Dizionario di eretici, dissidenti e inquisitori nel mondo mediterraneo
Edizioni CLORI | Firenze | ISBN 978-8894241600 | DOI 10.5281/zenodo.1309444
Angela Merici (Desenzano del Garda, ca. 1470/74 - Brescia, 1540). Fondatrice della Compagnia di sant’Orsola. Beatificata il 30 aprile 1768, proclamata santa il 24 maggio 1807.
Cenni biografici
Angela Merici nacque a Desenzano del Garda tra il 1470 e il 1474. Il padre, Giovanni Merici, apparteneva a una famiglia originaria di Brescia con radici mercantili e urbane, mentre la madre, Caterina de Bianchi, era sorella di un uomo di legge e membro del consiglio cittadino di Sa¬lò. La situazione economica dei Merici non era disagiata: vivevano in campagna in una proprietà agricola che dava da vivere a sette persone (Angela aveva due fratelli e una sorella più grandi e un fratello minore). Sollecitata dalle letture delle vite dei santi fatte dal padre, Angela cominciò a manifestare un’inclinazione per la vita spirituale fin da piccola. Rimasta orfana intorno ai 18 anni, si trasferì dallo zio materno a Salò, città nella quale decise di entrare nel terz’ordine francescano, mostrando così una propensione per la vita devota nel mondo. Fino all’età di quarant’anni Angela visse tra Desenzano e Salò, probabilmente svolgendo attività di preghiera, penitenza e carità, come previsto dalla regola del terz’ordine. A questa fase appartiene la visione di una scala che univa terra e cielo percorsa da vergini e angeli, che in seguito i biografi mericiani avrebbero collegato alla futura istituzione della compagnia.
Nel 1516, su mandato dei superiori, Merici si trasferì a Brescia, prima nella residenza della nobile vedova Caterina Patengola (che aveva subito una serie di lutti) e, l’anno successivo, nella casa di un mercante bresciano, Antonio Romano, dove sarebbe rimasta per ben 13 anni. All’epoca Brescia (che contava circa 40.000 abitanti) era attraversata da conflitti e mutamenti di carattere economico, sociale e politico, che si erano acuiti a causa delle devastazioni del sacco compiuto dalle truppe francesi di Gaston de Foix nel 1512. In questo clima, attorno ad Angela si costituì gradualmente un gruppo di nobili, mercanti e notai coinvolti in confraternite, ospedali e circoli spirituali, che però non diede vita a un cenacolo stabile. Sebbene non fosse nota per fenomeni mistici particolari, rivelazioni o profezie, sembra che a Brescia, già nei primi anni Venti, Merici godesse fama di “santa viva”, per via delle sue penitenze, della vita dedita alla contemplazione e della sua solida cultura religiosa. In quegli anni, infatti, Angela divenne un punto di riferimento per cittadini ed ecclesiastici, che le facevano visita regolarmente e la interpellavano sia su questioni religiose (sembra facesse lunghi “sermoni”), sia per avere consigli di vita quotidiana.
Dai suoi scritti e da altre testimonianze emerge come Angela conoscesse le Scritture, la patristica (cita passi di sant’Agostino e di Gregorio Magno), le collezioni di vite di vergini e martiri (come la Legenda Aurea di Jacopo da Varagine, stampata a Venezia undici volte tra il 1474 e il 1500) e probabilmente le Vitae Patrum, le lettere e il Dialogo della Divina Provvidenza di Caterina da Siena, lo Specchio della Croce di Cavalca e Le sette armi spirituali di Caterina da Bologna (della famiglia francescana come Angela). Inoltre, è molto probabile che avesse letto l’Imitazione di Cristo di Tommaso da Kempis, l’Enchiridion militis christiani di Erasmo da Rotterdam (stampato in volgare per la prima volta a Brescia nel 1531, con il contributo di alcuni suoi amici) e gli scritti ascetici e mistici diffusi all’epoca (si veda anche qui sotto).
