Calandrini, Cesare

Dizionario di eretici, dissidenti e inquisitori nel mondo mediterraneo
Edizioni CLORI | Firenze | ISBN 978-8894241600 | DOI 10.5281/zenodo.1309444


Cesare Calandrini (Lucca, 1550 - Norimberga?, post 1611) è stato un patrizio lucchese esule religionis causa.

Aderì precocemente alla Riforma, abbandonando la città natale e l'Italia diciassettenne nel 1567, insieme al fratello maggiore Giovanni, alla stregua di vari famigliari che scelsero la via dell'esilio, come lo zio Benedetto Calandrini e il padre Giuliano Calandrini.
Come gli altri famigliari fu testimone delle guerre di religione in Francia e sopravvisse fortunosamente alla notte di S. Bartolomeo, alle stragi e alle persecuzioni successive.
Si rifugiò quindi con i famigliari e come altri esuli lucchesi a Ginevra e quindi a Norimberga, dove si accreditò come mercante e banchiere. Nel 1572, nonostante la sua condizione di esule, era riuscito ad ottenere un'attestazione di nobiltà da parte delle autorità lucchesi che esibì a Norimberga (la Repubblica di Lucca lo condannò ufficialmente come eretico solo nel 1580). I suoi affari fiorirono tra la Svizzera, la Germania e le Fiandre. Nel 1574 sposò a Francoforte Ester de Maistres, figlia di un mercante di Anversa (la cui sorella Maria era stata sposata da suo fratello Giovanni nel 1571), dalla quale ebbe tredici figli. Tre figlie femmine sopravvissero e si sposarono; tra queste in particolare Maddalena Calandrini fu sposa in prime nozze di Scipione Gentili.
L'ultima notizia che si ha su Cesare Calandrini data al 1611; in quell'anno ospitò a Norimberga Vincenzo Burlamacchi, come questi riportò nelle sue memorie.
La moglie morì a Norimberga nel 1625 e non è noto se egli sopravvisse alla moglie o fosse morto prima.

Bibliografia

  • Francesca Luzzati Laganà, Calandrini, Cesare, in DBI, vol. 16 (1973) (e bibliografia ivi).

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et tamen e summo, quasi fulmen, deicit ictos
invidia inter dum contemptim in Tartara taetra
invidia quoniam ceu fulmine summa vaporant
plerumque et quae sunt aliis magis edita cumque

[Lucretius, "De rerum natura", lib. V]

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