Deshayes, Catherine (La Voisin)

Dizionario di eretici, dissidenti e inquisitori nel mondo mediterraneo
Edizioni CLORI | Firenze | ISBN 978-8894241600 | DOI 10.5281/zenodo.1309444


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La Voisin è l'appellativo con cui è conosciuta Catherine Deshayes (1640-1680), un’avventuriera francese che fu accusata di stregoneria e di aver partecipato attivamente all’affare dei veleni alla corte di Luigi XIV, oltre che di vari altri crimini. Tali accuse la portarono a morire sul rogo il 22 febbraio 1680 in Place de Grève a Parigi.

L’affare dei veleni alla corte di Luigi XIV

Il catalogo dello storico Ravaisson, l’Archives de la Bastille, è una delle opere fondamentali per ricostruire quello che, intorno al 1870, venne definito dalla critica storica come “il dramma dei veleni”, nel quale vengono riportati tutti gli arresti e i processi (con le relative esecuzioni) legati a quest’affare che sconvolse, particolarmente, la Francia di Luigi XIV. Claude Quétel, uno tra gli storici più autorevoli di quest’oscuro periodo ha calcolato che dal 1659 fino al 1715 furono emanate circa 2320 lettres de cachet, ossia documenti che stabilivano l’arresto immediato di circa 2016 uomini e 304 donne in quanto “avvelenatori”. L’affare dei veleni raggiunse il suo apice, nonostante episodi precedenti al regno del Re Sole, proprio durante il suo governo e precisamente dal 1679 al 1682. Cosa ancora più grave fu il fatto che, protagonisti di queste vicende furono importanti esponenti di corte (nobili e dame) e in particolare alcune tra le favorite del re; tra queste spicca il nome della superba Athénaïs, marchesa di Montespan, la quale già da tempo non godeva più delle attenzioni e dei favori del sovrano francese e, consumata dalla gelosia per le giovani rivali che ormai avevano preso il suo posto nel letto del monarca, decise di darsi alle arti occulte per riconquistare il favore perduto, cercando con l’uso di pozioni e sortilegi, di influenzare la volontà di Luigi.
Altra vittima di tale affare fu il maresciallo di Louxembourg. Egli si era particolarmente distinto per le sue prodezze in campo militare prima di entrare in combutta con Catherine Deshayes e cospirare contro lo stesso Luigi XIV.
L’affare dei veleni, oltre all’aspetto puramente criminale, mette in luce una società macchiata da personaggi ambigui che Guido Gerosa definisce, nel suo volume sulla vita pubblica e privata di Luigi XIV, come torbidi e repellenti: maghi, stregoni, alchimisti e persino uomini appartenenti al clero e tra questi personaggi la strega La Voisin, passata alla storia come una tra le peggiori criminali mai conosciute.
Tra queste, inoltre (prima di Catherine Deshayes) va ricordato il profilo della marchesa Maria Maddalena di Brillinviers. Le informazioni sulla sua vita, la crudeltà efferata che dimostrò nell’avvelenare membri della sua stessa famiglia per motivi puramente economici, ci vengono fornite dalla puntuale ricostruzione dell’abbate Pirot, il quale le stette accanto prima e durante il suo supplizio.
Proprio dal rogo della Brinvilliers ebbe origine, come sostiene Frantz Funck Brentano, il vero e proprio “dramma” o “affare dei veleni”. Sull’origine dei veleni non può non essere citata la famosa opera di Hans Winter, Medici e Avvelenatori del XVII secolo (1932), il quale li presenta come quegli strumenti adoperati fin dall’antichità attraverso cui, l’uomo stesso, venne a creare delle armi terribili per la distruzione dei suoi simili, senza dimenticare gli indiani, che di fatto conoscevano il potere della radice di Manioc (una pianta di cui andavano mangiate solo le foglie dopo essere state cotte, in quanto la radice stessa costituiva