Dizionario di eretici, dissidenti e inquisitori nel mondo mediterraneo
Edizioni CLORI | Firenze | ISBN 978-8894241600 | DOI 10.5281/zenodo.1309444
Castelina è stata una donna di Zinasco perseguitata e condannata a morte per stregoneria nel 1492. Dopo esser stata accusata una prima volta, confessa al padre inquisitore Giovanni Antonio de Scaravazi di essere una strega e di aver preso parte a una compagnia di streghe di cui nomina la defunta Caterina detta Ragogna. Quindici giorni dopo aver chiesto e ottenuto il perdono del padre inquisitore, Castelina ritorna a compiere malefici sedotta dal demonio e confessa al padre inquisitore di essere ricaduta nell'eresia. Di fronte alla seconda confessione Castelina, divenuta ormai strega heretica relapsa, viene condannata al rogo.
Processo e condanna per stregoneria di Castelina di Zinasco
Il 10 maggio 1492 nel convento dei domenicani di San Tommaso, sede dell'inquisizione pavese, viene emessa la sentenza di condanna a morte nei confronti di Castelina, accusata di essere strega relapsa. Il documento che riporta la sentenza risulta al momento l'unico elemento testimone del processo, nonchè l'esito conclusivo di una vicenda nata tempo prima. Non si conosce il cognome né tantomeno la famiglia di appartenenza della condannata, così come non viene espressa l'età né viene precisata la sua esatta località di residenza. Cionondimeno la sentenza consente di fare luce sulla vicenda di una donna accusata di stregoneria che, stando alla confessione che spontaneamente avrebbe reso al padre inquisitore Giovanni Antonio de Scaravazi, risulta essere in età se non avanzata perlomeno matura dal momento che dichiara di essere stata sedotta dal demonio per la prima volta già dodici anni prima. L'area di residenza poi, per quanto non esplicitata, è intuibile dalle località che Castelina dichiara di avere frequentato nelle sue presunte malefatte da strega e che gravitano tutte intorno all'area di Zinasco, piccolo comune a pochi chilometri da Pavia, e soprattutto dal fatto che il podestà a cui Castelina verrà consegnata per l'esecuzione della condanna non sarà il podestà di Pavia ma quello di Zinasco per l'appunto. Come spesso riscontrato in casi simili, l'accusata dichiara di aver preso parte a una compagnia di streghe, mantenendo tuttavia un grande riserbo sul nome delle compagne a eccezione della defunta Caterina, detta anche Ragogna, che può essere nominata proprio perchè defunta mentre delle altre streghe si tace il nome. Sicuramente più insolito è invece il fatto che persino il padre inquisitore decida di non insistere nel sapere il nome di queste donne ma si limita a processare la sola Castelina. Castelina nella sua confessione dichiara di avere rinnegato Dio, la fede cristiana e il battesimo; di aver “dato del cullo et de li pedi” sopra una croce disegnata all'interno di un cerchio per terra; di avere avuto rapporti sessuali contro natura con il diavolo apparsole con sembianze a volte di cavallo, altre volte di giovane vestito di nero e di nome Martino; di avergli fatto atti di reverenza e di obbedienza; di aver partecipato a balli collettivi in compagnia del diavolo al ritmo di uno strumento musicale dal “suono torbido” e, una volta terminati il ballo e i rapporti sessuali, di essersi recata in compagnia delle altre streghe in vari luoghi nei pressi di Zinasco per compiere malefici e guastare alberi, bestie e creature. A questa prima fase della confessione ne segue una seconda, probabilmente redatta dal notaio in un momento successivo alla prima, dove i contenuti sembrano virare su questioni di materia più strettamente teologica rispetto al racconto dei malefici e dei guastamenti compiuti. Castelina infatti dichiara anche di recarsi raramente in chiesa, di essersi più volte rifiutata di ricevere l'eucarestia e che, quand'anche ricevuta, la sputava immediatamente rinnegando a bassa voce l'esistenza di Dio e infine confessa di conservare sotto la paglia del letto una bacchetta da usare per recarsi “al zogo” e da ungere con una scodella piena di “grasso de li putti”. La presenza di caratteristiche estrinseche diverse nella scrittura di queste due fasi che compongono la confessione spontanea di Castelina, quali ad esempio il diverso spazio interlineare e la diversa altezza nel corpo delle lettere, inducono a credere che la confessione di Castelina sia avvenuta in realtà a più riprese e, per quanto non detto esplicitamente, sicuramente incalzata dalle domande del padre inquisitore dal momento che la confessione risulta essere formata da una serie di enunciati spesso separati tra loro da punti fermi e che iniziano in alcuni casi con l'espressione “Ancora respundiva che”, ammettendo quindi implicitamente l'esistenza di una domanda. Dopo tali dichiarazioni la presunta strega ammette inoltre di aver già chiesto una volta il perdono al padre inquisitore per la propria eresia e tale perdono le era stato accordato con la promessa in cambio di fare una penitenza consistente nel portare sul vestito una croce gialla come segno di riconoscimento. Pur avendo obbedito alla richiesta del padre inquisitore, dopo quindici giorni dal perdono concesso Castelina ritorna però a farsi sedurre dal demonio e ritorna a compiere gli stessi malefici già confessati. A questo punto la sentenza diventa inevitabilmente quella del rogo, come si addiceva a coloro che si erano macchiati di eresia e di eresia recidiva perciò il documento si conclude con l'ordine di consegna della condannata al braccio secolare, nel caso rappresentato dal podestà di Zinasco Francesco Rampi, affinchè provveda alla sua esecuzione. Del processo più che la serie dei presunti malefici compiuti, colpisce la reticenza da parte della condannata a nominare le altre donne della compagnia e ancora di più che la stessa discrezione vi sia anche da parte del padre inquisitore, solitamente impegnato in casi del genere a cercare di ricostruire con determinazione i legami tra le presunte streghe in modo da consegnarne più possibile alla giustizia. Il nome delle altre streghe infatti “si tace per lo meglore”. Tale atteggiamento del padre inquisitore Giovanni Antonio de Scaravazi sembra essere dettato da una prudenza che del resto aveva avuto modo di manifestare anche in occasione di un altro caso di processo per stregoneria, tenutosi a Pavia pochi anni prima nel 1489 e conclusosi con l'assoluzione dell'accusata.
Fonti
Article written by Filippo Catanese | Ereticopedia.org © 2020
et tamen e summo, quasi fulmen, deicit ictos
invidia inter dum contemptim in Tartara taetra
invidia quoniam ceu fulmine summa vaporant
plerumque et quae sunt aliis magis edita cumque
[Lucretius, "De rerum natura", lib. V]