"Tribunali della coscienza" e il dibattito storiografico sul peso dell’Inquisizione nella storia italiana

Dizionario di eretici, dissidenti e inquisitori nel mondo mediterraneo
Edizioni CLORI | Firenze | ISBN 978-8894241600 | DOI 10.5281/zenodo.1309444


Tribunali della coscienza e il dibattito storiografico sul peso dell’Inquisizione nella storia italiana
di Daniele Santarelli

Voci di riferimento : Inquisizione romana | Adriano Prosperi | Carlo Ginzburg | Giovanni Romeo | Jean Pierre Dedieu | Massimo Firpo
Vedi anche : Il "Dizionario storico dell'Inquisizione" e la sua ricezione storiografica

La pubblicazione di Tribunali della coscienza di Adriano Prosperi (1996) alimentò un intenso dibattito storiografico sul ruolo dell'Inquisizione e della Chiesa cattolica nella storia italiana. La tesi centrale dell'opera, che si pone il problema del radicamento della Chiesa cattolica nella società italiana, è che la Chiesa non solo abbia vinto con la repressione ma soprattutto convinto con la persuasione e il "governo" delle coscienze, riuscendo a stabilire, nei decenni a cavallo tra Cinquecento e Seicento, un'egemonia duratura sulla società italiana. Il che fu grazie soprattutto al tribunale dell'Inquisizione, definito l'unico potere veramente centralizzato ed efficiente che sia mai esistito in Italia (al punto che Prosperi ha parlato di "unità inquisitoriale dell'Italia"1). La Chiesa riuscì, in particolare, secondo Prosperi, ad elaborare un modello di governo delle coscienze originale, straordinariamente efficiente e capillare, attraverso la subordinazione della confessione alle esigenze dell'Inquisizione: i confessori vennero obbligati a non assolvere i fedeli che confessassero colpe di competenza degli inquisitori; l'Inquisizione impose ai vescovi la propria competenza sul reato di adescamento in confessione (sollecitatio ad turpia), esercitando così di fatto un controllo anche sui confessori. Secondo Prosperi, il trionfo di questo modello di controllo delle coscienze, ancor più che la pur altrettanto efficace repressione del dissenso, permise al Papato di radicare stabilmente la sua alta sovranità sulla società italiana, una alta sovranità ancora visibile sino ai giorni nostri. Suggestiva è, nella Premessa, la rievocazione che Prosperi fa delle scene del funerale di Aldo Moro ucciso dalle Brigate Rosse (1978), officiato da papa Paolo VI che rivolgeva un accorato appello ai brigatisti, allorché lo Stato italiano affrontava una delle crisi più gravi della sua storia, "con gli uomini di Stato italiani inginocchiati ai piedi del pontefice romano", ravvisandovi "i momenti simbolici di una rifondazione dello Stato italiano (…) che ancora una volta - dopo gli anni della guerra nazifascista - ha dovuto far leva sulle ragioni ultime della sua unità"2.

Tra grandi apprezzamenti e vive critiche : Carlo Ginzburg, Elena Brambilla, Giovanni Romeo

L'opera di Prosperi suscitò grandi apprezzamenti, come la recensione di "lancio", a libro appena pubblicato, apparsa su La Repubblica a firma di Carlo Ginzburg3) — nella quale, tra l'altro, si affermava : "festeggiamo questo Tribunali della coscienza: un' opera che, per la nitidezza della costruzione, la vastità del materiale utilizzato, la calma autorevolezza della prosa è destinata a diventare un classico" — ma anche vive critiche.

Elena Brambilla, per esempio, rilevò che Prosperi aveva «implicitamente usato come modello la nuova immagine che della Suprema spagnola ha dato la ricca produzione di studi iberici recenti», i quali «hanno posto in rilievo la sua funzione di tribunale centrale e centralizzatore, unificatore della monarchia e della nazione spagnola; ma hanno messo in ombra, invece, le sue peculiarità di tribunale eccezionale, politico-religioso e totalitario»4. Il più duro dei critici fu Giovanni Romeo, che nel 1999 pubblicò una recensione sulla rivista "Quaderni storici", ponendo l'accento sulle carenze empiriche e documentarie delle teorie di Prosperi ("mi sarei aspettato una diversa articolazione interna del nucleo centrale della ricerca (…) sarebbe stato molto più opportuno — anziché presentare singole tematiche di rilievo inquisitoriale — approfondire, anche in un'area circoscritta e per un periodo limitato, l'andamento complessivo dei controlli di coscienza operati ordinariamente dalle autorità ecclesiastiche, nelle sollecitazioni romane e nelle diverse applicazioni locali"5).

