Dizionario di eretici, dissidenti e inquisitori nel mondo mediterraneo
Edizioni CLORI | Firenze | ISBN 978-8894241600 | DOI 10.5281/zenodo.1309444
Andrea Cattaros è stato un benandante friulano processato dal Santo Ufficio nel 1676.
Originario di Savorgnano, nei pressi di S. Vito al Tagliamento, fu protagonista di un processo inquisitoriale tenutosi dal locale tribunale di Aquileia e Concordia, nelle sedi ordinaria di Portogruaro e straordinaria di Motta di Livenza.
All’epoca dei fatti Andrea Cattaros aveva diciotto anni e viveva ad Annone Veneto, in qualità di famiglio di Battista del Vecchio detto Penachio.
Presente nella comunità locale ormai da qualche tempo, era in essa ben inserito e tratteneva ottimi rapporti con i compaesani. Anzi, rappresentava per questi una risorsa, in quanto gli veniva riconosciuto il ruolo “antistregenesco” tipico dei benandanti.
Nell’Annone del tardo Seicento, come del resto in tutta la regione, le credenze sui benevoli poteri dei benandanti erano ancora ben radicate e queste li rendevano un bene prezioso, cercato dalla popolazione e utile a chi ne aveva bisogno.
Purtroppo la fama di benandante venne meno – o meglio perse l’originario fascino – a seguito dell’intervento del parroco don Francesco Marignani dopo la morte di due bambini del posto.
Nell’aprile del 1676, nel giro di pochi giorni, vennero a mancare Silvestro del Vecchio e Giovanni Pellegrini, rispettivamente di quattro e undici anni. Entrambi i piccoli erano stati colpiti da malesseri improvvisi, allora inspiegabili. I genitori fecero subito chiamare il Cattaros (nel caso di Silvestro già in casa come servitore), che precipitatosi al capezzale non ebbe dubbi sull’intervento malefico delle streghe, le quali avevano bisogno dei cadaveri per bruciarli e consegnarli al diavolo durante il sabba.
Andrea non seppe dar rimedio al male, riuscì solo a riconoscere e smascherare le streghe responsabili dei misfatti. Iniziò allora a fare pubblicamente i nomi delle donne di Annone, e dei paesi limitrofi, che lui riconosceva come streghe. Lo riteneva un dovere morale, in quanto benandante aveva l’obbligo di lottare contro “il male” e preservare la sua comunità dai malefici.
Questo indispettì le stesse donne accusate, che iniziarono a preoccuparsi, tentarono di discolparsi davanti alla gente e cercarono di vendicarsi verso Andrea, in un’occasione aggredendolo per strada.
Sebbene gli annonesi credessero in lui e ne riconoscessero le doti sciamaniche, la morte dei due piccoli e l’intervento del parroco fecero cambiare il verso alle cose. Il Marignani era molto preoccupato, in realtà più per i disordini e i nervosismi che Andrea aveva provocato nella sua parrocchia, che per le numerose streghe presenti nella comunità di fedeli.
Su indicazione del pievano, il benandante si presentò spontaneamente al Sant’Ufficio di Aquiliea e Concordia il 18 giugno. L’assise, presieduta dal vicario Valerio Secchi (investito dall’inquisitore Agostino Giorgi), si radunò nella vicina Motta, chiedendo ospitalità al convento dei Minori Conventuali ivi presente. Lo stesso giorno verrà ascoltato pure don Francesco Marignani, chiamato a deporre.
Dalle deposizioni emerge la figura tipica del benandante, nato “con la camicia” e inizializzato in età puberale dall’incontro con una strega a S. Vito. Andrea raccontò – e tutto venne confermato dal Marignani suo confessore – di aver partecipato tre volte al sabba, essere stato invitato dal diavolo a rinnegare le fede e aver combattuto contro streghe e demoni. Per partecipare ai balli sabbatici non faceva uso di unguenti o pomate, cavalcando un beco. La prima uscita notturna avvenne tra i dieci e i dodici anni d’età, quando venne una strega a chiamarlo e lui, rispondendole d’istinto, si obbligò a seguirla. Trovatosi in un casolare, alla presenza del diavolo, altri “diavolini” e streghe intente a far festa, rifiutò l’invito di votarsi al demonio, allora lottò contro le forze degli inferi e si ritrovò sul monte Cavallo, per poi rientrare a S. Vito.
L’atteggiamento del Secchi fu alquanto scettico, chiese conferma dell’adesione al sabba e, soprattutto, se Andrea avesse mai rinnegato le fede. La risposta del giovane imputato fu puntuale e precisa, la sua posizione ferma e sicura, non aveva mai rinnegato la fede in Dio, anzi la ribadì proprio al cospetto del diavolo. Appurato questo, il giudice di fede ritenne più opportuno ascoltare i padri dei due bambini deceduti, sorvolando completamente sulle donne ritenute streghe.
Emerge palese la volontà del Secchi di voler far chiarezza sui fatti, basandosi su prove concrete e tangibili, tralasciando ragionamenti teorici – per lui evidentemente già superati – riguardanti la stregoneria e l’intervento delle operatrici del diavolo nella realtà.
Convocò quindi a Portogruaro i genitori dei due sventurati ragazzini, che però non aggiunsero nulla di nuovo a quanto già si sapeva.
Anche se durante le deposizioni e gli interrogatori vennero confermati gli accadimenti, accreditata da tutte le parti la responsabilità delle streghe, avvalorate le capacità terapeutiche del Cattaros, purtroppo per quest’ultimo non si registrò un cambio di atteggiamento da parte della comunità annonese e finì per essere allontanato da casa del Vecchio. La famiglia, infatti, dall’inizio del processo iniziò a soffrire la sua presenza tra le mura domestiche, divenuta parecchio scomoda.
La vicenda, come emerge dalle vecchie carte, evidenzia quanto le credenze sui benandanti fossero ancora ben radicate nella massa e come la Chiesa non fosse riuscita e debellare il fenomeno. A dire il vero non si era neppure compiuto il tentativo di uniformarlo agli schemi ad essa noti, frutto di teorizzazioni e dibattiti durati secoli.
Inoltre è chiaro il marcato scetticismo che il tribunale locale – parimenti alla Congregazione - cominciava a manifestare nei confronti dell’esistenza di un complotto malefico ordito dal diavolo e dalle sue adepte, fondamento dell’esistenza della stregoneria.
A partire dal pieno Seicento, i processi e le esecuzioni per stregoneria diminuirono progressivamente e il caso in questione entrò a far parte di quel filone di processi destinato a esaurirsi nel disinteresse e nell’incredulità.
Bibliografia
- Andrea Del Col, Benandanti, in DSI, vol. 1, pp. 172-173.
- Carlo Ginzburg, I benandanti. Ricerche sulla stregoneria e sui culti agrari tra Cinquecento e Seicento, Einaudi, Torino 1966.
- Franco Nardon, Benandanti e inquisitori nel Friuli del '600, Edizioni dell'Università di Trieste, Trieste 1999.
- Mauro Fasan, Benandanti e streghe nel Friuli del Seicento. Un caso ad Annone Veneto, in “Quaderni eretici”, 8, 2021, pp. 31-58.
Article written by Mauro Fasan | Ereticopedia.org © 2021
et tamen e summo, quasi fulmen, deicit ictos
invidia inter dum contemptim in Tartara taetra
invidia quoniam ceu fulmine summa vaporant
plerumque et quae sunt aliis magis edita cumque
[Lucretius, "De rerum natura", lib. V]