Veneziano, Antonio

Dizionario di eretici, dissidenti e inquisitori nel mondo mediterraneo
Edizioni CLORI | Firenze | ISBN 978-8894241600 | DOI 10.5281/zenodo.1309444


Antonio Veneziano (Monreale, 19 agosto 1543 – Palermo, 1593) è stato un poeta, giureconsulto, politico, libero pensatore, polemista, avventuriero nella Sicilia spagnola.

Biografia

Le fortune finanziarie della famiglia Veneziano cominciano con Giovanni, che forse si trasferì a Monreale da Venezia, e alla sua morte nel 1512 lasciò eredi la moglie e quattro figli. Fra costoro fu Antonio quello che in vita riscosse i maggiori successi ricoprendo incarichi di rango nella Curia arcivescovile cittadina: Maestro notaio (1512), Pretore durante la visita dell’imperatore Carlo V a Palermo e Monreale (1535). Il Magnifico Antonio, titolo assunto dopo le sue cariche politiche, ebbe una vita sentimentale intensa, sposando tre donne e avendo nove figli legittimi oltre due figlie naturali. Fu inoltre saggio amministratore delle cose familiari anzi incrementandole in maniera cospicua.
L’ambiente familiare era connotato anche da quel tipico sentimento di braveria e violenza proprio del patriziato siciliano cinquecentesco. Nel 1534, Giovanni, fratello del poeta, si trova invischiato in una lite con la famiglia nobile Scuderi e persino il Magnifico Antonio è coinvolto nelle vie di fatto finendo ai domiciliari. Quando pace sembra fatta, Angelo Scuderi è assassinato e Giovanni accusato d’omicidio.
Nel 1547 muore il Magnifico Antonio, quando il nostro aveva soli quattro anni d’età, e in questo momento comincia la disgregazione della famiglia. Allegranza, terza moglie del Magnifico Antonio, e i figli maggiorenni, ebbero in parti uguali i vasti possedimenti e la “roba”; i figli minorenni ebbero come tutore lo zio arciprete Antonino in qualità di amministratore della loro parte di eredità. Proprio lo zio sacerdote ha influito sull’ ingresso, 1553, nel Collegio gesuitico monrealese di Antonello che dopo la morte del padre assumerà il nome di Antonio. Nel 1555, visti gli ottimi risultati scolastici, lo zio Antonino lo mandò a studiare nel Collegio Massimo dei gesuiti di Palermo a soli dodici anni d’età. Lo ritroviamo qualche tempo dopo in quello di Messina per completare gli studi di retorica, grammatica e metrica latina, ebraico e greco (e iniziare il noviziato nella Compagnia di Gesù). Nel 1559 studiò nel Collegio romano dove, per i tre anni successivi, intraprenderà gli studi di diritto e filosofia seguendo gli insegnamenti di Francesco Toleto futuro cardinale. Ma nel 1563, forse in preda ad un rigetto della vita seria e rigorosa condotta da gesuita, abbandonato l’abito, tornò a Monreale e subito si diede da fare per la riscossione di alcuni crediti dovutigli.
Nello stesso 1563 una gravissima accusa piomba sul fratello Nicolò: omicidio. Scattano gli arresti domiciliari per i tre fratelli Veneziano (tutti ritenuti coinvolti nell’ assassinio). I fratelli provano a sottrarsi all’ accusa, riuscendo ad ottenere la libertà (grazie alle doti da giureconsulto di Antonio). La vicenda non sembra mettersi malamente tantoché, quando il cardinale Farnese emana i nuovi Capitoli cittadini di Monreale, tra i cinquanta nuovi consiglieri si trova anche l’inquisito Nicolò! Ma trame e faide politiche riescono a fargli imporre un bando da tutto quanto il territorio di Monreale (all’ epoca circa un quarto della Sicilia). Nel 1567 si chiede il giudizio finale e i Veneziano vengono portati all’ interno del Castello a mare di Palermo, dove sono sottoposti alla tortura dei tratti di corda. La prova gli riesce favorevole e nel 1568 furono scarcerati ma con ancora il bando da Monreale.
Gli anni dell’esilio sono tristi anche per le difficoltà economiche che l’opprimono e costringono ad una vita fatta di grandi ristrettezze, non potendo accedere ai suoi beni anzi usurpati.
Antonio trascorse l’esilio di Palermo presso la sorella Vincenza, moglie di Antonino de Calogero, Pretore monrealese. Nel 1573 è nuovamente rinchiuso nel Castello a mare di Palermo, anche sede del tribunale dell’Inquisizione di Sicilia in quel periodo, per il rapimento d’amore della giovane Francesca Porretta e per l’accusa di furto. La madre Allegranza non tollerò oltre le malefatte del figlio e nel 1574 lo cancellò dal suo testamento in quanto «disobbediente».
