Ottica a Napoli nel Rinascimento

Dizionario storico delle scienze naturali a Napoli dal Rinascimento all’Illuminismo


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L'Ottica a Napoli nel Rinascimento

Introduzione

Come in molti altri campi della scienza, anche nell'ottica la tradizione araba influenza profondamente il pensiero degli autori latini medievali e rinascimentali, orientandone gli sviluppi lungo alcune direttrici principali; in particolare, è possibile evidenziare quattro linee di influenza.
La prima, che può essere definita euclidea, si basa sugli insegnamenti di Ya῾qūb al-Kindī (m. 870 ca.), che ci sono pervenuti soltanto attraverso la traduzione latina di una sua opera intitolata Liber de causis diversitatum aspectus, nota come De aspectibus. La seconda, che è una diramazione della prima, è rappresentata da un certo numero di opere greche filtrate nella tradizione latina direttamente dall'arabo, tra le quali la più significativa è senza dubbio l'Ottica di Tolomeo, tradotta dall'arabo in latino verso la metà del XII secolo. La terza linea d'influenza è quella originata dalla scuola galenica di studi anatomici e fisiologici di cui facevano parte gli scritti di Ḥunayn ibn Isḥāq (noto nel mondo latino come Johannitius, m. 873) sull'anatomia e la fisiologia oculare, e vari trattati, fra i quali il Canone di Avicenna e i commentari di Averroè al De anima di Aristotele, dove la teoria aristotelica della percezione è interpretata nei termini della fisiologia pneumatica di Galeno. Infine, la quarta linea d'influenza, quella che esercita il maggiore influsso sullo sviluppo dell'ottica occidentale medievale e rinascimentale, è riconducibile al Kitāb al-Manāẓir (Libro dell'ottica) di Ibn al-Hayṯam (m. 1040 ca.). Quest'opera, tradotta in latino intorno al 1200 sempre con il titolo di De aspectibus, svolge un ruolo fondamentale nell'evoluzione della tradizione ottica nota come perspectiva, che prende corpo negli scritti di Ruggero Bacone (1265 ca.), Witelo (1275 ca.) e Giovanni Peckham (1280 ca.).

Francesco Maurolico da Messina

Francesco Maurolico da Messina (1494-1575), nei Grammaticorum rudimentorum libelli sex (1528), nell'Index lucubrationum (completato nel 1568) e nella lettera dedicatoria al cardinale Bembo posta all'inizio della sua Cosmographia (1558), fornisce un lungo elenco delle sue opere, tra cui quelle di perspectiva (egli usa ancora questo termine medievale per 'ottica').

