Pallavicino, Sforza

Dizionario di eretici, dissidenti e inquisitori nel mondo mediterraneo
Edizioni CLORI | Firenze | ISBN 978-8894241600 | DOI 10.5281/zenodo.1309444


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(Francesco Maria) Sforza Pallavicino (Roma, 28 novembre 1607 - Roma, 4 giugno 1667) è stato un prelato e scrittore.

Biografia

Sforza era nato a Roma, lontano dalle terre parmensi della famiglia d’origine, proprio durante il tentativo di recuperare lo ‘Stato Pallavicino’ dal dominio dei Farnese, da Francesca Sforza di Santa Fiora e del marchese Alessandro Pallavicino, discendente del ramo di Zibello e destinato ad ereditare pure il titolo di Busseto e Cortemaggiore; fin dalla tenera età venne avviato agli studi nel prestigioso Collegio Romano, alla scuola di Famiano Strada e Vincenzo Guinigi. Nei primi anni ’20 seguì il corso superiore in filosofia, come allievo di Vincenzo Aranea, e le cronache attestano sontuose celebrazioni in occasione del conseguimento dei titoli di studio: nel 1625, per la laurea in filosofia, presenziò alla cerimonia di laurea il cardinale Maurizio di Savoia, mentre tre anni più tardi, dopo aver sostenuto per 5 giorni le tesi ispirate dal padre gesuita Juan De Lugo, si addottorò alla presenza di illustri personaggi, suscitando l’ammirazione dell’intera Roma. Ai primi decenni del secolo risale la consuetudine con il prestigioso circolo riunito intorno a Virginio Cesarini e senz’altro grazie a queste amicizie cominciò a frequentare gli ambienti lincei, tanto da essere ricordato nelle vicende successive alla pubblicazione del Saggiatore. Molto presto si avvicinò anche ad altre illustri adunanze e nel 1625 fu eletto principe dell’Accademia degli Umoristi, divenendo, entro il cosiddetto «circolo barberiniano», uno dei protagonisti del rinnovamento culturale voluto da papa Urbano VIII. Più tardi si esercitò in modo più significativo nel cenacolo linceo, cui fu ascritto ufficialmente nel gennaio 1629, a breve distanza dall’inizio della parabola discendente dell’Accademia, che avrebbe conosciuto una profonda crisi dopo la morte di Cesi nel 1630. Gli interessi scientifici e filosofici trovarono però un naturale sbocco nei più informali circoli di ispirazione galileiana, consolidati nel perimetro della fraterna amicizia con Giovanni Ciampoli.
L’ingresso in prelatura nel marzo 1631 segna l’avvio della carriera ecclesiastica: referendario delle due Segnature, membro della congregazione de bono Regime e dell’Immunità Ecclesiastica, quando venne allontanato da Roma a causa del coinvolgimento nelle vicende galileiane fu quindi incaricato del governo di Jesi (1632-1633), Orvieto (1634-1636) e Camerino (1636)1. Dal giugno 1637 fece ingresso nella Compagnia di Gesù iniziando il noviziato a S. Andrea al Quirinale e dopo breve tempo cominciò la sua attività di docenza presso il Collegio Romano, esercitata tra il 1639 e il 1652, prima con l’incarico di logica (1639-1640), poi insegnando filosofia naturale (1640-1641) e metafisica (1641-1642). Dal 1644 assunse la cattedra di teologia che tenne fino al 1652, anno in cui fu prefetto agli studi2.
In seno alla compagnia di Gesù Pallavicino venne sottoposto a qualche controllo intorno all’ortodossia delle sue posizioni: negli anni ’40 gli fu imposto il divieto di affermare e diffondere la teoria zenonista, come si evince pure dal documento con cui il generale Vincenzo Carafa, nel 1649, impose una identica proibizione a Juan Everardo Nithard3. Alla fine degli anni ’40 si colloca anche l’impegno a pubblicare le opere in poesia e in prosa dell’amico Giovanni Ciampoli, scomparso nel 1643, in disgrazia e colpevole di aver sposato senza prudenza la causa galileiana: nel suo intervento editoriale il gesuita operò una significativa selezione e censura di passaggi ritenuti ancora compromettenti per la memoria dell’amico defunto.
Le prime effettive collaborazioni con il Sant’Uffizio risalgono al decennio successivo: il 15 novembre 1651 accettò il ruolo di qualificatore (sostenuto fino al novembre del 1659), partecipando ai lavori della commissione incaricata di esaminare le proposizioni gianseniste (1651-1653)4, come egli stesso attesta nella Vita di Alessandro VII: «non potendosi rimuovere da quell’adunanza i due precipui ufficiali del Papa nelle materie di religione, i quali sono il maestro del Sacro Palazzo, e il commissario del Sant'Uffizio, ambedue domenicani, convenne di porvi ancora qualche gesuita, ed a me toccò questo luogo» (vd. Vita di Alessandro VII, libro II, capo IX); con questa funzione collaborò anche alla preparazione della bolla Cum occasione di Innocenzo X, emanata nel 1653. Nell’estate del 1655, a pochi mesi dall’elezione papale del fraterno amico Fabio Chigi (Alessandro VII), partecipò, come unico rappresentante dei gesuiti tra gli 11 qualificatori, ai lavori per sciogliere i dubbi intorno alla missione gesuita in Cina5. Nel 1656 venne consultato a proposito della questione del nepotismo, componendo, su esplicita richiesta del pontefice, un parere teologico conservato manoscritto nella Biblioteca Apostolica Vaticana (ms. Chig. C.III.70 cc. 156-159). Nello stesso anno fu richiesta la sua opinione intorno al problema del lassismo e Pallavicino consigliava al pontefice di affrontarla con posizioni ‘interlocutorie’, evitando condanne assolute, ma procedendo piuttosto alla censura di singole proposizioni della dottrina probabilistica, da lui stesso inizialmente abbracciata e poi progressivamente abbandonata (come si evince considerando il passaggio dal De actibus humanis del 1649 a varie successive affermazioni raccolte nell’epistolario).
Il 10 novembre del 1659 venne nominato cardinale con il titolo di S. Susanna, mutato l’anno seguente in S. Salvatore in Lauro. Dismessa la carica di qualificatore, il 22 settembre 1660 divenne membro effettivo del Sant'Uffizio, operando all’interno della congregazione fino al luglio del 1667, a poca distanza dalla morte. In questi anni sono da segnalare le sue pronunce intorno al culto dell’Immacolata Concezione di Maria, che avrebbero suggerito i contenuti della bolla Sollicitudo omnium Ecclesiarum dell’8 dicembre 16616. Con l’incarico di membro del Sant'Uffizio partecipò alla commissione di inchiesta sulla falsificazione delle tavole di Granada (1662) e, a proposito della disputa riemersa intorno al giansenismo, si schierò, dopo essere sollecitato dai curati di Gand nel 1662, contro la corrente lassista: la sua opinione ebbe certo qualche peso nell’ispirazione della bolla Cum ad aures, che conteneva una nuova condanna delle posizioni della Sorbona (1665).
Morì a Roma il 4 giugno del 1667, poco dopo Alessandro VII e avanti l’inizio del nuovo conclave che avrebbe eletto pontefice Giulio Rospigliosi.