Nel 1575, in riposta alle alleanze tra la madre e i fratelli per escluderlo da tutto il patrimonio, nominò sua erede universale la coetanea nipote Eufemia (figlia di Vicenza) a patto che non si sposasse e o prendesse i voti religiosi. Tante le ipotesi di questo gesto ma nessuna precisa risposta in merito: cavillo legale, amore clandestino, riconoscenza alla sorella che l’ospitò. È forse Eufemia la Celia che con tanto struggente amore canta nelle sue ottave. In questo stesso anno compone le epigrafi del monumento funebre di Guglielmo II il normanno posto nella cattedrale di Monreale per conto dell’arcivescovo Ludovico I De Torres.
Nel 1576 Antonio torna a Monreale, dove è visto con timore insieme ai suoi fratelli «(…) homini armigeri et forti» nell’ intimidire i testimoni nelle cause a loro avverse. Nel 1577 organizzò l’ingresso solenne a Palermo del nuovo Viceré Marco Antonio Colonna.
Forse alla ricerca di glorie, di denaro, d’amore, di ispirazione o solo di magnifiche avventure, nel 1578 seguì il Presidente del Regno di Sicilia, D. Carlo D’Aragona Duca di Terranova, imbarcandosi da Palermo alla volta della Spagna. La flottiglia cristiana era composta da due sole galere che presto furono attaccate, abbordate e catturate da pirati saraceni. Lo stesso poeta ci rende certi della prigionia quando, nel primo libro della Celia, dice che il suo cuore è rimasto nella terra natale e «lu corpu in Algeri, fattu di genti barbara suggettu». Durante la prigionia pare abbia conosciuto Miguel de Cervantes anche lui prigioniero in Algeri. Le cronache riportano che il Senato di Palermo pagò un riscatto per la liberazione di Veneziano e «che fu fatta festa in Palermo pillu ricattu e ritornu di lu celebri poeta Vinezianu». Riscatto e data di liberazione non sono certi, però Cervantes il 6 novembre 1579 gli inviò una lettera più dodici ottave celebranti la Celia e il suo autore. Al suo ritorno a Monreale seguono anni burrascosi sempre segnati dalle liti giudiziarie, in cui si difende da se, e liti vere e proprie in cui ha sempre la parte del bravo con le armi in mano. Dal 1583 al 1585 prende parte attiva alla vita politica, assumendo la carica di consigliere cittadino a Monreale (polemizzando sulla corruzione dei funzionari municipali quasi scatenando una sommossa popolare) e poi, carica più prestigiosa, di Proconservatore del Real Patrimonio a Monreale. Nel 1588 Antonio si occupa di organizzare gli onori per l’arrivo a Monreale del nuovo arcivescovo Ludovico II De Torres.
Il 1 dicembre del 1588 «(…) si trovò appizzato un cartello contro il Vicerè alla cantonera di D. Pietro Pizzinga allo piano delli Bologni. Il 13 gennaio successivo fu preso e torturato Antonio Veneziano, poeta famosissimo di Monreale, che subì, resistendo, ben sette tratti di corda». Uscito non si sa come dal Castello a mare, il Senato palermitano lo ingaggiò per riorganizzare, nel 1591, l’impianto dell’Aula del Pretorio di Palermo, scrivendo anche il testo di una lapide muraria a ricordo dell’evento. Nel 1593 lo si ritrova a Monreale, ma già pochi mesi dopo è nuovamente rinchiuso in fortezza per via che «Ultimamente, per un altro cartello trovatosi, essendo egli stato tradito dai suoi amici, che gli deposero contro, fu preso e carcerato nel Castell’a mare, quando, succedendo in quell’ orribilissimo incendio ivi con tutti gli altri carcerati si morse; e in tal modo morì così celebre e famoso poeta» secondo quanto racconta il Di Giovanni nel Palermo restaurato. Alcune fonti sussurrano che Celia fosse in realtà Felicia Orsini, moglie del Vicerè Colonna, che quindi giurò vendetta per quest’affronto. Si spiegano così i soventi “ingressi” in fortezza del nostro e che l’attentato altro non era se non un omicidio intenzionale (si tratta di una congettura mai provata).
Il corpo del poeta venne riportato a Monreale il giorno stesso in cui venne rinvenuto tra le macerie e tumulato, senza alcun segno che potesse contraddistinguerne la sepoltura, nella cappella del Rosario della chiesa di S. Vito a Monreale. L’unica traccia ufficiale della morte del Veneziano nel Castello a mare è contenuta in un registro dei defunti del 1593 in cui si legge «Fu mortu Antoniu Venetianu, venne di Palermo, morse in Castello per lo successo se bruxò la munitione della polvere con la morte de molti gente: fu sepulto all’ecclesia di S. Vito in la sua Cappella» e ancora «passò al Signore l’anima di Antonio Venetiano: sonarono tre campane et andò a S. Vito: et si fanno bone per mano della signora Costanza tarì 15». Attualmente nulla rimane della cappella dei resti del Veneziano.

