Dolce, Lodovico

Dizionario di eretici, dissidenti e inquisitori nel mondo mediterraneo
Edizioni CLORI | Firenze | ISBN 978-8894241600 | DOI 10.5281/zenodo.1309444


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Lodovico Dolce (Venezia, 1508 - Venezia, 1568) è stato un poligrafo e collaboratore editoriale.

Vita e opere

Lodovico Dolce nasce a Venezia, nel 1508 (o 1510), da una famiglia di antica nobiltà decaduta. Rimasto orfano del padre a soli due anni, ha la possibilità di frequentare lo Studio di Padova e portare a compimento la propria formazione letteraria grazie alla protezione di due importanti famiglie patrizie lagunari, i Loredan e i Cornaro. Viste le precarie condizioni economiche non può che mettere a frutto, una volta tornato nella città natale, le acquisite competenze letterarie: diviene pertanto collaboratore editoriale presso varie e più o meno prestigiose officine tipografiche anche se, con il passare del tempo, la sua collaborazione con la Fenice (la stamperia facente capo a Gabriel Giolito de’ Ferrari) tende a farsi sempre più stabile ed esclusiva fino a configurarsi come un’attività professionale ‘a tempo pieno’, protrattasi con notevole continuità per circa un trentennio. Straordinaria la mole di lavoro svolta da Dolce in questi anni e che vede il suo nome comparire, a vario titolo (autore, curatore, volgarizzatore, traduttore…) in ben 358 edizioni.
È probabilmente in virtù delle molteplici frequentazioni legate alla propria attività che il letterato veneziano viene in contatto con alcuni dei nuclei filoriformati segretamente attivi, e prosperanti, nei territori della Serenissima.
Un primo indizio relativo alla possibilità di una scelta in senso eterodosso ci viene fornito da Dolce medesimo, che in una lettera del marzo 1545 indirizzata a Paolo Manuzio parla dell’invio di un sonetto come prova dell’avvenuta “conversione”. Sebbene non sia stato possibile identificare la lirica in questione, è tuttavia assai probabile che si tratti di uno dei 18 sonetti spirituali confluiti nella raccolta giolitina del ’47 intitolata Rime di diversi. In questi componimenti di argomento religioso, solo apparentemente pervasi da una generica spinta riformatrice, il letterato veneziano riesce infatti nel difficile compito di fornire la prudente e tuttavia esplicita testimonianza di un cristianesimo riletto alla luce delle incalzanti posizioni riformate. E la presenza, all’interno della suddetta silloge, di un gruppo di autori che intervengono con testi più o meno ‘esposti’ in senso eterodosso (Paolo Crivello, Ludovico Domenichi, Veronica Gambara, Giacomo Marmitta, Girolamo Parabosco), permette di ricostruire una sorta di criptato ‘dialogo tra eletti’ in cui Dolce sembra assumere il ruolo – inedito – di ‘maestro spirituale’ e imprescindibile punto di riferimento in materia di fede.
Negli anni cruciali della “conversione” il letterato veneziano sta inoltre lavorando al Dialogo della intitution delle donne, opera a suo tempo stigmatizzata da Girolamo Ruscelli come piratesca trasposizione del De institutione foeminae Christianae di Juan Luis Vives. Nel passaggio dalla redazione del ’45 (in cui si ha l’impressione che l’impianto complessivamente erasmiano dell’opera dell’umanista spagnolo cominci a vacillare sotto la spinta delle idee luterano/calviniste) a quella del ’47 (ormai in grado di veicolare tutta una serie di contenuti esplicitamente eterodossi culminanti nell’idea di chiesa universale, di palese matrice riformata) Dolce riesce a fornire un’immagine nitida e coraggiosa della propria collocazione in campo teologico.
Collocazione che traspare al di là di ogni ragionevole dubbio dalla satira Da Dio mandato a i duri tempi nostri (contenuta nel volume Sette libri di satire pubblicato nel ’60 da Francesco Sansovino), allorché la Chiesa di Roma viene definita nei termini difficilmente equivocabili di “scola d’errori e tempio d’heresia”.
