Dizionario di eretici, dissidenti e inquisitori nel mondo mediterraneo
Edizioni CLORI | Firenze | ISBN 978-8894241600 | DOI 10.5281/zenodo.1309444
Anna D'Urso è stata una donna perseguitata per stregoneria a Capua tra il 1703 e il 1707.
Il processo contro di lei si svolse presso il tribunale della Curia Arcivescovile di Capua. Una corrispondenza tra l'arcivescovo di Capua e il cardinale-segretario della Congregazione del Sant'Uffizio Galeazzo Marescotti rivela vari dettagli della vicenda. Varie testimonianze accusarono la donna, che operava come guaritrice, di effettuare sortilegi.
Geromina Iadeo riferì di essere ricorsa ai poteri di Anna per guarire i suoi due figli. Maria D’Amato dichiarò di essere stata curata con successo per flussione di sangue agli occhi e mal di testa: Anna D'Urso l'aveva guarita recitando alcune parole per tre giorni consecutivi sopra la testa e nelle orecchie. Una testimonianza di una non identificata figlia del Signor Bernardino di Capua riferì che Anna, dopo aver spento il camino e aver recitato per due giorni di seguito alcune parole, era riuscita a fare ottenere le fedi nuziali di Domenica Farina e del suo futuro sposo (in ritardo per via della festività del Carnevale). La stessa testimone raccontò anche di essere ricorsa ad Anna per ottenere guadagni (Anna con un incenso avrebbe affumicato la sua bottega e quella di Gaetano Palomba e avrebbe spaventato un certo Domenico Corvino, che morì poco dopo). Caterina Cappabianca dichiarò che suo marito e suo cognato erano ricorsi ad Anna per sciogliere una legatura che non consentiva al marito di consumare il matrimonio. Anna si fece portare un nastro legato lungo quanto l'uomo e sei carlini. Nicola, il figlio della D'Urso, avrebbe detto all’uomo di consegnare il nastro al cognato, il quale avrebbe dovuto lasciarlo cadere in una piazza pubblica e aspettare che qualcuno lo raccogliere e sciogliesse i nodi. Successivamente lo stesso avrebbe dovuto comprare in piazza un fascio di verdura, scioglierlo e lasciarlo cadere.
Una certa Maria di Rosa (o De Rosa), residente nei pressi della “Porta di Napoli”, dichiarò di aver incontrato Anna in un momento in cui era afflitta per la salute di suo marito e che Anna si era quindi con una candela in casa sua e, proferendo parole, la avvicinò al volto del marito, lasciando cadere la cera in un piattino riempito d'acqua. La cera avrebbe assunto la forma di un pupazzetto con una coda che Anna aveva riferito essere un diavolo. Anna avrebbe continuato il rituale con dell’incenso e una palma benedetta, proferendo altre parole e facendo segni di croce. L'uomo dopo pochi giorni sarebbe stato completamente guarito.
Il fatto che Anna facesse uso di arti magiche era noto anche fuori Capua. Un testimone dichiarò di aver saputo che a Capua viveva una fattucchiera «che aveva il diavolo in bocca». Per ottenere la passione di una donna casata Anna gli avrebbe suggerito di prendere 9 grani di sale e andare in campagna e quindi di invocare il diavolo sbattendo i piedi a terra e dicendo: «Diavolo fammi venire sotto li piedi miei e a consenso mio N.N.» Conclude la testimonianza affermando che Anna davvero invocare il diavolo correndo nuda per la città.
Anna D'Urso fu infine condannata per sortilegi dalla Curia Arcivescovile di Capua alla pubblica frusta e al carcere "per cinque anni et ultra", ma fu graziata dalla pena del carcere per ordine della Congregazione del Sant'Uffizio.
Bibliografia
- Francesco Ciociola, Un processo per stregoneria nella Capua dell'inizio del Settecento, in "Capys – Bollettino interno degli «Amici di Capua»", 1993, pp. 155-162.
Article written by Angela Vitale | Ereticopedia.org © 2023
et tamen e summo, quasi fulmen, deicit ictos
invidia inter dum contemptim in Tartara taetra
invidia quoniam ceu fulmine summa vaporant
plerumque et quae sunt aliis magis edita cumque
[Lucretius, "De rerum natura", lib. V]