Opere

L’ampia produzione di Pallavicino si può distinguere in alcuni prevalenti nuclei di interesse cui si applicò in momenti diversi della sua esistenza.
A lungo si distinse per il suo contributo in merito a questioni di natura filosofica e teologica, toccate per la prima volta nelle tesi pubblicate negli anni ’20: i De universa philosophia […] libri tres, usciti nel 1625 a Roma dalla tipografia di Francesco Corbelletti, sono riconosciuti come testimonianza del ‘nuovo aristotelismo’ impartito in quegli anni nel Collegio Romano; dai medesimi torchi vennero impressi nel 1628 i De universa theologia […] libri IX ad Urbanum VIII Pont. Max., su questioni teologiche approfondite poi soprattutto durante l’attività didattica. Pallavicino venne incluso nella corrente dei novitates amatores, incline ad abbracciare tesi ritenute smodatamente compromesse con le nuove dottrine o, più in generale, per una teologia troppo filosofica: nel 1647 pubblicò le Theses Theologicae de Fide, Spe, Charitate et Poenitentia e l’anno successivo le Conclusiones Theologicae de Deo Trino et Uno (entrambe a Roma, per gli eredi Corbelletti), colpite da alcune denunce al vicario generale dei gesuiti che ne bloccarono la diffusione7. Dopo attento esame delle posizioni ivi espresse, venne pronunciato un giudizio di assoluta ortodossia e, fatte salve alcune minime correzioni formali, i vari trattati videro la luce in una edizione complessiva, tra il 1649 e il 1652, dal titolo Assertionum theologicarum libri IX, Roma, eredi Corbelletti. Nel 1653 uscì il primo tomo, rimasto poi l’unico, delle Disputationes in Primam secundae S. Thomae (Leida, Philip. Borde). Dei suoi studi filosofici rimangono anche alcune opere manoscritte, probabilmente legate all’attività didattica.
Alla produzione più spiccatamente letteraria Pallavicino si applica fin dalla più giovane età, con alcuni componimenti poetici – tra gli altri, nel 1627, Virtutes Urbani VIII Pont. Max. ad modos dictae inter philosophicas Marchionis Sfortiae Pallavicini concertationes in Collegio Romano Societatis Jesu, un’ode pubblicata nel volume di Poesis di Vincenzo Guinigi (Roma, Corbelletti). Agli anni giovanili rimontano alcune prove entro l’orizzonte accademico, fondamentali per comprendere l’avvio della carriera del giovane Pallavicino: nel 1624 pronunciò il Discorso se sia più nobile l’intelletto o la volontà, poi raccolto da Agostino Mascardi nei Saggi accademici dati in Roma nell’Accademia del Serenissimo Prencipe Cardinal di Savoia da diversi nobilissimi ingegni (Venezia, per Bartolomeo Fontana, 1630).
Primo decisivo banco di prova fu la composizione dei Fasti sacri, poema di argomento sacro, lasciato interrotto da Pallavicino nel momento in cui indossò l’abito della compagnia. Nelle opere successive, il gesuita si sarebbe applicato a vari generi ed argomenti: come docente del Collegio Romano, offrì alle stampe un’opera nata per la fruizione degli studenti, la tragedia Ermenegildo martire, pubblicata a Roma, dagli eredi del Corbelletti, nel 1644. A questo periodo di docenza risale la Relazione scritta ad un Amico delle feste celebrate nel Collegio Romano della Compagnia di Giesù per l’anno centesimo dopo la fondazione di essa (Roma, nella stamparia di Lodovico Grignani, 1640). Altri frutti di questa stagione giunsero alle stampe dopo la morte di Urbano VIII, forse per segnare un progressivo allontanamento dalla curia e dalla