Sangue

Dizionario di eretici, dissidenti e inquisitori nel mondo mediterraneo
Edizioni CLORI | Firenze | ISBN 978-8894241600 | DOI 10.5281/zenodo.1309444


Fin dalle origini dell’umanità, il sangue è recepito come un elemento carico di energie e significati. La sua ambivalente natura di sostanza portatrice di vita e di morte lo pone nell’immaginario collettivo come strumento divinatorio per eccellenza. Dall’Antico Testamento al Nuovo, il sangue rappresenta l’alleanza con Dio e il sacrificio di Cristo per la redenzione dell’umanità. In particolare con il sangue dell'agnello pasquale degli ebrei, per ordine di Dio attraverso Mosè, «aspersero architravi e stipiti delle loro porte nell'imminenza della fuga dall'Egitto e furono risparmiati dalla strage dei primogeniti dell'angelo sterminatore (Es., 12, 7-23). Questo sangue diviene nel cristianesimo, figura di quello che Gesù avrebbe versato sul Golgota per la redenzione degli uomini»1. Come l'antica alleanza del Signore fu sigillata e resa operante col sangue, similmente il nuovo patto con tutti i suoi benefici incomparabili è confermato e reso valido per sempre dal sangue di Gesù. L'alleanza poi diviene testamento con la morte del testatore. Nelle strutture inquisitoriali dell’epoca medievale e in quelle dell’età moderna, la presenza del sangue può essere analizzata su diversi livelli. Sul piano dogmatico, la negazione della transustanziazione è una delle cause che porta alla condanna, da parte della Chiesa, dei vari movimenti ereticali del medioevo (come i catari) e all’istituzione della prima Inquisizione a opera di Gregorio IX (1233). Analogamente, con la Riforma protestante, la negazione della transustanziazione rappresenta uno dei capi di accusa più gravi da parte di tribunali della fede in età moderna (si vedano le bolle di Paolo IV Cum quorundam hominum del 22 luglio 1556 e Cum ex Apostolatus Officio del 15 febbraio 1558, riportate in diversi manuali e testi per inquisitori redatti dalla fine del Cinquecento). Il concilio di Trento ribadisce la dottrina cattolica dell’eucaristia e sancisce la presenza reale del corpo di Cristo e la transustanziazione, colpendone la negazione con l’anatema (sessione IV, 1546).
Per le correnti mistiche e devozionali dal medioevo in avanti il sangue di Cristo e dei martiri assume una carica coinvolgente. Le spinte devozionali verso le reliquie ‘ematiche’ sfociano in ritualità spesso al limite dell’ortodossia. Nella concezione medievale, la pratica dei flagellanti prevede che il sangue di Cristo versato per l’umanità sia ripagato con la ferita del corpo e con la perdita del sangue, secondo tradizioni ‘pagane’ già stigmatizzate nella Scrittura: «non vi farete incisioni sul corpo per un defunto, né vi farete segni di tatuaggio» (Lv, 19, 27). La diffusione del culto del sangue di Cristo e dei santi martiri nell’Europa medievale determina, attorno alla sua venerazione, la formazione di confraternite o di congregazioni ed eccessi di idolatria allarmanti per la Chiesa. Il concilio di Trento (sessioni XXII, XXIV, XXV) disciplina anche questi fenomeni. Con la costituzione apostolica Immensa Aeterni Dei (1588) Sisto V istituisce poi la Congregazione dei Riti, con il compito di valutare se canonizzare o meno i vari movimenti devozionali; ma della santità in epoca moderna si occupa sempre più anche il Sant’Uffizio romano.
Sul versante diabolico, dal XIII secolo in poi si afferma la concezione di Tommaso D’Aquino, che riconosce nella magia e nella stregoneria l’opera stessa del demonio: la strega o lo stregone, per mettere in atto i loro malefici, stipulerebbero un patto di sangue con il diavolo, di cui il marchio rappresenterebbe la prova inconfutabile. Fra le accuse principali mosse alle presunte streghe rientrano l’antropofagia e l’assassinio di neonati, il cui sangue viene bevuto o utilizzato, insieme ad altri elementi, per la preparazione di filtri. Il Malleus maleficarum (1486) accoglie le convinzioni sulla stregoneria che si erano ormai diffuse in gran parte d’Europa, offrendo agli inquisitori un manuale pratico su come individuare le streghe: la presenza di ‘sangui’ particolari può costituire un corpus delicti. La ‘pastella’ del maleficium taciturnitatis, pratica magico-anestetica utilizzata frequentemente dagli inquisiti per sopportare il dolore della tortura, consisterebbe in sangue essiccato di volatili o polvere di cuore animale, e così la descrive Deodato Scaglia nella sua Prattica del 1637. Nel libro degli Experimenti de la Excellentissima Signora da Furlj di Caterina Sforza (trascritto verso il 1525 da Lucantonio Cupparo da Montefalco) si riportano procedure in cui per pacificare marito e moglie bisogna portare addosso un cuore di cornacchia. Nel caso in cui la casa fosse oggetto di maleficio, questa doveva essere cosparsa con sangue di cane. Il sangue è presente come elemento essenziale in tutte quelle pratiche che venivano definite malefiche, ma il suo impiego è frequente anche nelle cure della medicina popolare e nei sortilegi della magia ‘bianca’. Numerosi sono gli incantesimi, trasmessi da maghe e stregoni agli inquisitori operanti in Italia settentrionale fra il Cinquecento ed il Seicento, che si recitano richiamando il sangue di Cristo per scopi terapeutici e liberatori. Simili formule vengono usate in versione latina nelle cure per stanare il sangue delle ferite anche da parte del celebre medico e filosofo Girolamo Cardano (De subtilitate, 1550). Analogamente il vino della messa, nell’accezione di sangue divino, viene impiegato da guaritrici e guaritori per abbassare la febbre e talora per stimolare la produzione del latte alle nutrici: l’abuso della pratica è segnalato nei sinodi diocesani di Piacenza (1589), di Cervia (1577), di Faenza (1589), di Rimini (1577) e di Parma (1589). Il sangue mestruale diviene elemento essenziale nei sortilegi ad amorem. Antiche tradizioni gli attribuiscono diversi poteri, fra cui la forza di ‘legare’. Il suo impiego nelle pratiche magiche per attirare un uomo o una donna ne costituisce l’elemento portante. La pratica era solitamente usata da meretrici verso uomini o clienti desiderati. Negli atti processuali del Sant’Uffizio di Bologna sono riportate diverse descrizioni su come eseguire un sortilegio ad amorem. Elena da Lagio, meretrice bolognese, il 5 settembre 1662 racconta all’inquisitore della città come si dovesse procedere. Si prendeva il sangue mestruale seccato sul fuoco o al sole, lo si avvolgeva in un pezzo di carta e lo si cospargeva di sale e acqua santa procurata da un bambino. Poi lo si battezzava secondo la liturgia cattolica, lo si avvolgeva in un altro pezzo di carta e lo si portava alla messa per tre mattine consecutive. Infine lo si somministrava all’uomo desiderato sciolto nel cibo o in una bevanda, recitando la formula «Tu mangerai e non saprai che, quando Giuda vende Cristo, non possi tu far se non quello che vorrò»2.
Il sangue ha una rilevanza straordinaria nella fondazione dei miti antigiudaici (in particolare dell’accusa di omicidio rituale) e nel giustificare le procedure iberiche di esclusione delle minoranze convertite (accertamento della purezza del sangue).