Tra il 1524 e il 1532 Merici fece diversi pellegrinaggi (a Roma, Mantova, Varallo, e, soprattutto, a Gerusalemme), durante i quali entrò in contatto con alcune mistiche (tra cui probabilmente Stefana Quinzani) e con diverse autorità civili e religiose che provarono a trattenerla nelle rispettive città (Clemente VII a Roma; il Duca Francesco II Sforza a Milano; alcuni nobili veneziani nella Serenissima). Particolarmente significativa fu la sua esperienza nell’Ospedale degli Incurabili a Venezia nel 1524, dove molto probabilmente entrò in contatto con una serie di personaggi impegnati nella promozione di una concezione della “vita cristiana” di tipo ascetico-mistico, quali l’eremita agostiniano Girolamo Regino (attivo nella direzione spirituale di donne laiche appartenenti alla nobiltà veneziana), il domenicano Battista da Crema (fondatore di confraternite, ospedali e, in seguito, della doppia congregazione dei Barnabiti e delle Angeliche) e il laico Girolamo Miani (impegnato negli ospedali e futuro istitutore dei Somaschi e che forse Angela rivide a Brescia nel 1532). È probabile che Angela ebbe modo di leggere i testi di perfezione pubblicati da questi ambienti, come Via de aperta verità di Battista da Crema (uscito a Venezia nel 1523) e la regola di Regino per le laiche aristocratiche da lui dirette (testo del 1519, di cui si avverte l’influsso nella regola mericiana). Tornata a Brescia, Angela entrò in contatto con alcuni importanti personaggi della vita politica, religiosa e culturale della città e coinvolti in progetti di riforma personale, quali Giacomo Chizzola e Agostino Gallo. Mentre il primo negli anni Quaranta istituì le Accademie di Rezzato di ispirazione erasmiana ed era in contatto con l’Ecclesia Viterbiensis di Reginald Pole, il secondo (che aveva ospitato Merici a Brescia e Cremona nel 1529-30) negli anni Sessanta fu autore di un trattato sull’agricoltura di grande successo che celava temi religiosi non del tutto ortodossi. Vicini alla santa e alla sua futura compagnia, troviamo anche dei noti pittori che la storiografia ha spesso associato ad ambienti eterodossi, come Girolamo Romanino (che ritrasse Angela da viva) e Alessandro Bonvicino detto il Moretto (che ne fece il ritratto funebre ed ebbe una figlia nella Compagnia di sant’Orsola).
Intorno al 1530 Angela si trasferì in un locale annesso alla chiesa di S. Afra, gestita dai Canonici Regolari Lateranensi, a loro volta coinvolti nei dibattiti di riforma della vita religiosa, promotori di testi spirituali legati alla Devotio Moderna e non impermeabili a infiltrazioni eterodosse. Tra i Canonici Angela scelse il suo confessore, un ammiratore di Battista da Crema e autore di trattati spirituali, Serafino Torresini da Bologna (1468-?). Il legame tra Angela e i Canonici è anche testimoniato dalla sua richiesta, inoltrata alla Sacra Penitenzieria, di essere sepolta a S. Afra, piuttosto che in una chiesa francescana. Nel 1532 Merici cominciò a condividere la propria vita devota con delle compagne, e, il 25 novembre 1535, istituì la Compagnia di sant’Orsola. La compagnia bresciana conobbe un notevole successo: se inizialmente contava 28 orsoline, alla morte della fondatrice (nel 1540) il gruppo comprendeva circa 150 adepte. Nel 1568, gli amici di Angela (Gallo, Chizzola e Romano) resero testimonianza sulla santità della sua vita in vista di un eventuale processo di beatificazione (testimonianze trascritte nel cosiddetto Processo Nazari da un notaio bresciano autore di testi neoplatonici e alchemici). Angela però fu dichiarata beata solo nel 1768 e canonizzata nel 1807 da Pio VII.