politica (anche culturale) del pontefice, e si posizionano su latitudini ampie, tali da abbracciare questioni di impostazione teorica relative allo stile e alla forma dialogica e ancora di argomento morale. Nel 1644 fu pubblicato il dialogo Del bene libri quattro, Roma, presso gli eredi di Francesco Corbelletti (due anni dopo disponibile pure in traduzione latina nell’edizione Philosophia moralis, Colonia, Joannem Kinchium, 1646); il trattato sullo stile conobbe più stesure, a partire da una prima redazione, con il titolo Considerazioni sopra l’arte dello stile e del dialogo, uscita a Roma, per gli eredi di Corbelletti, nel 1646, seguita nel 1647 da un’edizione con il nuovo titolo Arte dello stile, ove cercarsi l’idea dello scrivere insegnativo (Bologna, Giacomo Monti) per giungere infine alla forma definitiva, licenziata nel 1662, con il Trattato dello stile e del dialogo (Roma, stamperia del Mascardi).
Al medesimo decennio appartiene un testo dalla evidente natura apologetica, sollecitato dalla pubblicazione, del 1644, del volume di Giulio Clemente Scotti, De Potestate Pontificia in Societatem Jesu: con le Vindicationes Societatis Iesu (Roma, Domenico Manelfi, 1649) Pallavicino prendeva parte alle intense polemiche interne alla compagnia, con una difesa appassionata dell’ordine, arricchita da un vibrante elogio di Galileo e da preziosi pronunciamenti intorno alla cultura letteraria di primo Seicento8.
Applicazione accurata e indefessa dedicò poi al compimento di un’opera di grande respiro, raccogliendo il testimone dal confratello Terenzio Alciati, scomparso nel 1651: già nei decenni precedenti i pontefici avevano espresso in modo chiaro la volontà di predisporre adeguata risposta all’Istoria del concilio tridentino di Paolo Sarpi, avviando trattative con alcuni degli intellettuali più in vista (tra gli altri Girolamo Aleandro, Agostino Mascardi, Giovanni Ciampoli), ma Alciati, cui fu affidato l’oneroso incarico, non riuscì ad andare oltre la raccolta di una grande mole di documenti, in seguito esaminati e sintetizzati da Pallavicino. L’esito di tale attenta disamina, cui attese con solerzia tra il 1652 e il 1654, uscì in due volumi nel 1656 e 1657 (Roma, Angelo Bernabò), con il titolo Istoria del Concilio di Trento, e, in seconda edizione, rivista dall’autore, nel 1664 (Roma, Biagio Diversin e Felice Cesaretti).
In seguito alla nomina cardinalizia Pallavicino si dedicò alla scrittura in modo più saltuario: tra il 1656 e il 1659, forse su richiesta del pontefice, iniziò a stenderne la biografia, rimasta però interrotta e pubblicata solo nel XIX secolo: il volume, edito a Prato presso la Tipografia Giacchetti, uscì con il titolo Della vita di Alessandro VII, nel 1839-40, preceduta da pubblicazioni parziali di alcuni tra i capitoli più significativi (Descrizione del contagio che da Napoli si communicò a Roma, nell’anno 1656, Roma, Collegio Urbano, 1837 e Descrizione del primo viaggio fatto a Roma dalla Regina di Svezia Cristina Maria convertita alla religione cattolica e delle accoglienze quivi avute sino alla sua partenza, Roma, Tip. Salvucci, 1838). L’ultima fatica del cardinale fu invece un’operetta di argomento edificante, l’Arte della perfezion cristiana (Roma, per Angelò Bernabò, 1665), sulla quale si possono trovare numerosi giudizi entro l’epistolario a stampa del cardinale, pubblicato per la prima volta a breve distanza dalla sua morte.

