Carcere perpetuo

Dizionario di eretici, dissidenti e inquisitori nel mondo mediterraneo
Edizioni CLORI | Firenze | ISBN 978-8894241600 | DOI 10.5281/zenodo.1309444


La pena del carcere perpetuo era molto comune nelle sentenze dei tribunali inquisitoriali: non raramente il condannato non veniva lasciato in carcere ma gli era consentito di scontare la pena in una determinata località (di solito quella di origine), con obbligo di non spostarsi da essa e di vestire l'abitello. Malgrado formalmente indicasse la detenzione a vita, la durata media di questa pena era di tre-quattro anni, dopodiché il condannato riacquisiva la piena libertà: se tuttavia egli ricadeva nell'eresia veniva considerato relapso e quindi passibile di pena capitale.

Bibliografia

  • Giovanni Romeo, L’Inquisizione nell’Italia moderna, Laterza, Roma-Bari 2002.

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et tamen e summo, quasi fulmen, deicit ictos
invidia inter dum contemptim in Tartara taetra
invidia quoniam ceu fulmine summa vaporant
plerumque et quae sunt aliis magis edita cumque

[Lucretius, "De rerum natura", lib. V]

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