Ma è alla ricca produzione drammatica (la prima tragedia – l’Hecuba – è del ’43; l’ultima – Le Troiane – del ’67, per un totale di 8 titoli) che il letterato veneziano sembra voler affidare la più complessa e approfondita testimonianza di un tormentato cammino interiore. Veri e propri drammi della predestinazione, queste originali riletture dei principali miti classici (in particolare Hecuba, Didone, Giocasta, Ifigenia) appaiono infatti dominate da una ferrea “Necessità” che costringe l’uomo – totalmente asservito al “Fato” e dunque, in sostanza, non libero – all’interno di una visione profondamente antiumanistica in cui “ingegno e virtù” cedono costantemente ai colpi di “Fortuna”. Questo al fine di svalutare, con Lutero, lo strumento eminentemente umano della “ragione” a vantaggio della Provvidenza; e per mettere sulla scena un’inquietante teoria di innocenti ingiustamente perseguitati nei quali i tanti ‘confratelli’ – a loro volta perseguitati, ma per motivi religiosi – avrebbero potuto facilmente riconoscersi.
Una simile impostazione sembra permanere anche nell’ultima produzione tragica del letterato veneziano, nonostante il drammatico mutare dei tempi: il ‘terremoto’ causato dalla denuncia Manelfi; il susseguirsi degli Indici dei Libri Proibiti; l’instaurarsi della “Decima regola”; i processi riguardanti questioni di stampa in cui sia Dolce che Gabriel Giolito de’ Ferrari si trovano ad essere direttamente o indirettamente coinvolti rendono infatti oltremodo pericolosa – tra gli anni ’50 e gli anni ’60 del Cinquecento – ogni forma di personale esposizione in senso eterodosso.
Per la verità il letterato veneziano, che dovette rendersi perfettamente conto della nuova temperie culturale, nella Marianna (1565) e nelle Troiane (1567) mette in campo un esibito quanto sospetto ‘ritorno all’ordine’: da una ‘tragedia della Necessità’, dunque, a una ‘tragedia delle passioni’, in linea con la stragrande maggioranza della produzione drammatica coeva che spostando nell’aldilà il problematico rapporto colpa/pena punta a salvare, assieme alla responsabilità dell’uomo, l’infinita giustizia di Dio.
E tuttavia anche queste opere – ben oltre le dichiarazioni di principio, necessariamente caute – continuano a essere popolate da personaggi inquietanti (Marianna, la madre e i figli di lei, Polissena, Astianatte: tutti sconfitti, eppure tutti assolutamente privi di colpa) e che per la prima volta – anche se molto timidamente – fanno uso di termini quali “grazia” o “eletti”, in precedenza evitati. Come se Dolce, dopo essersi messo prudentemente ‘al sicuro’ (e non solo nelle tragedie: in questo senso sembra muoversi l’insieme della produzione del letterato veneziano dal finire degli anni ‘50), volesse – e potesse – dirci qualcosa di più: è vero, è Dio a chiedere un tributo di sofferenza così alto a chi è senza “peccato”, ma se siamo stati chiamati al dolore nonostante la nostra innocenza, come possiamo non leggere in questa chiamata il segno dell’elezione e, dunque, della salvezza?
A questo punto si tratta, è chiaro, di suggestioni: poco più che spunti in grado di emergere a tratti dalla marea dilagante di un cupo revival cattolico a cui anche questo infaticabile poligrafo, sul finire della propria esistenza, si era probabilmente arreso.
Ma se letta in chiave ‘martirologica’ l’ultima produzione tragica di Dolce può forse rappresentare un estremo, caparbio tentativo di intrattenere un dialogo (ovviamente ‘criptato’) con gli ormai delusi e sconfitti confratelli, nell’ambito di una drammaturgia che appare intimamente contesa tra la constatazione di una bruciante sconfitta nella storia e – in una sorta di ‘fuga’ dalla storia – la proposta di un inedito messaggio di speranza.

