Coletta, Bartolomeo

Dizionario di eretici, dissidenti e inquisitori nel mondo mediterraneo
Edizioni CLORI | Firenze | ISBN 978-8894241600 | DOI 10.5281/zenodo.1309444


Bartolomeo Coletta è stato un prete processato per superstizione dal Tribunale vescovile della diocesi di Conversano nel XVIII secolo.

L’inizio della fase istruttoria del processo è datato 4 novembre 1727: don Bartolomeo veniva denunciato, dal notaio Angelo Paolo Punizzi e da Francesco Paolo Carione, presso la corte vescovile di Conversano per l’intrusione del suddetto nella loro abitazione. L’effrazione risultava essere l’effetto di un tentativo di violenza sessuale, poi fallita, dell’ecclesiastico ai danni di una giovane di 19 anni, Lucrezia D’Attoma, serva dei denuncianti. Coletta, dopo esser stato colto in flagrante, tentava la fuga, nascondendosi all’interno di un sottano di un suo amico, Bartolomeo Lo Pedote. Individuato e catturato, l’uomo veniva imprigionato presso le carceri episcopali di Conversano con l’accusa di tentata violenza ed effrazione di domicilio.
In seguito alla confessione fornita e allo spostamento, in attesa di giudizio, presso le carceri del convento dei padri minori San Francesco da Paola di Conversano, il vescovo Filippo Meda (1703-1733) stabiliva una perquisizione del domicilio dell’imputato. Qui veniva ritrovato un consistente patrimonio librario e oggettuale di natura magico-superstiziosa. Tra gli oggetti ritrovati si riscontravano: manoscritti contenenti segreti superstiziosi e incantesimi ad amorem, ma anche erbe, polveri e ossa umane solitamente impiegate, nell’ambito della magia terapeutica, per curare molteplici infermità. Se la maggior parte di questi oggetti, a esclusione dei resti umani, venivano considerati innocui e poco interessanti per il tribunale vescovile, a causare grossi problemi a don Bartolomeo saranno i manoscritti contenenti alcune congiurazioni atte a cercare tesori, gli incantesimi ad expellendum, ad invocandam custodiam e ad impetrandam gratiam, ma anche i costanti abusi di res sacrae. Il sacerdote, nella maggior parte degli episodi confessati, era solito usare cotta, stola e acqua santa per eseguire la magia protettiva a coloro che scavavano le buche, mentre più raramente riferiva di aver utilizzato anche candele benedette e un piccolo crocifisso, principalmente per seguire congiurazioni ad expellendum daemonem.
Coletta era un volto noto alla curia vescovile conversanese. Infatti, già nel 1721 si era guadagnato un’ammonizione e l’invito a distruggere e bruciare il materiale superstizioso per cercare tesori, dopo essere stato denunciato al primicerio della cattedrale Giovanni Basile per gli atti compiuti presso la città di Bari. Invito effettivamente mai ascoltato dal Coletta. L’uomo veniva così ulteriormente accusato del possesso di oggetti superstiziosi, sortileghi e tendenti ad operazioni diaboliche, atte a ritrovare ricchezze. Inoltre, le attività magico-superstiziose di Coletta venivano inquadrate nella pratica della negromanzia. Cercare tesori attraverso l’invocazione di spiriti, tracciare cerchi magici con il sangue e utilizzare la terminologia coniuratione o scongiuro rimandava, in maniera evidente, alla pratica e ai linguaggi di quella che era considerata magia o divinazione nera. La sentenza, del vescovo Meda, del 7 gennaio 1728 metteva fine alla vicenda. Se il promotore fiscale Pallotta aveva richiesto la sospensione a divinis e l’esilio perpetuo per la recidività e per apostasia, alla fine Coletta se la cavava con una condanna a sette anni di esilio per superstizione grave, considerata l’età avanzata del soggetto, le condizioni di salute e la confessione quasi spontanea.

Bibliografia

Article written by Massimiliano Luca Capurso | Ereticopedia.org © 2024

et tamen e summo, quasi fulmen, deicit ictos
invidia inter dum contemptim in Tartara taetra
invidia quoniam ceu fulmine summa vaporant
plerumque et quae sunt aliis magis edita cumque

[Lucretius, "De rerum natura", lib. V]

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