La Compagnia di sant’Orsola
Sotto il profilo delle forme di vita religiosa, la compagnia di Angela Merici presentava importanti elementi di novità. Essa costituiva una compagnia spirituale composta da donne nubili che non erano state promesse né in matrimonio né a conventi e che continuavano a vivere nelle proprie case. La compagnia, inoltre, era gestita per le questioni pratiche da vedove aristocratiche bresciane (le “Matrone”) e, per la direzione spirituale, dalle orsoline più sagge (le “Colonelle”). La scelta delle cariche (compresa quella della Madre Generale, inizialmente non prevista, e ricoperta da Angela stessa a partire dal 1537) avveniva tramite elezioni, a cui partecipavano democraticamente tutte le vergini. Il governo della compagnia non contemplava il coinvolgimento di ecclesiastici, ma le adepte eleggevano un confessore comune e ne sceglievano un altro privato per la confessione e la comunione (previste due volte al mese). La compagnia era economicamente autosufficiente: le adepte potevano lavorare e si aiutavano reciprocamente in caso di bisogno. Sebbene la storiografia abbia spesso descritto la santa e il suo istituto come impegnati nell’assistenza e nell’educazione delle donne povere, di tali attività non si trova riscontro né nelle fonti (che peraltro registrano la presenza di diverse donne di discreta condizione), né nelle prime biografie mericiane. Nata da una biografia francese di Merici del 1648, tale immagine fu poi adottata da una storiografia cattolica del Novecento tesa a evidenziare l’esistenza di un movimento riformatore fondato sulla carità in difesa della Chiesa. Se è pur vero che il tratto specifico delle Orsoline in età moderna fu l’educazione delle ragazze, ciò va ascritto alle riforme subite dalla compagnia nell’età successiva al Concilio di Trento – come vedremo in seguito.
L’intento originario della fondatrice va cercato negli scritti da lei dettati al Segretario dell’istituto, il notaio di formazione umanista, Gabriele Cozzano: la Regula (del 1535) e due scritti per il governo spirituale e amministrativo della Compagnia, i Ricordi e il Testamento (1539). La regola attribuiva alle Orsoline l’identità di “vergini-spose di Cristo” (normalmente riservata alle monache), ma senza prevedere convento, voti e abito, e senza prescrivere un’attività specifica nel secolo o la vita comune. La regola richiedeva alle adepte di perseguire, in casa propria, una vita devota caratterizzata dalla preghiera mentale (più che da quella vocale), dalla mortificazione dei vizi (più che della carne) e dalla progressiva acquisizione delle virtù dell’umiltà, della pazienza e della carità (interiormente intese). Nelle intenzioni di Merici, tale percorso avrebbe condotto l’Orsolina a uno stato di perfezione e all’unione mistica, grazie alla quale era possibile seguire la volontà divina nel mondo e svolgere ruoli di pubblica utilità, quali la mediazione della salvezza delle anime e quello di dispensare consigli di carattere morale e religioso (ruoli che i testimoni al Processo Nazari attribuiscono ad Angela stessa). La compagnia, infine, si proponeva come “una sintilla del viver della primitiva Chiesa”, che intendeva innescare una riforma della società al proprio ideale di “vita cristiana” – il quale, sebbene diretto principalmente alle donne, poteva essere seguito da qualsiasi persona.
Il contesto religioso della Compagnia di sant’Orsola
Il progetto di Angela Merici va anzitutto compreso nell’ambito dei dibattiti sulle forme della vita cristiana e sulla riforma della Chiesa, presenti nei monasteri e nei circoli spirituali dell’Italia di primo Cinquecento. Sebbene Angela criticasse esplicitamente la Riforma Protestante (come fece qualche anno dopo la sua morte anche il Segretario Cozzano), la Compagnia non si può vedere come espressione di un movimento indifferenziato di “Riforma cattolica” in opposizione a Lutero. Piuttosto il suo anelito riformatore va interpretato come espressione di una religiosità “non-convenzionale”, alternativa sia alla corrente solafideistica sia all’ortodossia romana, diretta alla riforma della società cristiana nel suo complesso più che della Chiesa istituzionale, e fondata sul rinnovamento interiore dell’individuo. Tali concezioni religiose risalivano al secolo precedente, a un movimento culturale e religioso insieme, che emergeva nella complessa articolazione e interazione delle correnti dell’Osservanza, della Devotio Moderna e dell’umanesimo. Angela fu in contatto con ambienti legati a tali correnti e promotori di una spiritualità ascetico-mistica e di una concezione della vita cristiana intesa come conversione interiore (del cuore e della mente) e come battaglia contro i vizi (come l’amor proprio, la superbia, l’ira o la pigrizia), aspetti considerati come precondizioni necessarie al raggiungimento della perfezione interiore, della divinizzazione personale e quindi dell’unione mistica. In tale concezione della vita cristiana la Chiesa istituzionale e i suoi riti avevano un ruolo marginale e il rapporto con Dio era vissuto in maniera diretta, personale e interiore. Tali ideali spirituali si ritrovano sia nella regola di Angela Merici sia nei documenti normativi e spirituali di altre congregazioni religiose che nascevano in quel periodo, come i Barnabiti, le Angeliche, i Somaschi, i Gesuiti, i Cappuccini e gli Oratoriani di Filippo Neri, istituti che furono riformati e (in parte) controllati dalla Chiesa a partire dalla seconda metà del Cinquecento.