Testi

  • Lodovico Dolce, La Hecuba. Tragedia […] tratta da Euripide, Giolito, Venezia 1543.
  • Id., Thyeste. Tragedia […] tratta da Seneca, Giolito, Venezia 1543.
  • Id., Dialogo […] della institution delle donne. Secondo li tre stati, che cadono nella vita humana, Giolito, Venezia 1545.
  • Id., Dialogo della institution delle donne […] nuouamente ricorretto, et ampliato, Giolito, Venezia 1547.
  • Rime di diversi nobili huomini et eccellenti poeti nella lingua thoscana. Libro secondo, Giolito, Venezia 1547.
  • Lodovico Dolce, Didone, in casa de’ figliuoli di Aldo, Venezia 1547.
  • Id., Giocasta, Aldi Filii, Venezia 1549.
  • Id., Ifigenia, Giolito, Venezia 1551.
  • Id., La Medea, Giolito, Venezia 1557.
  • Id., Da Dio mandato a i duri tempi nostri, in Sette libri di satire, Sansovino, Venezia, 1560.
  • Id., Marianna, Giolito, Venezia, 1565.
  • Id., Le Troiane, Giolito, Venezia 1567.

Studi su Lodovico Dolce

  • Emmanuele Antonio Cicogna, Memoria intorno la vita e gli scritti di Messer Lodovico Dolce letterato veneziano del secolo XVI, (Estr. dal Volume XI delle “Memorie dell’I. R. Istituto Veneto di Scienze, Lettere ed Arti”, 1862), Antonelli, Venezia 1863.
  • Giovanna Romei, voce Dolce, Lodovico, in Dizionario Biografico degli Italiani, vol. XL, Istituto dell’Enciclopedia Italiana, Roma 1991.
  • Stefano Tomassini, L’abbaino veneziano di un “operaio” senza fucina, in Lodovico Dolce, Didone: tragedia, a cura di Stefano Tomassini, Archivio Barocco, Edizioni Zara, Parma 1996.
  • Renzo Cremante,.Nota introduttiva a Lodovico Dolce, Marianna, in Teatro del Cinquecento. La tragedia, a cura di Renzo Cremante, Ricciardi-Mondadori, Milano-Napoli 1997, t. II, pp. 731-739.
  • Anne Neuschäfer., Lodovico Dolce als dramatischer Autor im Venedig des 16. Jahrhunderts, V. Klostermann, Frankfurt am Main 2004.
  • Francesco Spera, Nota critica a Lodovico Dolce, Medea, Edizioni RES, Torino 2005, p. 113.
  • Stefano Giazzon., Venezia in coturno. Lodovico Dolce tragediografo (1543-1557), Aracne, Roma 2011.
  • Susanna Villari, Introduzione a Lodovico Dolce, Marianna, Edizioni RES, Torino 2011.
  • Per Lodovico Dolce. Miscellanea di studi, vol. I: Passioni e competenze del letterato, a cura di Paolo Marini e Paolo Procaccioli, Vecchiarelli editore, Manziana 2016.
  • Antonio Ballerini, “L’innocente langue e ragion cerca invano”: il mito attraverso lo sguardo degli sconfitti nelle tragedie ‘riformate’ di Lodovico Dolce, Edizioni CLORI, Firenze 2021.

Studi sul periodo

  • Andrea Del Col, Note sull’eterodossia di Fra Sisto da Siena. I suoi rapporti con Orazio Brunetto e un gruppo veneziano di “spirituali”, in “Collectanea Franciscana”, XLVII, 1977, pp. 27-64.
  • Amedeo Quondam, “Mercanzia d’onore” / “Mercanzia d’utile”. Produzione libraria e lavoro intellettuale a Venezia nel Cinquecento, in Libri, editori e pubblico nell’Europa moderna, a cura di Armando Petrucci, Laterza, Bari 1977.
  • Paolo Simoncelli, Evangelismo italiano del Cinquecento. Questione religiosa e nicodemismo politico, Istituto Storico Italiano per l’Età Moderna e Contemporanea, Roma 1979.
  • Paul F. Grendler, L’inquisizione romana e l’editoria a Venezia: 1540–1605, Il Veltro, Roma 1983.
  • Claudia Di Filippo Bareggi, Il mestiere di scrivere: lavoro intellettuale e mercato librario a Venezia nel Cinquecento, Bulzoni, Roma 1988.
  • Gigliola Fragnito, La Bibbia al rogo. La censura ecclesiastica e i volgarizzamenti della Scrittura (1471-1605), Il Mulino, Bologna 1997.
  • Massimo Firpo, Juan de Valdés e la Riforma nell’Italia del Cinquecento, Editori Laterza, Roma-Bari 2016.
  • Gigliola Fragnito, Rinascimento perduto: la letteratura italiana sotto gli occhi dei censori (secoli XV-XVII), il Mulino, Bologna 2019.

Article written by Antonio Ballerini | Ereticopedia.org © 2022

et tamen e summo, quasi fulmen, deicit ictos
invidia inter dum contemptim in Tartara taetra
invidia quoniam ceu fulmine summa vaporant
plerumque et quae sunt aliis magis edita cumque

[Lucretius, "De rerum natura", lib. V]

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