un potente veleno se mangiata cruda) fino alla civiltà antica (greco-romana), di cui si ricordano i nomi di due celebri avvelenatori: Loscusta e Mitridate. In primis Locusta, maestra di veleni, della quale si parla nel celebre testo di Svetonio Tranquillo, con riferimenti ai macabri esperimenti da lei perpetrati prima su un capretto e poi su un maiale per verificare l’effetto dei suoi composti; in secondo luogo Mitridate, il quale disponeva di un anello in cui, all’interno, vi era dell’arsenico bianco usato per liberarsi di personaggi scomodi o di presunti nemici. A questi composti inziali si aggiunsero, più tardi, la belladonna, il giusquiniano, il papavero, i quali, grazie ad un processo di filtraggio, erano in grado di provocare terribili allucinazioni. Non bisogna dimenticare inoltre che, proprio verso la fine del V secolo a.C., numerosi uomini, condannati alla pena di morte, vennero avvelenati nelle carceri in cui erano richiusi tramite l’utilizzo di veleni, tra i quali non possiamo non ricordare la cicuta, conosciuta anche come “morte dolce” (il cui succo, estratto da una radice profondissima, era tra i più potenti veleni mai conosciuti e i cui effetti, seppur nefasti, indolori). A rafforzo vi è poi il celebre passo narratoci da Cajo Cornelio Tacito a proposito della presunta morte dell’imperatore Claudio che venne avvelenato da Agrippina con una pietanza a base di funghi velenosi. Il Winter, inoltre, ritiene che la vera e propria comparsa dei veleni alla corte di Francia, che vide la maggiore diffusione proprio sotto la Brinvilliers e la strega La Voisin si ebbe già a partire dal regno di Caterina de’ Medici (1519-1589). Per eliminare numerosi gentiluomini, che spesso le erano da ostacolo o che rifiutavano di obbedire ai suoi ordini, questa spietata regina ricorreva all’avvelenamento contro cui, secondo l’errata convinzione della medicina dell’epoca, l’unico rimedio era quello di salassare il malato fino a farlo divenire bianco, causando di conseguenza, la morte per dissanguamento. Se ciò non fosse sufficiente, per comprendere quali fossero gli assurdi rimedi della medicina dell’epoca per risolvere il dramma dei veleni, basti pensare alla soluzione prospettata dal medico Mercuriale di Forlì che studiò a fondo questo problema. Secondo Mercuriale, il mezzo più rapido ed efficace per guarire dall’avvelenamento era quello di mettere la vittima all’interno di un animale squartato (bue o vacca) e fu proprio ciò che fece Cesare Borgia (1475-1507), probabilmente avvelenato durante una festa: si coricò per alcune ore nel corpo supino di una mula. Le fonti, inoltre, ci parlano di un frequente antidoto che veniva somministrato a chi presentava i sintomi dell’avvelenamento, ossia l’orvietano, così chiamato perché fu inventato e successivamente diffuso da un medico di Orvieto in Italia il quale, oltre a sperimentarlo su cavie animali, lo testò anche su di sé dopo aver assunto, precedentemente, svariati veleni. In casi particolarmente gravi, come durante l’avvelenamento di Enrichetta d’Inghilterra (1644-1670), questo veniva associato a polvere di vipera, olio e varie droghe.
Numerose furono le vittime del losco affare dei veleni alla corte di Luigi XIV. Tra le principali: il ministro Hugues de Lionne, la principessa Enrichetta d’Inghilterra (madama), prima moglie di Filippo I d’Orléans, fratello del Re Sole che, successivamente, prenderà in moglie Carlotta del Palatinato (Liselotte), Il conte di Soissons, il cancelliere d’Alige e il presidente Lamoignon. Seguendo il prezioso lavoro del Winter si fa inoltre, un presunto riferimento, anche all’avvelenamento mancato di Giovanni Sobiesky (1629-1696), re di Polonia, e di sua moglie.

