Cellini, Benvenuto

Dizionario di eretici, dissidenti e inquisitori nel mondo mediterraneo
Edizioni CLORI | Firenze | ISBN 978-8894241600 | DOI 10.5281/zenodo.1309444


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Benvenuto Cellini (Firenze, 3 novembre 1500 - Firenze, 14 febbraio 1571) è stato un orafo, scultore e scrittore italiano.

Cenni biografici

Figlio di Elisabetta Granacci e di Giovanni Cellini, carpentiere e musico al servizio della Signoria fiorentina, imparò i primi rudimenti dell’arte orafa come apprendista nelle botteghe della sua città. Fin da giovane diede prova di un temperamento collerico e rissoso, che lo portò ad avere innumerevoli vicissitudini giudiziarie: nella sua lunga fedina penale, il primo episodio degno di nota risale al 1520, quando l’artista, resosi protagonista di un tafferuglio per difendere il fratello Cecchino, venne confinato per sei mesi a Siena. Gli anni della formazione lo videro spostarsi a Bologna, a Pisa, di nuovo a Firenze quindi a Roma (1523), dove si recò dopo essere stato condannato a morte nella città natale a causa dell’aggressione a Gherardo, cugino dei maestri orefici Salvatore e Michele Guasconti.
Per oltre un quindicennio, se si escludono alcuni brevi soggiorni in altre città italiane ed un viaggio francese nel 1537, Roma rappresentò il fulcro dell’attività del Cellini. Ormai proprietario di una fiorente bottega orafa, riuscì a conquistare commesse sempre più importanti da parte di cardinali, principi e pontefici, entrando allo stesso tempo in contatto con numerosi artisti e letterati che gravitavano attorno alla Curia. Nel 1527, ricoprì un ruolo significativo nella difesa di Castel Sant’Angelo, assediato dai lanzichenecchi di Carlo V: undici anni dopo venne però accusato da papa Paolo III (su istigazione del figlio Pierluigi Farnese) di avere sottratto, nei giorni del Sacco di Roma, alcuni gioielli del tesoro pontificio. L’artista fu quindi carcerato: la prigionia, brevemente interrotta a seguito di una rocambolesca evasione, proseguì sino alla fine del 1539, quando le pressioni esercitate dal sovrano francese Francesco I per il tramite del cardinale Ippolito d'Este spinsero il pontefice a concedere la liberazione del detenuto. Riconquistata la libertà, Cellini abbandonò Roma per trasferirsi al servizio del re di Francia, presso cui rimase per quasi cinque anni: un periodo che, seppur non privo di contrasti e di traversie giudiziarie, venne sempre rimpianto dall’autore come il più felice della propria vita. Nell’estate del 1545, l’artista, che a Parigi aveva per la prima volta realizzato sculture in bronzo con la tecnica della fusione a cera persa, tornò nella città natale, entrando ufficialmente al servizio del duca Cosimo de’ Medici il primo di agosto. Il signore di Firenze gli commissionò la statua del Perseo ma continuò ad avvalersi di lui anche per la realizzazione di monili ed altri lavori d’oreficeria, suscitando lo scontento del Cellini, ormai interessato ad affermarsi come scultore in bronzo e in marmo. A seguito del trionfale disvelamento del Perseo nella Loggia dei Lanzi (aprile 1554), ebbe però inizio la fase crepuscolare della sua carriera artistica, contrassegnata da due carcerazioni (per aggressione, nel 1556, e per sodomia, nel 1557) e soprattutto dai continui contrasti con l’entourage mediceo, poco incline ad assecondare le richieste economiche dello scultore. Sempre più emarginato nel quadro della politica artistica cosimiana, Cellini rinvenne nella scrittura l’unica residua possibilità di affermare il proprio straordinario valore e denunciare l’ingiustizia di cui si sentiva vittima innocente: nel quindicennio compreso fra il 1556 e la morte dell’autore si situa infatti la stesura dell’autobiografia (1558-1567), dei Trattati dell’oreficeria e della scultura (1565-1567, stampati dopo una radicale revisione editoriale nel febbraio 1569), di alcuni Discorsi sulle arti e di un cospicuo manipolo di poesie.