Bibliografia critica

  • Gabriele Baroncini, L’insegnamento della filosofia naturale nei collegi italiani dei Gesuiti (1610-1670): un esempio di nuovo aristotelismo, in La Ratio Studiorum. Modelli culturali e pratiche educative dei Gesuiti in Italia tra Cinque e Seicento, a c. di Gian Paolo Brizzi, Bulzoni, Roma 1981, pp. 163-215: 202-07.
  • Eraldo Bellini, Scrittura letteraria e scrittura filosofica in Sforza Pallavicino, in Claudio Scarpati – Eraldo Bellini, Il vero e il falso dei poeti, Vita e pensiero, Milano 1990, pp. 73-189.
  • Eraldo Bellini, Linguistica Barberiniana. Lingue e Linguaggi nel ‘Trattato dello Stile e del Dialogo’ di Sforza Pallavicino, «Studi Secenteschi», XXXV (1994), pp. 57-104.
  • Clizia Carminati, Il carteggio tra Virgilio Malvezzi e Sforza Pallavicino, «Studi Secenteschi», XLI, 2000, pp. 357-459.
  • Federica Favino, Sforza Pallavicino editore e «galileista ad un modo», «Giornale storico critico della filosofia italiana», 79, 2000, pp. 281-315.
  • Giovanni Baffetti, Un problema storiografico tra Ciampoli e Pallavicino, «Lettere italiane», 56 (2004), pp. 602-617, poi con il titolo Giovanni Ciampoli e Sforza Pallavicino: un problema storiografico, in La retorica, l’ingegno e l’anima. Studi sul Seicento, Pacini, Pisa 2006, pp. 59-74.
  • Eraldo Bellini, Stili di pensiero nel Seicento italiano. Galileo, i Lincei, i Barberini, ETS, Pisa 2009.
  • Silvia Apollonio, Prime ricerche sui “Fasti sacri” di Sforza Pallavicino, «Aevum», LXXXIV, 2010, pp. 767-93.
  • Lorenzo Geri, Gli insegnamenti «civili» della storia religiosa: i «detti sentenziosi» nella ‘Istoria del Concilio di Trento’ di Sforza Pallavicino, «Studi (e testi) italiani», XXVII, 2011, pp. 145-156.
  • Maarten Delbeke, The Art of Religion. Sforza Pallavicino and Art Theory in Bernini’s Rome, Ashgate, Farnham-Burlington (VT) 2012.
  • Silvia Apollonio, Sul nome del Padre (non Pietro) Sforza Pallavicino, «Studi secenteschi», LIV, 2013, pp. 335-34.
  • Federica Favino, Pallavicino, Francesco Maria Sforza, in DBI, vol. 80 (2014).
  • Eleonora Belligni, Il Concilio di Trento tra storia e apologia: Sforza Pallavicino, in Trent and Beyond. The Council, Other Powers, Other Cultures, Turnhout, Brepols, 2017, pp. 61-79.
  • Herman H. Schwedt, Die Römische Inquisition. Kardinäle und konsultoren 1601 bis 1700, Herder, Freiburg 2017, pp. 452-455.
  • Vincenzo D’Angelo, «Senza variar ciò che si diceva»: sulle correzioni linguistiche di Sforza Pallavicino nell’«Istoria del Concilio di Trento», «La lingua italiana», XIV, 2018, pp. 99-116.
  • Pietro Giulio Riga, L’«onesto diletto» della poesia. Note sulla cultura letteraria di Sforza Pallavicino, «La Rassegna della Letteratura Italiana», CXXII, 2018, 1, pp. 5-18.
  • Sforza Pallavicino. Jesuit, thinker and actor in baroque Rome, ed. by Maarten Delbeke, Leiden-Boston, Brill (in preparazione per la collana Jesuit Studies).

Article written by Silvia Apollonio | Ereticopedia.org © 2019

et tamen e summo, quasi fulmen, deicit ictos
invidia inter dum contemptim in Tartara taetra
invidia quoniam ceu fulmine summa vaporant
plerumque et quae sunt aliis magis edita cumque

[Lucretius, "De rerum natura", lib. V]

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