Catherine Deshayes – La Voisin

L’emergere della figura di la Voisin si ha con la denuncia pronunciata da una donna di nome Maria Bosse, la quale venne arrestata presso la sua abitazione il 4 gennaio del 1679 insieme agli altri membri della sua famiglia. La Reynie, generale preposto da Luigi XIV ad indagare intorno all’affare dei veleni (fatto questo che stava sconvolgendo Parigi e l’intera Francia già da qualche tempo) ci informa che le nefandezze compiute da questa donna furono pari a quelle che avevano visto in passato la marchesa di Brinvilliers finire pubblicamente sul rogo, dopo essere stata decapitata, in place de Grève a Parigi nel 1676. Nello stesso anno, precisamente il 12 marzo, venne catturata Catherina Deshayes, sposa di un gioielliere di nome Antone Montvosin e da cui ella aveva preso il nome di La Voisin. A quanto leggiamo dalle fonti prese in considerazione, questa donna aveva imparato l’arte di fare la “pitonessa”, ossia l’indovina, con gentiluomini e dame di corte e, soprattutto, praticando le strade di Parigi nelle quali, fin da ragazza, aveva imparato l’arte di leggere la mano e di predire il futuro. Le dame che le si rivolgevano chiedevano, quasi sempre, di sbarazzarsi dei loro mariti a seguito di matrimoni indesiderati, per potersi unire liberamente ai loro amanti o, semplicemente, si recavano a casa della Deshayes per farsi leggere la mano. La Voisin aveva, però, un seguito molto ampio, il che dimostra, con certezza, che era stata in grado, tessendo una profonda rete di contatti, di attirare gente di ogni ceto e condizione sociale. Nonostante la ricchezza che non le mancava, derivante dai suoi consulti, questa strega, abile conoscitrice dell’arte dei veleni, era quasi sempre ubriaca e dai costumi volgari. Si pensa, inoltre, che il marito, Antone Montvosin, un gioielliere di Parigi, le fosse completamente sottomesso tanto che, più di una volta, lo aveva fatto bastonare pubblicamente. L’arte della Deshayes aveva, però, un fondamento scientifico o quanto meno a seguito di quello che possiamo leggere dagli studi che la riguardano, ci viene detto che questa donna aveva appreso l’arte della “fisionomia” alla quale aveva dedicato anni di studi intensi, specializzandosi poi in vari campi: la simpatia tra spirito e corpo, i rapporti tra gli animali, la disparità e la diversità in ambito sessuale, la differenza tra le nazioni, il temperamento dell’uomo e la diversità dell’età. Catherine, dunque, nonostante fosse di sgradevole aspetto e alquanto volgare, aveva il dono di attrarre a sé le sue vittime, stabilendo con quest’ultime un forte rapporto empatico e di dipendenza dai suoi consigli. Questo elemento era alquanto ricorrente durante i processi di stregoneria (tanto più che il tema ci viene riproposto nel famoso volume degli inquisitori Henric Institor – meglio noto come Kramer – e Jakob Sprenger, il Malleus Maleficarum.
Il Winter, nel suo organico trattato Medici e Avvelenatori del XVII secolo ci riporta una biografia alquanto esaustiva della La Voisin, dicendo che aveva preso possesso di una casa appartata con giardino, presso rue Beauregard, in modo da non essere infastidita da azioni di spionaggio da parte dei vicini o della polizia stessa e non è un caso, come sostiene sempre il Winter, che i suoi atti crudeli e nefasti e la sua immane scelleratezza la paragonino alla regina Caterina de’ Medici, in quanto si tratta di personaggi che, anche se per scopi diversi, si servirono di pozioni e veleni per attentare alla vita dei loro rivali, soprattutto per il potere. Nel caso della Montevosin, a far viaggiare boccette contenenti veleno e pozioni a base di arsenico era l’oro, bene prezioso che venne portato presso la sua dimora da numerose nobildonne frequentanti la reggia di Versailles e, in qualche modo, interessate ai suoi intrugli velenosi.