Per comprendere l’originalità della compagnia di Angela Merici è però anche opportuno richiamare la tradizione tardomedievale della devozione femminile secolare, di cui l’istituto si può dire rappresenti uno sbocco istituzionale. Tale tradizione aveva visto nascere il movimento delle beghine e delle bizzoche (oltre che delle terziarie), donne che fin dal XIII secolo avevano vissuto una vita devota fuori dal convento, sempre in bilico tra la condanna e l’ammirazione degli uomini di Chiesa. La spiritualità di queste donne era spesso caratterizzata da un acceso misticismo e per questa ragione alcune di loro erano venerate dal popolo e dai Signori delle città. Il fenomeno delle “sante vive” (che riguardò anche le monache) raggiunse il suo apice durante le guerre d’Italia, tra la fine del ’400 e i primi decenni del ’500. Angela, che apparteneva a questa realtà, in quanto terziaria francescana e in quanto venerata come “santa viva”, ufficializzò tale forma di vita, istituendo una compagnia di Spose di Cristo nel mondo che ricercavano l’unione mistica.
Sviluppo della Compagnia
Alla morte di Angela Merici la Compagnia di sant’Orsola attraversò un periodo di defezioni e divisioni interne, causato dall’opposizione di una parte delle autorità civili ed ecclesiastiche di Brescia, che criticavano la scelta di lasciare le vergini nel mondo. Tuttavia la compagnia fu approvata da Paolo III nel 1546 e nella seconda metà del XVI secolo fu rilanciata da Carlo Borromeo (che la istituì a Milano nel 1567) e da diversi vescovi a lui vicini in diverse città del nord e del centro Italia. Questi ultimi, impegnati nella riforma pastorale delle loro diocesi, e spesso trovandosi di fronte a gruppi di donne che optavano per la vita devota nel mondo (talvolta seguendo l’esempio delle Orsoline bresciane), individuarono nella Compagnia di sant’Orsola uno strumento atto a convertire le famiglie e istruire le ragazze. A tal fine i vescovi riformarono la regola mericiana introducendo nuove gerarchie di governo (capitanate dagli stessi ordinari), mitigando gli aspetti più controversi del testo originale (come quelli mistici) e dando come compito precipuo alla compagnia quello dell’educazione delle giovani nelle Scuole della Dottrina Cristiana. Tale intento educativo fu anche mantenuto nelle congregazioni di Orsoline conventuali che si svilupparono in Francia nel Seicento e tra le consorelle missionarie che si diffusero nei secoli successivi nel resto del mondo. In Italia diverse compagnie secolari si trasformarono in collegi, i quali spesso non prevedevano la clausura, né soppiantarono le Orsoline di casa. L’accettazione della Compagnia fu possibile anche perché la Chiesa post-tridentina era divisa su come regolamentare la vita religiosa femminile, arrivando così gradualmente a prevedere un doppio binario: stretta clausura e voti solenni per le monache; vita secolare con voti semplici per le devote che non volevano entrare in convento. Se la Compagnia di sant’Orsola fu il volano attravero cui filtrò questa seconda possibilità, altre congregazioni simili furono fondate a partire dalla fine del Cinquecento (come le Dimesse e le Medee). Sul piano sociale, tale forma di vita aprì la strada all’accettazione della donna single laddove le uniche identità possibili per le donne dell’epoca erano quelle della “moglie” e della “monaca”.
Bibliografia
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Article written by Querciolo Mazzonis | Ereticopedia.org © 2022
et tamen e summo, quasi fulmen, deicit ictos
invidia inter dum contemptim in Tartara taetra
invidia quoniam ceu fulmine summa vaporant
plerumque et quae sunt aliis magis edita cumque
[Lucretius, "De rerum natura", lib. V]