Tassoni, Alessandro

Dizionario di eretici, dissidenti e inquisitori nel mondo mediterraneo
Edizioni CLORI | Firenze | ISBN 978-8894241600 | DOI 10.5281/zenodo.1309444


Alessandro Tassoni (Modena, 28 settembre 1565 – Modena, 25 aprile 1635) è stato un letterato, noto per la sua forte personalità e vis polemica, perseguitato anche dall'Inquisizione.

Biografia

Alessandro Tassoni nasce a Modena dal conte Bernardino Tassoni e da Sigismonda Pellicciari, esponenti dell’aristocrazia modenese. Il piccolo rimane presto orfano e a crescerlo sarà prima suo nonno materno, Giovanni Pelliciari, poi lo zio Marcantonio, il quale lo avvia allo studio del diritto presso le università di Bologna, Pisa e Ferrara.
Una volta laureatosi, a Ferrara probabilmente, Tassoni passa alcuni anni a Modena, diviene accademico della Crusca col nome di Brullo, incorre in alcuni processi a seguito dei suoi atti violenti e vendicativi, peculiari della sua personalità irascibile. È nel 1597 che si trasferisce a Roma dando inizio a quella che sarà la sua carriera cortigiana. Due anni dopo il trasferimento entra infatti a contatto, e al servizio come segretario, del cardinale Ascanio Colonna. Tassoni segue il cardinale in Spagna nel 1600 e svolge per lui diverse ambascerie a Roma che gli garantiscono l’apprezzamento e il riconoscimento del Colonna fino alla nomina di amministratore dei beni cardinalizi in Italia.
È di nuovo tempo di un processo per il Tassoni. Questa volta poca parte ha il suo carattere violento: è l’inquisizione di Modena a condannarlo di stregoneria con il pretesto di aver donato ad una donna un giocattolo contenente l’immagine di un demonio. Tassoni sarà spesso vittima di accuse da parte del tribunale dell’Inquisizione che non risparmierà le sue attenzioni neppure alle sue opere, in particolare alla celebre Secchia rapita. Se la violenza di Tassoni non intercede in questo primo processo, è comunque il suo spirito acuto e polemico che lo scagiona. Il 9 febbraio 1602 invia al vicario dell’inquisizione una sola lettera che riuscirà a liberarlo di ogni accusa.
Intanto, per motivi che non paiono correlati in alcun modo al processo, Tassoni si allontana dal cardinale Colonna e vive indipendente e libero a Roma dove entra a far parte anche dell’Accademia degli Umoristi. Passano alcuni anni in cui opera presso il cardinale Alessandro d’Este ma presto sposta le sue attenzioni verso i Savoia, da cui crede di poter trarre maggiori profitti e di cui appoggia la politica antispagnola. Entra quindi in contatto, da Roma, con la corte torinese e in particolare col Carlo Emanuele I, riuscendo solo nel 1618 ad ottenere la nomina di segretario dell’ambasciata sabauda a Roma. Nel periodo sabaudo, Tassoni entra anche alle dipendenze del cardinale Maurizio di Savoia e con lui si sposta a Torino nel 1619; il suo accresciuto prestigio gli procura ben presto le invidie degli altri uomini di corte, fatto questo a cui si aggiunge un nuovo tipo di politica, stavolta filospagnola, seguito dai Savoia. Tassoni si allontana quindi da Torino alla volta prima di Saluzzo e poi, nel 1621, di Roma dove torna in contatto col cardinale Maurizio di Savoia. I rapporti col cardinale sono però molto tesi e questa volta e Tassoni verrà messo al bando finché per interessamento del papa, dopo soli dieci giorni dalla cacciata, riuscì a tornare a Roma
Passato un periodo di ritiro a vita privata Tassoni torna ad avvertire il bisogno di una vita attiva e fa in modo, a partire dal 1621, di entrare in contatto col cardinale Ludovisi, cosa che riuscirà a portare a termine solamente nel 1626. Morto il cardinale, Tassoni non può fare altro che accettare la vita di corte a Modena, presso il duca Francesco I, sotto il quale conduce una vita pacifica, scomoda per la sua indole.
È il 25 aprile del 1635 quando Alessandro Tassoni muore e viene sepolto nella chiesa di S. Pietro a Modena.

