Dizionario di eretici, dissidenti e inquisitori nel mondo mediterraneo
Edizioni CLORI | Firenze | ISBN 978-8894241600 | DOI 10.5281/zenodo.1309444
HOW TO CITE | EDITORIAL GUIDELINES | CODE OF CONDUCT | LIST OF ABREVIATIONS

Arnaldo Albertini (Albert Arnau, Muro, Isola di Maiorca, 21 febbraio 1480 – Patti, 7 ottobre 1544) è stato un giurista, inquisitore e vescovo. Figura eminente della prima generazione di inquisitori giuristi dell’età moderna, Arnaldo Albertini rappresenta l’anello di congiunzione tra la tradizione canonistica tardo-medievale e la sistematizzazione giuridica dell’Inquisizione post-tridentina. La sua carriera, sviluppatasi tra Maiorca, Valencia e la Sicilia, mostra il progressivo consolidarsi del potere inquisitoriale all’interno delle strutture politiche e religiose della monarchia spagnola.
Biografia
Addottoratosi in diritto canonico presso l’Università di Pavia l’11 ottobre 1509, fu nominato canonico della cattedrale di Maiorca nel 1510. La sua competenza giuridica gli valse presto la fiducia di Adriano di Utrecht, futuro papa Adriano VI, che lo designò inquisitore dell’isola nel 1520, con il compito di ristabilire l’autorità del tribunale dopo i disordini seguiti alla rivolta delle germanías. Costretto a fuggire nel 1521, vi rientrò due anni più tardi, scortato con le armi.
Nel 1527 fu trasferito a Valencia come inquisitore. Qui pubblicò il Tractatus seu quaestio de secreto (1528, ristampato nel 1534), dove sosteneva la liceità di costringere un confessore a testimoniare su un eretico occulto, anche a costo di violare il sigillo sacramentale, dottrina che intendeva giustificare giuridicamente la supremazia dell’autorità inquisitoriale. Seguì la Repetitio nova rubricae et c. I De hereticis (1534), che affrontava con rigore sistematico il problema della definizione formale dell’eresia.
Nel 1534 fu nominato vescovo di Patti e inquisitore generale del Regno di Sicilia, dove resse per un periodo anche la presidenza vicereale in assenza di Ferrante Gonzaga. La sua azione fu segnata da un forte impulso repressivo verso le prime infiltrazioni “luterane” — come dimostra il rogo di frate Perruccio Campagna (30 maggio 1542) — e da un’intensa attività di censura libraria. Entrò tuttavia in conflitto con il viceré per questioni di giurisdizione e fu rimosso dall’incarico nel dicembre 1543. Di notevole rilievo fu la sua opera di riforma della diocesi di Patti, coronata dal sinodo diocesano del 1537, le cui costituzioni furono in larga parte recepite anche dopo il Concilio di Trento.
Morì a Patti il 7 ottobre 1544.
Opere e pensiero
Albertini dedicò larga parte della sua produzione al problema della definizione giuridica dell’eresia e all’estensione dei poteri inquisitoriali. La sua opera maggiore, il De agnoscendis assertionibus catholicis et haereticis (Panormi 1555, poi ristampato a Venezia 1571 e 1584, Roma 1572), pubblicata postuma, divenne un testo di riferimento per la dottrina inquisitoriale, tanto da essere inserita nel Tractatus Universi Iuris (1584).
In essa l’autore affrontò in modo sistematico la procedura dei tribunali della fede, la confisca dei beni e i limiti della censura. Sulla questione della stregoneria mostrò un atteggiamento più prudente rispetto alla tradizione demonologica: ammise la possibilità del sabba, ma non considerò eretico credervi, sostenendo la necessità di verificare criticamente la validità delle confessioni e di evitare condanne basate su prove incerte.
Questo equilibrio tra rigore giuridico e cautela interpretativa fece di Albertini una delle voci più rappresentative del passaggio da un’Inquisizione ancora sperimentale a un apparato normativo compiutamente strutturato.
Bibliografia
- Vincenzo Lavenia, Albert, Arnau, in DSI, vol. I, p. 26.
- Giovanni Romeo, Inquisitori, esorcisti e streghe nell’Italia della Controriforma, Sansoni, Firenze 1990 (in part. pp. 70-72).
- Roberto Zapperi, Albertini, Arnaldo, in DBI, vol. 1 (1960).
Link
- Scheda su Arnaldo Albertini sul sito Symogih.org
Article written by Daniele Santarelli | Ereticopedia.org © 2015-2025
et tamen e summo, quasi fulmen, deicit ictos
invidia inter dum contemptim in Tartara taetra
invidia quoniam ceu fulmine summa vaporant
plerumque et quae sunt aliis magis edita cumque
[Lucretius, "De rerum natura", lib. V]