67-78.
  • Simona Mammana, Lepanto: rime per la vittoria sul turco. Regesto (1571-1573) e studio critico, Bulzoni, Roma 2007.
  • Giovanni Mantese, Mariano Nardello, Due processi per eresia. La vicenda religiosa di Luigi Groto, il “Cieco di Adria”, e della nobile vicentina Angelica Pigafetta-Piovene, Officine Grafiche STA, Vicenza 1974, pp. 11-50 e 71-91.
  • Giorgio Padoan, L’avventura della commedia rinascimentale, Piccin, Padova 1996.
  • Giorgio Padoan, Per la fortuna del Beolco: echi ruzanteschi nelle commedie del Groto, in “Quaderni Veneti”, 23, 1996, pp. 133-139.
  • Marzia Pieri, Il “laboratorio” provinciale di Luigi Groto, in “Rivista italiana di drammaturgia”, 14, 1979, pp. 3-35.
  • Massimo Rinaldi, Alcune indagini sulle “Orationi” di Luigi Groto, il “Cieco d’Adria”, in “Studi veneziani”, n.s., XXXIII, 1997, pp. 177-196; poi in Id., La cultura delle accademie. Immaginario urbano e scienze della natura tra Cinquecento e Seicento, Edizioni Unicopli, Milano 2005, pp. 55-83 (col titolo Mitografie urbane. Alcune indagini sulle Orazioni di Luigi Groto, il “Cieco d’Adria").
  • Barbara Spaggiari, La presenza di Luigi Groto in Shakespeare e negli autori elisabettiani, in “Italique”, 12, 2009, pp. 173-202.
  • Edoardo Taddeo, Il manierismo letterario e i lirici veneziani del tardo cinquecento, Bulzoni, Roma 1974.
  • Vittorio Turri, Luigi Groto, il Cieco d’Adria, R. Carabba, Lanciano 1885.
  • Luigia Zilli, La ricezione francese del “Pentimento amoroso” pastorale di Luigi Groto, Cieco D’Adria, Doretti, Udine 1984.

Article written by Rachele Fassanelli | Ereticopedia.org © 2015

et tamen e summo, quasi fulmen, deicit ictos
invidia inter dum contemptim in Tartara taetra
invidia quoniam ceu fulmine summa vaporant
plerumque et quae sunt aliis magis edita cumque

[Lucretius, "De rerum natura", lib. V]

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