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Egli afferma di avere raccolto tutto il materiale esistente, anche quello riguardante la perspectiva, e di averlo rielaborato e fatto progredire. Con questo intento scrive la sua prima opera di ottica, sulla propagazione diretta e sulla riflessione, intitolata Photismi de lumine et umbra ad perspectivam et radiorum incidentiam facientes, ordinata per definizioni, supposizioni e teoremi. Essa è edita a Napoli nel 1611, nell’editio princeps ABBATIS // FRANCISCI MAVROLYCI // MESSANENSIS. // PHOTISMI DE LVMINE, // & vmbra ad perspectiuam, & radiorum // incidentiam facientes. // DIAPHANORVM PARTES, // seu Libri tres: in quorum primo de perspicuis cor- // poribus. in secundo de Iride: in tertio de or- // gani visualis structura, et conspi- // ciliorum formis agitur. // PROBLEMATA AD PERSPECTIVAM, // & Iridem pertinentia. // Omnia nunc primum in lucem edita. // [marchio tipograficol // // NEAPOLI, // Ex Typographia Tarquinij Longi. M. DC. XI. // SVPERIORVM PERMISSV.
Le definizioni generali riflettono l’impostazione di Ibn al-Hayṯam, in quanto si ritiene che da ogni punto dei corpi luminosi detti 'lucidi' il lumen irraggi secondo la linea retta. Il lucido si definisce o come luminoso per sé stesso (il Sole) o per altro (come il lumen ricevuto dalla Luna). L'ombra è assenza di lumen.
A questa prima opera ne segue una seconda dal titolo De diaphanis, divisa in tre libri, che tratta della rifrazione in generale con tutti i suoi fenomeni, l'arcobaleno e l'anatomia dell'occhio. Maurolico, che non parla di species ma di punti raggianti, sostanzialmente riprende la dottrina di Ibn al-Hayṯam secondo la quale la luce con tutti i suoi fenomeni di propagazione esiste indipendentemente dall'occhio, mentre l'occhio che vede ha regole sue proprie di recezione meccanica della luce e di psicologia della percezione. Così, nel De diaphanis, edito insieme ai Photismi, Maurolico tratta dei corpi perspicui, cioè trasparenti (in modo minore o maggiore e quindi anche opachi), avvicinandosi a Ibn al-Hayṯam e allontanandosi invece da Aristotele. Per quest'ultimo, il diafano era il mezzo fisico senza particolari caratteristiche ottiche, anzi era il fondamento della teoria del moto successivo del continuo. Maurolico, invece, considera il diafano in modo ottico, secondo le leggi della riflessione e della rifrazione della luce del Sole in mezzi come l'aria, l'acqua, il vetro o le lenti composite. In tali mezzi, in base alle loro differenti caratteristiche di densità, opacità e trasparenza, si hanno propagazioni diverse dei raggi luminosi, retti, riflessi o variamente deviati rispetto alla perpendicolare incidente.
Nel De diaphanis, Maurolico segue apparentemente la divisione tradizionale in tre parti della perspectiva, anche se in realtà la trasforma, poiché l'arricchisce di una parte, la terza, riguardante la fisiologia dell'occhio. Questa sezione, che sembra improntata all'anatomia di Ibn al-Hayṯam, è stata rivista secondo le concezioni del medico di Bruxelles Andrea Vesalio, come lo stesso Maurolico dichiara alla fine dell'opera. Nel Libro II, sull'iride o arcobaleno, egli sostiene di essere stato il primo a spiegare perché il raggio solare passando per qualunque foro si presenta in forma circolare, cosa che chiarisce la ragione della rotondità e del colore diverso dell'iride. Questa spiegazione, sostiene Maurolico, non fu conosciuta prima dall'autore della perspectiva vulgata (cioè comune), Peckham.
Il De diaphanis è seguito da una serie molto interessante di Problemata ad perspectivam et iridem spectantes, in cui Maurolico passa in rassegna molte delle principali questioni dell'ottica medievale e del suo tempo, come le seguenti: perché la prospettiva non può essere divisa in quattro parti invece di tre (e qui egli riassume gli argomenti fondamentali dei sette libri del De aspectibus di Ibn al-Hayṯam); perché lo studio dell'ottica è difficile; perché sono difficili le dimostrazioni; qual è la causa dell'iride (l'arcobaleno); perché i colori fondamentali dell'iride sono quattro; e numerosi altri quesiti.
Il contributo di Maurolico alla spiegazione dell'arcobaleno, secondo quanto lui stesso afferma, è consistito essenzialmente in un recupero della dottrina di Ibn al-Hayṯam e di Teodorico di Vriberg (1240 ca.-1311), a partire dalla quale ha sviluppato un modo per arrivare alla comprensione della forma a semicircolo dell'iride, insistendo sui fenomeni misti di rifrazione e di riflessione su corpi sferici quali le piccole gocce di acqua della pioggia. L'iride avviene per rifrazione di raggi del Sole riflessi "tamquam a superficie convessa et concava" in piccole gocce sferiche. Di conseguenza, nel teorema XXX, egli polemizza con le spiegazioni di alcuni studiosi che erano ritornati alla dottrina dei Meteorologica di Aristotele spiegando l'iride come solo fenomeno della riflessione. Le difficoltà nella spiegazione dell'iride riguardavano soprattutto la forma a semicircolo dei colori dell'arcobaleno e la forma sferica delle gocce d'acqua entro e fuori delle quali avvenivano i fenomeni ottici dell'arcobaleno: "huiusmodi refractio fit in circumferentia circuli, ideoque circularis apparet. Hinc patet illorum stultitia, qui non attendentes similes iridis colores ad aequale infractionum anguli undique oportet inflecti eius rotunditatis causam a nubis concavitate querunt" (De diaphanis, teorema XXV). Ibn al-Hayṯam, nei Libri V, VI e VII del De aspectibus, aveva fornito molti elementi per spiegare le regole della riflessione e della rifrazione in corpi sferici trasparenti, concavi e convessi, come potevano essere le piccole gocce di acqua dell'arcobaleno, in sezione meridiana di un cerchio quando al suo orlo arrivava un fascio di raggi paralleli, poi su un cilindro rettangolare retto e così via.

Giovan Battista Della Porta

Anche Giovan Battista Della Porta è debitore delle concezioni di Ibn al-Hayṯam, sia per gli argomenti del Libro XVII della sua Magia naturalis, nell'ultima edizione del 1589, sia per il contenuto del De refractione (1592).

