Dizionario di eretici, dissidenti e inquisitori nel mondo mediterraneo
Edizioni CLORI | Firenze | ISBN 978-8894241600 | DOI 10.5281/zenodo.1309444

Ibn Rushd, conosciuto come Averroè (Cordova, 1126 – Marrakesh, 10 dicembre 1198) è stato un filosofo, teologo, medico e matematico.
Ibn Rushd (Abû al-Walîd Muhammad ibn Ahmad ibn Muhammad ibn Ahmad ibn Ahmad inb Rushd) nacque nel 1126 a Cordova e morì a Marrakech il 10 dicembre 1198. Nel XII secolo l'Andalusia faceva parte dell'impero degli Almohadi, impero che si estendeva a tutta l'Africa del Nord e durante il quale l'Occidente arabo conobbe gloria e ricchezza. Ibn Rushd era astronomo, medico, giurista e filosofo. Figlio di giuristi, appartenente quindi ad una classe sociale elevata, vissuto nella stabilità dell'impero almohade ebbe modo di costruirsi una cultura vastissima. Durante un viaggio a Marrakech notò una stella che non si poteva vedere sotto i cieli spagnoli: Canepe.
L'osservazione di questo fenomeno gli permise di intuire la rotondità della Terra. Durante un altro viaggio a Marrakech, Ibn Rushd conobbe Ibn Tufail, medico del Califfo Yûssûf ibn Ya'qûb e questi lo incaricò di tradurre e commentare le opere di Aristotele in quanto lui era troppo vecchio per tale mansione e le traduzioni fino allora esistenti erano troppo oscure. Ibn Rushd accettò e s'impegnò in un lavoro che durò più di 15 anni, ma l'opera del grande filosofo greco fu quasi interamente tradotta. Alla morte del Califfo, Ibn Rushd mantenne un posto di primissimo piano come medico di corte e confidente del successore di quest'ultimo Ya'qûb detto al-Mansûr "Il Vittorioso" per la strepitosa vittoria di Alarcos del 1195 contro Alfonso VIII di Castiglia e i principi cristiani di Spagna sempre più minacciosi.
Poi improvvisamente caddè in disgrazia, il sovrano lo esiliò e i discepoli lo rinnegano. I sovrani Almohadi cercavano sempre la compagnia dei "falâsifa" (i filosofi), li stimavano e non avevano mai manifestato ostilità fanatiche nei loro confronti. Se Ibn Rushd cadde ingiustamente in disgrazia, fu probabilmente a causa di circostanze forzate. Le sue dottrine filosofiche dovevano indisporre non poco i teologi limitati e i giuristi pedanti incapaci di interpretazione personale dei testi. Furono quindi ragioni di stato che obbligarono al-Mansûr ad allontanare Ibn Rushd anche perché la minima debolezza del sovrano sarebbe stata immediatamente sfruttata dai principi cristiani di Castiglia e León. Ritornata la calma al-Mansûr riabilitò Ibn Rushd che ritorno a Marrakech dove mori il 10 dicembre all'età di 72 anni. Le spoglie furono trasferite nella sua città nataleCordova.Ibn Rushd non si occupò solo di medicina o dei commenti all'opera di Aristotele scrisse anche molti libri di filosofia.
In particolare ricordiamo un trattato sulla non contraddizione tra filosofia e religione che lo pone al vertice della riflessione filosofica del suo tempo e non solo. Ibn Rushd sosteneva che i testi sacri sono legittimamenteinterpretati in modo diverso dal filosofo dal teologo o dal profano. La "verità" può quindi essere interpretata in modo diverso secondo la formazione intellettuale dell'individuo.
Questo approccio critico poteva suscitare le reazioni di molti, era in un certo senso "rivoluzionario" e lo sarebbe ancora oggi. Se i Musulmani che vennero dopo di lui non approfittarono dei suoi insegnamenti e ebbero verso le sue opere un approccio superficiale (molte erano diffuse in latino ed ebraico), non fu così per i Cristiani e gli Ebrei dai quali fu considerato una personalità ineguagliabile.
Le sue dottrine verranno insegnate in Europa fino al XVIII secolo, in particolare il trattato del De anima nella traduzione in latino di Micael Scott del 1230 e ciò nonostante le condanne dell'Inquisizione e del Concilio di Trento che consideravano eretiche e blasfeme le teorie di Averroè, anche se l'averroismo professato in Europa è solo un pallido riflesso della sua cosmologia. Molti filosofi e teologi europei devono molto a Ibn Rushd, tra questi citiamo i più conosciuti: San Tommaso d'Aquino, Bacone, Spinoza, Leibnitz.
Combatté apertamente contro le degenerazioni del pensiero aristotelico attuate dagli integralisti teologi musulmani e da Avicenna. Punto sostanziale é l'intervento di Dio nel mondo. Dio è atto puro. Se ne prova l'esistenza con i passaggi avicenniani a contingentia mundi e dei gradi di perfezione: tali modalità di prove vennero poi accolte come terza e quarta prova da S.Tommaso. Non esiste una creazione ex nihil una volta per sempre, ma un continuo trarre le cose dalla potenza all'atto, dando per scontato che materia prima e mondo esistono ab aeterno, causati necessariamente da Dio fin dall'eternità. Filosofia e religione rivelata sono un'inscindibile verità, ma mentre la rivelazione - che è diretta a tutti gli uomini - mira al potenziamento della virtù attraverso il linguaggio semplice che colpisce il sentimento e l'immaginazione, spetta ai filosofi (non ai teologi) l'interpretazione e la dimostrazione scientifica dei dogmi forniti dalla rivelazione.
Bibliografia
- Averroè, Il trattato decisivo sull’accordo della religione con la filosofia, a cura di Massimo Campanini, Rizzoli , Milano 1994.
- Averroè, L’accordo della Legge divina con la filosofia, a cura di Francesca Lucchetta, Marietti, Genova 1994.
- Massimo Campanini, Averroè, Il Mulino, Bologna 2007.
- Herbert A. Davidson, Alfarabi, Avicenna, & Averroes, on Intellect. Their Cosmologies, Theories of the Active Intellect, & Theories of Human Intellect, Oxford University Press, New York – Oxford 1992.
- Marc Geoffroy, Averroè, in Cristina D’Ancona (a cura di), Storia della filosofia nell’Islam medievale, vol. II, Einaudi, Torino 2005.
- Mohammed Abed al-Jabri, La ragione araba, Feltrinelli, Milano 1996.
- Andrés Martínez Lorca (a cura di), Al encuentro de Averroes, Editorial Trotta, Madrid 1993.
- Erwin I. J. Rosenthal, Political Thought in Medieval Islam, Cambridge University Press, Cambridge 1958.
Link
- I maestri e le fonti sul sito GiordanoBruno.com
Article written by Guido Del Giudice | GiordanoBruno.com & Ereticopedia.org © 2013
et tamen e summo, quasi fulmen, deicit ictos
invidia inter dum contemptim in Tartara taetra
invidia quoniam ceu fulmine summa vaporant
plerumque et quae sunt aliis magis edita cumque
[Lucretius, "De rerum natura", lib. V]