Opere

La carriera poetica del Veneziano gli ha consentito una vasta produzione letteraria che si connota principalmente per le «Canzuni», ottave siciliane in endecasillabi a rima alterna di gusto petrarchesco mediato dal linguaggio, dai modi e dal temperamento popolare siciliano. Il testimone manoscritto più autorevole, forse coevo al Veneziano, è quello conservato presso la Biblioteca Centrale della Regione Siciliana, ai segni XI.B.6, che riporta la Celia con 289 componimenti, Libru Secundu di li canzuni amurusi siciliani 313, Sdegnu 42, Spirituali 33, Ottava 32, più cento senza titolo specifico. Inoltre i poemi composti in siciliano con metro diverso la Nenia e l’Agonia e una serie di tre componimenti a carattere burlesco: Puttanismu Arangeida Cornaria. In lingua italiana c’è un suo Discorso sopra il fonte pretorio di Palermo e un componimento poetico in riposta a quelli ricevuti dal Cervantes.
Una pletora di altri componimenti gli sono attribuiti da una copiosa produzione apocrifa, manoscritta e a stampa, fra Seicento e Settecento. Fra questi si segnalano i Proverbi, in siciliano, compendio di cultura popolare siciliana che gli sono attributi dalla tradizione popolare.

Testimoni manoscritti

Di seguito la lista dei testimoni manoscritti1:

  • Cn - Chicago, Newberry Library, Y 712582/942.
  • LB2 - London, British Library, add. ms. 10322.
  • Fn11 - Firenze, Biblioteca nazionale Centrale, magl. VII 1379.
  • PC10 - Palermo, Biblioteca Comunale (BC), 2.Qq.B.21.
  • PC17 - Palermo, BC, 2.Qq.D.67.
  • PC18 - Palermo, BC, 2.Qq.D.68.
  • PC23 - Palermo, BC, 5.Qq.e.195 n° 2.
  • PR1 - Palermo, Biblioteca Centrale della Regione Siciliana, I.D.17.
  • PR10 - Palermo, Biblioteca Centrale della Regione Siciliana, XI.B.6.

Fonti archivistiche

  • Archivio storico della Collegiata di Monreale.
  • Archivio storico diocesano di Monreale.
  • Archivio storico comunale di Monreale.

Bibliografia essenziale e aggiornata

  • Gaetano Millunzi, Antonio Veneziano. Studio sopra documenti inediti, in “Archivio Storico Siciliano”, XIX, 1894.
  • Gaetana Maria Rinaldi, Due parodie del pater noster e un inno latino tra gli apocrifi di Antonio Veneziano, in “Bollettino del Centro di Studi filologici e linguistici siciliani”, XIV, Palermo 1980, pp. 186-220.
  • Maria Caterina Ruta, Corrispondenza poetica Veneziano – Cervantes, in “Bollettino del Centro di Studi filologici e linguistici siciliani”, XIV, 1980.
  • Gaetana Maria Rinaldi, L'edizione delle rime siciliane di Antonio Veneziano. In AA. VV., Le parole dei giorni. Scritti per Nino Buttitta, a cura di Maria Caterina Ruta, Palermo, 2005, pp. 504-516.
  • Corso, Intravaia, Autovino, Sulu e ricotu cu li mei pinseri : vita e opere di Antonio Veneziano, Monreale 2010.
  • Antonio Veneziano, Libro delle rime siciliane, ed. critica a cura di Gaetana Maria Rinaldi, Palermo, Centro di studi filologici e linguistici siciliani, 2012.
  • Francesco Caparezza, Canzuni su una lanza nel ‘libro’ di Antonio Veneziano, in “Bollettino di studi filologici e linguistici siciliani”, 27, Palermo 2016, pp. 123-147.
  • Tobias Leuker, Una redazione sconosciuta delle canzuni di antonio Veneziano: Firenze, BnCF, ms. magl. VII 1379, in “Bollettino del Centro di studi filologici e linguistici siciliani”, 27, Palermo 2016 pp. 101-121.

Article written by Antonino Corso | Ereticopedia.org © 2018

et tamen e summo, quasi fulmen, deicit ictos
invidia inter dum contemptim in Tartara taetra
invidia quoniam ceu fulmine summa vaporant
plerumque et quae sunt aliis magis edita cumque

[Lucretius, "De rerum natura", lib. V]

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