Bibliografia

  • Gerardina Boni, Andrea Zannotti, Sangue e diritto nella Chiesa: contributo ad una lettura dell’occidente cristiano, Il Mulino, Bologna 2009.
  • Piero Camporesi, Il sugo della vita. Simbolismo e magia del sangue, Mondadori, Milano 1988.
  • Cleto Corrain, Pierluigi Zampini, Documenti etnografici e folkloristici nei sinodi diocesani italiani, Forni, Bologna 1967.
  • Luigi M. Lombardi Satriani, De sanguine, Meltemi, Roma 2000.
  • Giuliana Zanelli, Streghe e societa nell'Emilia e Romagna del Cinque-Seicento, Longo, Ravenna 1992.

Voci correlate

Nota bene

Questa voce è la rielaborazione di un testo originalmente pubblicato in Dizionario storico dell'Inquisizione, diretto da Adriano Prosperi in collaborazione con Vincenzo Lavenia e John Tedeschi, Edizioni della Normale, Pisa 2010, vol. 3, pp. 1364-1365.

Article written by Gian Luca D'Errico | Ereticopedia.org © 2014

et tamen e summo, quasi fulmen, deicit ictos
invidia inter dum contemptim in Tartara taetra
invidia quoniam ceu fulmine summa vaporant
plerumque et quae sunt aliis magis edita cumque

[Lucretius, "De rerum natura", lib. V]

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