Le Messe nere, l’accusa di stregoneria e la sentenza della Camera Ardente

L’accusa principale rivolta a La Voisin fu quella di aver officiato, insieme all’abate Guibourg (un prete di circa settant’anni dall’aspetto inquietante) sinistre e macabre messe nere. Durante questi riti (in cui era stata coinvolta anche la favorita di Luigi XIV, la marchesa de Montespan) La Voisin aveva sgozzato, come offertorio al demonio, numerosi bambini, comprati da alcune ragazze dall’aspetto prosperoso per uno scudo e, dopo aver mescolato il loro sangue con quello di un pipistrello, insieme ad altre materie ricavate da pratiche deplorevoli, aveva versato il tutto all’interno di un calice per poi farne una sorta di ostia che aveva dato da mangiare a coloro i quali si prestavano a tali pratiche. La Montespan, dagli interrogatori di La Reynie (il quale, all’occorrenza, si servì anche della tortura per estorcere confessioni da La Voisin), risultò complice a tutti gli effetti de La Voisin, al fine di maledire e avvelenare madame de La Vallière e Angélique de Fontanges considerate pericolose rivali a corte. Solo grazie all’intervento di Colbert e del re, ella non venne giudicata colpevole dalla Camera Ardente, ma comunque perse del tutto la sua influenza e venne relegata in esilio. Sappiamo dagli studi del Gerosa e del Brentano che le messe richieste dalla marchesa furono tre e, a quanto si crede, nell’ultima messa, celebrata nel 1673, accecata dalla gelosia e dalla brama di potere verso Luigi XIV, la donna arrivò a far sacrificare i suoi tre figli. L’aspetto dell’innocente sacrificato (in questo caso bambini che erano stati partoriti da madri povere e dunque rivenduti come oggetti) non deve stupirci e fu proprio questo dettaglio, emerso durante il processo, a far sì che Catherine Deshayes venisse condannata come strega oltre che come avvelenatrice per aver di proposito usato delle polveri aventi il potere di stregare gli uomini. A tal proposito, non va dimenticato lo studio di Carlo Ginzburg, Storia notturna. In esso vi è un esplicito richiamo agli incunaboli della letteratura demonologica, tra i quali figura il Formicarius scritto dal domenicano tedesco Johannes Nider tra il 1435 e il 1437 a Basilea. Il quinto libro, per la precisione, è appunto dedicato alla stregoneria e oltre a far riferimento a ciò che troveremo anche nel processo contro La Voisin, ossia la diffusione di malefici atti a provocare la “malattia d’amore” o in casi peggiori la morte, vi è anche un utile riferimento a gruppi di streghe, chiromanti e stregoni che, descritti dallo storico come lupi, spesso sacrificavano degli infanti al demonio divorandoli. Si aggiunga a ciò la testimonianza dell’inquisitore di Evian, il quale aveva scoperto nella regione di Losanna alcuni di questi stregoni che si erano macchiati di numerose scelleratezze, avendo divorato i loro figli dopo averli cucinati.
Tornando al processo contro La Voisin, apprendiamo che la Camera Ardente (Chambre Ardente), nata appositamente per giudicare i rei di stato e definita in questo modo perché completamente drappeggiata di nero e appena illuminata con delle torce, la condannò come strega e avvelenatrice: una sentenza ben più grave rispetto a quella data, alcuni anni prima, alla marchesa di Brinvilliers a cui, prima del rogo, era stata disposta la decapitazione. La donna salì sulla pira il 20 febbraio del 1680 presso place de Grève a Parigi, portando tra le fiamme ciò che ne era stato della macabra faccenda dei veleni. Tale dramma, ancora oggi oggetto di studi (come lo stesso personaggio di Catherine Deshayes) vide coinvolte ben 442 persone. Di queste circa 104 vennero poste a giudizio, 36 furono condannate a morte e 5 vennero condannate al carcere perpetuo, 23 furono messe al bando, mentre contro alcune si decise di non procedere con l’esecuzione pubblica soltanto per una ragione d’età o per evitare ulteriori scandali a corte.

Bibliografia

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Article written by Mariano Ciarletta | Ereticopedia.org © 2020

et tamen e summo, quasi fulmen, deicit ictos
invidia inter dum contemptim in Tartara taetra
invidia quoniam ceu fulmine summa vaporant
plerumque et quae sunt aliis magis edita cumque

[Lucretius, "De rerum natura", lib. V]

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