Cappello, Annibale

Dizionario di eretici, dissidenti e inquisitori nel mondo mediterraneo
Edizioni CLORI | Firenze | ISBN 978-8894241600 | DOI 10.5281/zenodo.1309444


Annibale Cappello (Mantova 1540 – Roma 1587) è stato un ecclesiastico e «gazzettiere» italiano.

Il trasferimento a Roma

Dopo l’ordinazione sacerdotale Cappello si trasferì a Roma, diventando segretario del cardinale Cesare D’Este incarico che gli permise di apprendere tutti i retroscena e gli intrighi della Curia. Deluso dell’ambiente romano, nella purezza del quale aveva sempre creduto, decise di unirsi al «movimento» dei cosiddetti «gazzettieri», «novellanti» o «menanti» (voce, quest’ultima, la cui etimologia potrebbe essere ricercata nell’atto di menare le mani che i «gazzettieri» facevano per produrre frettolosamente una grande quantità di notizie in breve tempo) sorto inizialmente a Venezia nei primi anni della seconda metà del Cinquecento per rendere noti i «moti dei turchi», ma diffusosi ben presto in tutta la penisola con obiettivi e finalità diverse. Giornalisti ante litteram, i «gazzettieri» raccoglievano i loro j’accuse in particolari «fogli di nuove», detti comunemente «avvisi», dallo stile icastico e incisivo.

I provvedimenti repressivi di Pio V, Gregorio XIII e Sisto V

Il 10 febbraio 1569 Pio V emanò il primo provvedimento repressivo contro gli «avvisi», comminando pene severe per i trasgressori e rincarando la dose il 17 marzo 1572 con la bolla Constitutio contra scribentes et dictantes monita. Lo stesso anno il pontefice si spense a causa di un’ipertrofia prostatica non curata, ma la sua politica repressiva fu portata a termine dal successore Gregorio XIII, attraverso la bolla Contra famigeratores et menantes, disposizioni confermate anche dal nuovo papa Sisto V. Il clima di terrore e diffidenza creatosi causò la morte, anche in assenza di riscontri oggettivi, di numerosi individui accusati di diffamare la sede pontificia e, com’era prevedibile, i bersagli prediletti dall’autorità ecclesiastica furono poeti e letterati (noto il processo che portò alla morte di Niccolò Franco l’11 marzo 1570). Cappello conosceva bene i rischi a cui sarebbe andato incontro, ma questo non gli impedì di diventare la punta di diamante dei «gazzettieri romani», riuscendo nel contempo a «mascherare questa sua attività segreta». La situazione peggiorò quando Cappello, in accordo con gli altri «gazzettieri» romani, decise di esportare all’estero i segreti della curia: alcuni fogli di avviso giunsero persino nelle mani di Elisabetta I d’Inghilterra che poté toccare con mano le degradanti condizioni morali dell’ambiente pontificio.

La condanna a morte

I sospetti non caddero subito su Cappello, considerato un uomo di fiducia, ma «lo sciagurato prete» fu tradito da una confessione in limine mortis di Maria Stuarda che suggeriva al papa di «guardarsi da un insidioso informatore». Sisto V mobilitò le sue spie e scoprì le corrispondenze di Cappello con la sovrana britannica con altre scritture incriminanti e scomunicò «il traditore», che pensò di salvarsi la vita scappando in Francia, ma fermato a Pesaro il 9 ottobre 1587 fu ricondotto a Roma e condannato a morte mediante impiccagione. Un cronista del tempo ci informa della morte tremenda dell’ecclesiastico: «Iersera fu degradato in San Salvatore del Lauro quel Don Annibale Cappello et questa mattina è stato condotto al luogo solito della giustizia in Ponte. Dove prima gli è stata mozza una mano, taglialo la lingua et impiccato con tale discriptione: Per menante falso, detrattore per molti anni delli gradi di persone d'ogni sorte, et come professore di tenere et mostrare figure oscene in diversi modi et atti libidinosi, in dispregio di Dio et de' Santi, et per havere scritto avvisi ai prencipi heretici». Alcuni degli «avvisi» di Cappello, che si possono leggere nell’Archivio Mediceo di Firenze (filza 4027), dimostrano una lodabile brevitas descrittiva e ci permettono di valutare il suo indomito coraggio, attraverso il quale riuscì a fare emergere lo sconsiderata plutocrazia della Santa Sede. Gli avvisi si configurano come letteratura di consumo, la fretta elaborativa non permetteva, infatti, nessuna sorta di labor limae, ma il loro interesse documentario è indubbio. L’attività di Cappello dovette, infatti, avere una certa risonanza ai suoi tempi se Angelo Grillo, noto per essere stato un corrispondente epistolare di Torquato Tasso, ne biasimava, in una lettera senza data indirizzata a Maurizio Cattaneo, la temerarietà che aveva condotto il «menante» a «fare della penna coltello contra fame dei grandi».

Bibliografia

  • Salvatore Bongi, Le prime gazzette in Italia, in «Nuova Antologia di scienze, lettere ed arti», giugno 1869, pp. 311-346.
  • Alessandro Ademollo, Le annotazioni di Mastro Titta carnefice, S. Lapi Tipografo Editore, Città di Castello 1886 [Rist. Anast.: A. Forni Sala Bolognese 2012], p. 9.
  • Paolo Picca, I martiri del giornalismo nella Roma papale, Podrecca e Galantara, Roma 1912.
  • Tullio Bulgarelli, Gli avvisi a stampa in Roma nel Cinquecento, Istituto di studi romani, Roma 1967, p. 13.
  • Mario Infelise, Roman avvisi: Information and Politics in the seventeenth Century, in Gianvittorio Signorotto, Maria Antonietta, Visceglia, Court and Politics in Papal Rome 1492-1700, Cambridge University Press, Cambridge 2002, pp. 212-228.

Article written by Angelo Chiarelli | Ereticopedia.org © 2017

et tamen e summo, quasi fulmen, deicit ictos
invidia inter dum contemptim in Tartara taetra
invidia quoniam ceu fulmine summa vaporant
plerumque et quae sunt aliis magis edita cumque

[Lucretius, "De rerum natura", lib. V]

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