Tendenze eterodosse

Le scritture celliniane, in particolare l’autobiografia e le Rime, forniscono una serie di indizi significativi a proposito delle inclinazioni non sempre ortodosse della religiosità dell’artista. Nel quadro della condanna tridentina dell’astrologia giudiziaria (1559), appaiono ad esempio assai compromettenti le reiterate dichiarazioni dell’autore circa il potere necessitante degli astri, rappresentati come una forza ostile, in grado di negare il libero arbitrio dell’uomo (vedi Vita I 17: «Qui si cognosce quanto le stelle non tanto ci inclinano, ma ci sforzano», I 101: «Ora avvertisca il mondo e chi vive in esso, quanto possano le maligne istelle coll’avversa fortuna in noi umani!» ecc.). Nella stessa autobiografia, altrettanto pericolose risultano poi alcune asserzioni in manifesto contrasto con i dogmi cattolici che venivano fissandosi nelle sedute del Concilio di Trento. Tale appare, ad esempio, il disconoscimento (appena attenuato da una esteriore adesione alle prassi ecclesiastiche) del valore sacramentale della confessione auricolare (vedi Vita I 116: «datemi un sacerdote, che io possa ragionar con seco quattro parole; con tutto che non bisogni, perché la mia santa confessione io l’ho fatta col mio Signore Idio; ma solo per osservare quello che ci ha ordinato la santa madre Chiesa; che se bene e’ la mi fa questo iscellerato torto, io liberamente le perdono»). Negli anni che seguono la condanna dei volgarizzamenti della Scrittura (con l’Indice Paolino del 1559), Cellini non si perita di dichiarare una lettura appassionata di una «Bibbia vulgare» durante la prigionia romana (Vita I 117): lettura particolarmente sospetta se si ricorda che, alla fine degli anni Trenta del Cinquecento, le più diffuse traduzioni italiane del testo biblico erano quelle, per più aspetti vicine agli ideali riformati, di Antonio Brucioli (1532) e di Santi Marmocchini (1538). A tal proposito, occorre ricordare che la posizione dell’autore nella tormentata vita religiosa della sua epoca non è mai stata fatta oggetto di indagini specifiche, ma che lo studio delle Rime lascia trapelare una finora insospettata contiguità del Cellini con alcuni protagonisti della Riforma italiana, quali la duchessa Caterina Cybo o il gioielliere e poeta veneziano Alessandro Caravia: tale contiguità trova peraltro riscontro in numerose liriche religiose dell’artista, in cui avvertiamo l’eco di tematiche care agli “spirituali” del Cinquecento. Degni di nota appaiono soprattutto l’espressione di una fede profondamente cristocentrica e il richiamo costante alla funzione salvifica del sacrificio di Gesù, chiave della dottrina della giustificazione ex sola fide, al centro di un’opera di capitale importanza nella Firenze di Cosimo I, il Beneficio di Cristo.

Bibliografia essenziale

  • Ettore Camesasca, Nino Borsellino, Cellini, Benvenuto, in DBI, 23 (1979) (ma per la cronologia relativa agli anni giovanili dell’artista si vedano le precisazioni di Tommaso Mozzati, L’educazione musicale di Benvenuto Cellini: alcuni pagamenti dei Capitani di Parte Guelfa e una condanna degli Otto di Guardia, in «Mitteilungen des Kunsthistorischen Institutes in Florenz», L, 1-2 [2006], pp. 201-213).
  • Benvenuto Cellini, La Vita, a cura di Ettore Camesasca, BUR, Milano 2004.
  • Benvenuto Cellini, Rime, edizione critica e commento a cura di Diletta Gamberini, SEF, Firenze 2014.
  • Gigliola Fragnito, La Bibbia al rogo: la censura ecclesiastica e i volgarizzamenti della Scrittura, Il Mulino, Bologna 1997.
  • Massimo Firpo, Gli affreschi di Pontormo a San Lorenzo. Eresia, politica e cultura nella Firenze di Cosimo I, Einaudi, Torino 1997.

Article written by Diletta Gamberini | Ereticopedia.org © 2014

et tamen e summo, quasi fulmen, deicit ictos
invidia inter dum contemptim in Tartara taetra
invidia quoniam ceu fulmine summa vaporant
plerumque et quae sunt aliis magis edita cumque

[Lucretius, "De rerum natura", lib. V]

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