Opere

Il primo testo dato alle stampe che vede la firma di Alessandro Tassoni è Parte de’ quesiti del signor Alessandro Tassoni modenese, un libretto impresso a Modena nel 1608. L’autore in realtà affermò di non aver mai autorizzato questa prima pubblicazione, una raccolta di centocinquantuno quesiti di ispirazione aristotelica in cui cominciano a manifestarsi già le prime tendenze antipetrarchiste ribadite poi nelle Considerazioni. Tanto fu il successo riscosso da questo prima bozza che Tassoni decise di rivisitare i quesiti per ripubblicarli nel 1612, e ancora nel 1620 passando alla redazione definitiva di dieci libri sotto il titolo definitivo di Dieci libri di pensieri diversi di Alessandro Tassoni modenese. Pur non rispondendo ad alcun ordinamento filosofico e a nessuna organicità, i dieci libri sono così suddivisi: libri I-V, questioni fisiche; libro VI, questioni morali; libro VII questioni letterarie; libro VIII, questioni politiche; libro IX, questioni storiche; libro X, paragone degl’ingegni antichi e moderni. Un’organizzazione universale del sapere umano.

Contro il gusto manieristico seicentesco e in linea con le tendenze antipetrarchiste già dimostrate, Tassoni pubblica fra il 1609 e il 1611 le Considerazioni sopra le rime di Petrarca. L’opera intende piuttosto criticare il vuoto gusto dell’imitazione sullo sfondo di un Petrarca che rimane sempre molto stimato dal poeta. Lo scritto risulta quindi un agglomerato di digressioni, citazioni, confronti fra Petrarca e altri poeti, dove interessante risulta quello con i trovatori provenzali. I commenti del Tassoni recano osservazioni critiche di cui molto terrà conto la posterità ma l’autore, sempre riconoscibile nella sua indole polemica e irrispettosa, non tralascia momenti di particolare asprezza nei confronti nel scritto generando un vero e proprio scandalo che si riversa in una diatriba letteraria con Giuseppe degli Aromatari. Un botta e risposta fra i due prosegue fino al 1613 e la polemica avrà anche ripercussioni giudiziarie.

Di carattere polemico e aggressivo sono poi le due Filippiche composte da Tassoni nel 1615 contro la dominazione spagnola. Sposano la causa della politica antispagnolo di Carlo Emanuele I e ruotano intorno a due principali argomentazioni: la Spagna è il residuo di un colosso, dal passato sì illustre ma privo di fondamenta; l’Italia, d’altro canto, poggia sulle solide radici di un passato glorioso che tutti i principi italiani, uniti, dovrebbero aver cura di ripristinare.

La Secchia rapita è certo la più nota opera firmata da Alessandro Tassoni. Composta fra il 1614 e il 1615 risulta essere il poema eroicomico fra i più amati della letteratura nostrana. In ottave e in dieci canti La secchia rapita stimolò numerose imitazioni nel corso del secolo divenendo una sorta di modello del poema eroicomico. L’argomento verte intorno a un fatto leggendario che si staglia sulla scenografia di un passato storico verosimile. Nel Tredicesimo secolo le scorribande dei bolognesi a Modena provocano una reazione di alcuni modenesi che si recano a Bologna per rubare un secchio da un pozzo. La reazione di Bologna è asprissima: restituire la secchia o guerra. I modenesi non cedono e incalza così la battaglia in cui intervengono i guelfi dei comini lombardi ed emiliani e finanche gli dei dell’Olimpo. Federico II, all’epoca già deceduto, invia suo figlio Enzo a combattere accanto ai modenesi e quando questo verrà fatto prigioniero dai bolognesi, il papa sancirà la fine della guerra deliberando che il re rimanga a Bologna e la secchia a Modena.
L’intento satirico e parodico del poema è facile da scoprire. Tassoni intende muovere una puntuale critica ai costumi dei suoi contemporanei modenesi e bolognesi, spesso raffigurati e beffati al limite della decenza.

Bibliografia

  • Franco Croce, Critica e trattatistica del barocco in Storia della Letteratura italiana, vol. V, a cura di E. Cecchi, N. Sapegno.
  • Luigi Fassò, Tassoni, Alessandro, in Enciclopedia Italiana, vol. 33, Istituto dell'Enciclopedia Italiana, Roma 1937.
  • Alberto Asor Rosa, Storia europea della letteratura italiana, Vol. II, Dalla decadenza al Risorgimento.

Article written by Silvia Corelli | Ereticopedia.org © 2017

et tamen e summo, quasi fulmen, deicit ictos
invidia inter dum contemptim in Tartara taetra
invidia quoniam ceu fulmine summa vaporant
plerumque et quae sunt aliis magis edita cumque

[Lucretius, "De rerum natura", lib. V]

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