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Alcuni importanti riferimenti a Ibn al-Hayṯam sono presenti nel De aeris transmutationibus, nel quale l'autore dichiara esplicitamente di aderire alla teoria ottica del filosofo arabo, spiegando con essa i fondamenti visivi di alcuni aspetti della sua meteorologia. L’interesse di Della Porta per la perspectiva è confermato anche dall’utilizzo di una letteratura scientifica temporalmente a lui più vicina, come l’Institutionum geometricarum libri quatuor di Albrecht Dürer.
Della Porta tratta della costruzione delle lenti spiegando i diversi ingrandimenti, rimpicciolimenti e deformazioni delle immagini attraverso una piccola sfera cristallina o lenticchia di diversa curvatura, secondo quanto era noto anche in base alle regole di incidenza e deviazione stabilite da Ibn al-Hayṯam nei Libri VI e VII del De aspectibus; questi aveva studiato tali fenomeni anche in una palla cristallina e ne aveva parlato in un'opera a sé. Della Porta sviluppa un'altra idea di Ibn al-Hayṯam, secondo il quale l'occhio è come uno strumento ottico di forma sferica con un piccolo foro di apertura che fa passare un solo raggio visivo luminoso, chiaro e distinto (il perpendicolare) attraverso un filtro che è il cristallino; ed elabora così la camera oscura. L'impianto dell'ottica di Della Porta è sia sperimentale sia di osservazione, come già era stata in buona parte la trattazione di Ibn al-Hayṯam, in cui lo scienziato di ottica era ritenuto un 'esperimentatore' che si basa sull'osservazione (i῾tibār).
Alcuni capitoli dei primi libri della Magia naturalis, che sono dedicati alle spiegazioni ottiche di fenomeni meravigliosi, rientravano nella tradizione scientifica di spiegazione ottico-razionale matematica dei cosiddetti fenomeni di incantationes o illusione visiva. Infatti, gli studiosi latini di perspectiva, soprattutto nei secc. XIV e XV, avevano fornito alcune spiegazioni di tali fenomeni escludendo qualunque azione sovrannaturale, come Pelacani e molti filosofi e scienziati del XVI sec., tra cui Pietro Pomponazzi (1462-1525), che nel suo De incantationibus era ricorso alle regole dell'ottica geometrica.
Gran parte della terminologia di Della Porta risale alla tradizione latina di Ibn al-Hayṯam. Questi aveva affermato, per esempio, nel proemio del suo Libro VI dedicato alla riflessione speculare, che egli avrebbe trattato gli errori (le deformazioni) delle immagini che derivavano dalla dipendenza della forma degli specchi. Infatti, per la riflessione ‒ scrive ‒ non si comprende la verità delle forme, così, negli specchi concavi l'immagine della figura appare distorta; per questo egli spiegherà in questo libro il 'modo' (modus) dell'errore in dipendenza dalle figure geometriche degli specchi e dalla mescolanza dei colori sulla superficie degli specchi. Il termine latino 'errore' (error) è sostituito qualche volta con 'fantasma' (phantasma) e molto spesso con 'allucinazione' (allucinatio) delle immagini degli specchi. In Della Porta ritroviamo molti di questi termini, soprattutto quando lo scienziato si pone alcuni interrogativi: per esempio, nei primi libri della Magia naturalis si domanda perché in uno specchio piano si vedano la testa in basso e i piedi in alto; perché appaiono figure gialle o bianche come spettri variamente colorati (ciò dipende dalla colorazione di fondo dello specchio); oppure perché una figura risulti deforme (e ciò a causa della superficie irregolare dello specchio). Egli esamina anche come ottenere ingrandimenti di lettere che si possono produrre mediante uno specchio piano e uno concavo; e come sia possibile vedere oggetti sospesi in aria combinando uno specchio piano e uno concavo. Si tratta di un'esperienza ottica simile a quella di cui aveva già parlato Pelacani nel suo Libro III delle Quaestiones perspectivae, dove aveva spiegato con fenomeni di riflessione dei raggi del Sole un'apparizione meravigliosa che era stata vista per tre giorni consecutivi nel cielo di Busseto presso Parma nell'anno 1403.
L'idea fondamentale della lente costruita come una palla cristallina o semisfera (lenticchia) di diversa curvatura può essere stata suggerita a Della Porta dalle opere di Ibn al-Hayṯam, che aveva dedicato molti studi ai fenomeni di riflessione e di passaggio della luce in palle cristalline sferiche; in particolare, nel suo De speculis comburentibus aveva già trattato l'aberrazione sferica longitudinale. Le spiegazioni meccaniche della riflessione e della rifrazione date da Ibn al-Hayṯam sono state messe in pratica da Della Porta anche senza poterne dare una giustificazione matematica. Soprattutto nel De refractione, egli studia una palla cristallina sottoposta ai raggi del Sole considerando sia la sua superficie convessa sia quella concava, come aveva già fatto Ibn al-Hayṯam; Della Porta nel Libro XVII della Magia naturalis pone l'occhio a guardare entro la sferetta e sviluppa un lungo studio sulle immagini quali si vedono attraverso questa lenticchia. Per questo motivo egli si vanta di avere scoperto il cannocchiale, disputandone l’invenzione a Galileo.

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ARTICLE WRITTEN BY GRAZIELLA FEDERICI VESCOVINI | STORIADELLACAMPANIA.IT © 2020

Hinc felix illa Campania est, ab hoc sinu incipiunt vitiferi colles et temulentia nobilis suco per omnis terras incluto, atque (ut vetere dixere) summum Liberi Patris cum Cerere certamen. Hinc Setini et Caecubi protenduntur agri. His iunguntur Falerni, Caleni. Dein consurgunt Massici, Gaurani, Surrentinique montes. Ibi Leburini campi sternuntur et in delicias alicae politur messis. Haec litora fontibus calidis rigantur, praeterque cetera in toto mari conchylio et pisce nobili adnotantur. Nusquam generosior oleae liquor est, hoc quoque certamen humanae voluptatis. Tenuere Osci, Graeci, Umbri, Tusci, Campani.
[Plinius Sen., "Nat. Hist." III, 60]

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