La ricezione fuori d'Italia : il giudizio di Jean-Pierre Dedieu e René Millar Carvacho

Più sfumato, con elogi misti a critiche simili a quelle avanzate da Romeo, è stato il giudizio formulato da Jean-Pierre Dedieu e René Millar Carvacho in una rassegna pubblicata nel 2002 sulla prestigiosa rivista Annales. Histoire, Sciences sociales, nella quale si dichiarava che l'opera di Prosperi costituiva «il tentativo più spinto e più compiuto mai intrapreso per integrare il fenomeno inquisitoriale in una storia globale». «Essa - proseguivano Dedieu e Millar Carvacho - rende ben conto di quel che noi sospettavamo al momento della sua pubblicazione. Fondata su studi di singoli casi ben condotti, l'esistenza dei fenomeni che descrive è innegabile. Resta il fatto che la loro estensione deve essere verificata dalla moltiplicazione degli studi locali e da un esame più preciso dei meccanismi di decisione presso la Curia». In effetti, i due studiosi notavano poco più avanti: "si vedono apparire, soprattutto in Italia, dei lavori che, nel movimento suscitato dalle teorie di A. Prosperi, che essi d'altra parte criticano giustamente, si interessano alla pratica del sacramento della confessione fuori da ogni quadro delittuale. Si tratta in questi casi di progressi significativi". Dedieu e Millar Carvacho non mancavano, tra l'altro, di rimarcare la delicatezza dei temi inquisitoriali e mettere in guardia da usi e ricezioni strumentali a cui lavori come quello di Prosperi potevano prestarsi: «Lo abbiamo detto, lavorare sull'Inquisizione presenta un rischio. La sua storia, per natura, mobilita l'uomo tutto intero. Trattarne equivale a parlare di sé. La fascinazione che esercita A. Prosperi, al di là del suo valore scientifico, viene da una passione alla quale il lettore non può restare insensibile. Il colloquio del Vaticano [2000] ha non solamente costituito un evento scientifico, ma suscitato una copertura mediatica eccezionale: non erano in causa solamente la qualità dei dibattiti – perlopiù elevata – e l'amore per la scienza. Il seminario di Montereale Valcellina del 1999, tenutosi nella stessa chiesa in cui Menocchio ascoltava la messa, e per il quattrocentesimo anniversario della sua morte, testimonia non solo la scienza dei partecipanti ma anche un sentimento collettivo recentemente costruitosi attorno alla scoperta di un uomo che la comunità locale ha eretto in simbolo postumo. Il campo inquisitoriale è l'oggetto di un investimento sociale ed ideologico forte – e vario nelle sue forme e nelle sue attese –, pressione alla quale lo storico non può totalmente sfuggire (…) Domanda sociale significa anche domanda di pubblicazioni … orientate»6.

Le critiche di Massimo Firpo nel libro sul vescovo Soranzo

Nel libro Vittore Soranzo vescovo ed eretico. Riforma della Chiesa e Inquisizione nell'Italia del Cinquecento, pubblicato da Laterza nel 2006, Massimo Firpo riprese alcune sue vecchie critiche a Tribunali della coscienza (miste ad elogi verso un libro definito comunque "importante")7, rimproverando a Prosperi di aver attribuito un carattere troppo decisivo all'affermazione dei tribunali inquisitoriali e di averne sopravvalutato il peso nella storia italiana: "Il fascino del potere che emana da quei tribunali, la constatazione della loro pervasiva capacità di ritrovare "in ogni crisi storica del paese Italia antiche e nuove ragioni di egemonia", di adattarsi al mutare delle cose e dei tempi e di trovare sempre nuovi spazi di azione, hanno indotto Prosperi a ritenere fuori dubbio il fatto che "la Chiesa abbia vinto" (…) Il sottrarsi a quel fascino, tuttavia (…) costituisce il presupposto indispensabile per capire il prezzo di quella vittoria e recuperare anche nel presente le tradizioni intellettuali e civili che nel passato cercarono di contrastare quell'egemonia e le sue categorie fondanti, talora all'interno stesso dell' istituzione ecclesiastica, per indicare la strada verso acquisizioni irrinunciabili della nostra civiltà, quali la libertà del sapere, il primato della coscienza, la separazione tra Chiesa e Stato, il diritto al dissenso, la creazione di uno spazio pubblico di discussione e confronto"8. Sul Corriere della sera del 26 novembre 2006 lo storico Sergio Luzzatto, in un lungo articolo, presentava nei dettagli il libro di Firpo, accennando alle sue divergenze rispetto ad altri storici sul peso dell'Inquisizione nella storia italiana9, mentre il giornalista Antonio Carioti, in un breve intervento, citava una dopo l'altra le risolute frasi di Firpo contro le interpretazioni dei cattolici Jedin, Alberigo e Prodi da un lato, e dei laici Prosperi e Asor Rosa dall'altro10.

Prosperi dal canto suo, recensendo il volume di Firpo sul Sole 24 Ore del 3 dicembre 200611, liquidò l'interpretazione di quest'ultimo come una riproposizione del vecchio paradigma della "mancata Riforma" in Italia, chiosando: "Si capirà dunque lo stupore provato dallo scrivente quando si è trovato indicato come succube di una fascinazione dell'Inquisizione che non crede di avere mai avvertito. La verifica è facile: il libro a cui Firpo si riferisce — Tribunali della coscienza (Einaudi 1996) — cerca di analizzare e di capire le ragioni che permisero alla Chiesa cattolica del Cinquecento di vincere ma anche di convincere e di radicarsi stabilmente nella società italiana; un esito che la sola forza di un tribunale e di una polizia non poteva ottenere. Dunque se qualcuno ha subito la fascinazione dell'Inquisizione, quello non sono io".

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et tamen e summo, quasi fulmen, deicit ictos
invidia inter dum contemptim in Tartara taetra
invidia quoniam ceu fulmine summa vaporant
plerumque et quae sunt aliis magis edita cumque

[Lucretius, "De rerum natura", lib. V]

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