Serchia, Maddalena

Dizionario di eretici, dissidenti e inquisitori nel mondo mediterraneo
Edizioni CLORI | Firenze | ISBN 978-8894241600 | DOI 10.5281/zenodo.1309444


Maddalena Serchia, guaritrice di Certaldo, nacque intorno al 1560.
Rimasta vedova, sola e priva di mezzi, fu costretta a ricorrere alla magia terapeutica e al vagabondaggio. Come accadeva di sovente alle empiriche, fu accusata, nel 1625, di avere colpito con una malattia incurabile Alessandro Ridolfi, il figlio minore di Niccolò Ridolfi, cavaliere di Santo Stefano e potente nobile locale.
Le prime ipotesi di maleficio furono avanzate da Giovanni Massetani, medico condotto di San Gimignano, tempestivamente chiamato dal Ridolfi e incapace, nonostante i molti tentativi, di guarire il bambino. L'anormalità dei sintomi, la repentinità del decorso della malattia e, soprattutto, l'impossibilità di intervenire con successo gli fecero sospettare di trovarsi in presenza di una fattura.
Pochi giorni dopo, Mario Ricci, esorcista della diocesi di Firenze e priore del carcere fiorentino delle Stinche, visitò Alessandro, confermò la teoria del medico e suggerì al cavaliere di rivolgersi senza indugio a Giovanni Serrantelli, noto e stimato guaritore, conosciuto dalle popolazioni locali come lo “stregone di Casale”.
Serrantelli, giunto a Certaldo e valutate le condizioni fisiche del bambino, indicò come responsabile del sortilegio la persona che fosse uscita per ultima di chiesa la domenica seguente. A varcare per ultima la soglia della canonica fu proprio Maddalena Serchia, che fu sequestrata dalle guardie del cavaliere, condotta presso le segrete del suo palazzo e torturata a lungo nel tentativo di farle annullate il maleficio.
Maddalena si difese dalle accuse implorando di essere lasciata andare per recarsi in chiesa a pregare la Madonna, a suo avviso valido ausilio per la guarigione dei malati. Dal momento che, nonostante le suppliche alla Vergine, la situazione era rimasta invariata, la Serchia fu nuovamente condotta nelle cantine di Palazzo Ridolfi e, dopo alcuni giorni di reclusione, a sua volta accusò del sortilegio un'altra donna, cioè Caterina detta “La Monca”, anch'ella anziana mendicante, piuttosto mal vista in paese.
In breve tempo, nei sotterranei di Palazzo Ridolfi venne portata anche Caterina che, dopo un serrato confronto con Maddalena, la convinse a curare il bambino col recitare alcune formule magiche per indurne la guarigione che si verificò in tempi brevi.
Sebbene la vicenda si fosse risolta, Maddalena venne denunciata pochi giorni dopo da Piero Corzani, cocchiere di Niccolò Ridolfi, quindi arrestata con l'accusa di stregoneria.
A quel punto, nel luglio del 1625 si aprì a suo carico un processo per maleficio condotto dal canonico fiorentino Niccolò Cini, poi bruscamente interrotto ad ottobre per il probabile venire meno delle accuse.
Singolare il fatto che a condurre l'istruttoria sia stato un canonico del duomo di Firenze e non un inquisitore francescano come sarebbe stato consueto. Con ogni probabilità si trattava del tentativo di coprire con un'inchiesta per stregoneria, condotta per giunta da una persona vicina al cavaliere, il reato di sequestro di persona compiuto dal Ridolfi.
Tra i molti testimoni ascoltati da Cini, quasi nessuno, ad eccezione della nuora, si schierò dalla parte dell'imputata: il disprezzo e l'isolamento al quale i suoi concittadini l'avevano relegata avevano innescato un meccanismo di sospetti che portò ad accusare facilmente la Serchia di una serie di malefici - moria del bestiame; rovina del raccolto; decessi improvvisi di familiari - mettendo in luce le particolari tensioni sociali presenti a Certaldo sullo sfondo della crisi del Seicento.
In particolare, i testimoni riferirono più volte al giudice sulle frequenti richieste di elemosina e di cibo avanzate dalla sospettata, tuttavia raramente accolte: le liti che spesso ne scaturirono alimentarono i sentimenti di ostilità nei suoi confronti.
Singolare e controversa, l'inchiesta a carico di Maddalena Serchia è da definirsi un caso di stregoneria paradigmatico dal momento che vide il coinvolgimento di un'imputata corrispondente allo stereotipo della strega di prima età moderna; infatti, elementi come l'età avanzata, l'indigenza e lo stato di vedovanza sono stati considerati dalla letteratura specifica le caratteristiche sociali e culturali che spesso caratterizzavano le donne accusate di stregoneria nell'Europa d'antico regime.
Infine, il contesto extra-urbano della vicenda e il sistema di accuse e di sospetti che si era generato tra le popolazioni locali rendono la vicenda importante per comprendere sia il funzionamento della stregoneria sia il fenomeno della caccia alle streghe.

Bibliografia

  • Adriano Prosperi, Inquisitori e streghe nel Seicento fiorentino, in Franco Cardini (a cura di), Gostanza, la strega di San Miniato, Laterza, Roma-­Bari 2001, pp. 217­-248.
  • Domizia Weber, Il genere della stregoneria. Il caso di Maddalena Serchia e Giovanni Serrantelli, Lalli, Poggibonsi (SI) 2011.
  • Daniele Santarelli, Domizia Weber, Stereotipi e anomalie nella caccia alle streghe in età moderna. Alla ricerca di un modello prosopografico, in “Rivista di Storia della Chiesa in Italia”, LXXV/2, 2021, pp. 521-533.

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Article written by Domizia Weber | Ereticopedia.org © 2014-2021

et tamen e summo, quasi fulmen, deicit ictos
invidia inter dum contemptim in Tartara taetra
invidia quoniam ceu fulmine summa vaporant
plerumque et quae sunt aliis magis edita cumque

[Lucretius, "De rerum natura", lib. V]

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