Dizionario di eretici, dissidenti e inquisitori nel mondo mediterraneo
Edizioni CLORI | Firenze | ISBN 978-8894241600 | DOI 10.5281/zenodo.1309444
Anna Maria Cazulo, moglie di Giovanni Cazulo da Olmo, è stata una donna processata per stregoneria dal tribunale vescovile di Acqui nel 1727.
La donna visse agli inizi del XVIII secolo. Il vicinato era ostile con lei, ossia Margherita Dozia, accusatrice, in quanto Anna Maria Cazulo era sospettata di essere una masca1 e di aver gettato il malocchio nonché di aver modificato il cibo e di aver compiuto dei malefici sugli animali. Dal processo non conosciamo l’esito. Essendo stato fatto nel 1727 è probabile che all’imputata sia stata imposta qualche ammenda per dare soddisfazione agli abitanti di Olmo con quella che si riteneva una meritevole punizione. La documentazione del processo è mutila. Nel processo possiamo leggere alcune testimonianze tra le quali quella di Pietro Sismondi, sarto di trentatré anni che non sapeva nulla del male commesso dalla suddetta Anna Maria Cazulo ma che era a conoscenza dei continui litigi con il vicinato. Testimonianza confermata a sua volta da Pietro Abbate di Giovanni, boscaiolo, vicino delle due donne. Il carattere difficile di Anna Maria Cazulo era confermato anche da parte di Antonio Boboca. Egli infatti afferma che l’accusata litigava con tutti soprattutto con la vicina Margherita Dozia. Il pievano Cortina invia tale fascicolo con il processo al Vicario affermando che la donna Anna Maria Cazulo era particolarmente strana e rimase colpito dalla preveggenza della donna.
Il processo è un documento manoscritto, di color seppia, fascicolo di 32 fogli piegato recto e verso. Si rilevano alcune lacune dovute a strappi o deterioramenti del supporto cartaceo. Viene conservato presso l’Archivio Vescovile di Acqui, Processi speciali per stregoneria, F. 47, C.1, Fasc. 25.
Bibliografia
- Domenico Del Coco, Un caso di stregoneria nella Diocesi di Acqui: Il processo ad Anna Maria Cazulo, in "Bollettino Storico Vercellese", n° 99, a. 51, 2022, pp. 119-135.
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et tamen e summo, quasi fulmen, deicit ictos
invidia inter dum contemptim in Tartara taetra
invidia quoniam ceu fulmine summa vaporant
plerumque et quae sunt aliis magis edita cumque
[Lucretius, "De rerum natura", lib. V]