Dizionario di eretici, dissidenti e inquisitori nel mondo mediterraneo
Edizioni CLORI | Firenze | ISBN 978-8894241600 | DOI 10.5281/zenodo.1309444
Crema, un giovedì di Luglio tra il 1457 e il 1459: nella bottega del sarto Pietro de Lotini, in un momento di abituale chiacchiera quotidiana tra proprietario, avventori, persone varie, si affronta un argomento teologico, il dogma, ormai antico di 800 anni, della verginità di Maria. Il sarto e l’artigiano Giacomollo de Mazano, fideles cristiani, sostengono che la Vergine è tale prima, durante e dopo il parto. L’ebreo Calama/Calania, probabilmente aschenazita, che abita nella casa dell’ebreo Isacco, di proprietà di Pantaleone de Fara, esprime i suoi dubbi sull’argomento e, incalzato, arriva a giudicare il rapporto tra Maria e Giuseppe. Le sue parole nel documento sono riportate in lingua volgare come sua espressione diretta, così come le domande che gli rivolgono Pietro e Giacomollo, dopo aver ascoltato i suoi primi dubbi. Ma perché i due artigiani si addentrano in un argomento simile? Forse per semplice divertimento e impertinenza, come, a quel tempo, può accadere da parte di persone laiche di bassa-media condizione sociale nei confronti degli ebrei, soprattutto gli ebrei tedeschi, molto diversi nell’abbigliamento e nelle credenze religiose, altro da quelli romani ormai spesso convertiti e non più esteriormente differenti. O forse per indurre Calama/Calania alla conversione, dopo avergli pagato un corso di formazione cristiana. Del resto ottenere la conversione di un ebreo era allora considerato uno dei meriti più alti per un cristiano (cfr. Ventura e Bellomo da Breme e le loro figlie). Di fatto, il giorno seguente, avendo evidentemente riflettuto, l’ebreo si reca a casa di Giacomollo, chiedendogli di non diffondere, nel modo più assoluto, il contenuto del dialogo. A quel punto i due artigiani, apprendisti teologi, forse capendo le possibili implicazioni del fatto e temendo di essere coinvolti, decidono di rivolgersi al vicino convento dell’Ordine dei Frati Predicatori e il giorno 26 Luglio, davanti a frate Graziano da Crema e al vicario dell’inquisitore, Agostino de Bugiolla/Bugella, nonché a quattro testimoni fra laici e religiosi, da buoni cristiani e a onore e rispetto della fede cristiana, denunciano Calama/Calania per le parole da lui pronunciate sulla verginità di Maria. Il 27 Luglio ripetono la denuncia di fronte al podestà di Crema, Ludovico Bembo, richiamando quella già esposta all’autorità religiosa, della quale il notaio Rolando Arcibono dà lettura rendendola parte integrante del documento redatto. Dopo aver ascoltato “vulgari sermone” quanto dichiarato ai religiosi il giorno precedente, Giacomollo e Pietro lo riconoscono come vero e lo confermano, giurando separatamente, a tutela della veridicità dell’atto, contro una possibile accusa di non autenticità.
È chiaro come nella vicenda non intervenga il clero secolare, del tutto disinteressato a dispute teologiche di infimo livello, che invece i Domenicani inseguono e perseguono con tenacia per snidare eretici, bestemmiatori, ebrei negatori dei dogmi cristiani.
A oggi non sappiamo quale sia stata la sorte di Calama/Calania dopo la denuncia: possiamo immaginare un kafkiano iter giudiziario, non dissociato da una disperata condizione umana, per un ebreo che probabilmente aveva già alle spalle, lui direttamente o suo padre, una fuga dalla Germania e una vita raminga prima di approdare a Crema, dove per altro non ha una propria abitazione, vivendo nella casa dell’ebreo Isacco, forse al suo servizio.
Fonti
Article written by Ezio Barbieri & Maria Carla Maggi | Ereticopedia.org © 2021
et tamen e summo, quasi fulmen, deicit ictos
invidia inter dum contemptim in Tartara taetra
invidia quoniam ceu fulmine summa vaporant
plerumque et quae sunt aliis magis edita cumque
[Lucretius, "De rerum natura", lib. V]