Sozzini, Lelio

Dizionario di eretici, dissidenti e inquisitori nel mondo mediterraneo
Edizioni CLORI | Firenze | ISBN 978-8894241600 | DOI 10.5281/zenodo.1309444


Lelio Sozzini o Socini (Siena, 1525 - Zurigo, 14 maggio 1562) è stato un teologo antitrinitario, esule religionis causa.

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Biografia

Figlio del noto giureconsulto Mariano Sozzini il Giovane (1482-1556) e di Camilla Solvetti, Lelio nacque a Siena nel 1525 e trascorse la sua infanzia tra la città natale e Padova, dove il padre era stato chiamato proprio in quell’anno a insegnare Diritto civile.
Nel vivace ambiente patavino, entrò in contatto con diversi intellettuali, molti dei quali sarebbero poi stati inquisiti dal Sant’Uffizio per eresia, come emerge chiaramente dalla testimonianza resa spontaneamente da Giulio Basalù all’inquisizione veneziana nel 15551 e dai processi coevi avvenuti in quell’area; con ogni probabilità, fu proprio in questo ambiente che, durante l’adolescenza, si avvicinò alle questioni di fede, maturandole in chiave eterodossa2. Il trasferimento del padre allo Studio di Bologna, avvenuto nel 1543, portò poi il giovane Lelio ad allargare la propria cerchia di amicizie. In questi anni affinò le proprie conoscenze, leggendo (e in alcuni casi diffondendo) i testi del medico antitrinitario Michele Serveto, dell’ex vicario generale dei cappuccini Bernardino Ochino, dell’esule siciliano Paolo Ricci, alias Camillo Renato; inoltre, viaggiò spesso tra la Toscana, l’Emilia e il Veneto, come testimoniano le attestazioni della sua presenza in diversi luoghi: fu a Siena, dove nel 1544 insospettì l’inquisitore locale per via di alcune discussioni avute, assieme ad altri giovani, in merito all’autorità dei concili e della Chiesa e ai fondamenti scritturistici e patristici del culto dei santi (per cui dovette abbandonare la città sul finire dell’anno)3, a Padova, dove studiò giurisprudenza interessandosi, però, sempre più alla teologia, e a Bologna, dove nel 1547 si rese protagonista di un fatto clamoroso, mettendosi a «disputare», assieme ad alcuni amici (tra cui Ulisse Aldrovandi e Annibale da Monterenzio), contro i padri conciliari che si erano trasferiti lì da Trento; quest’ultimo avvenimento lo costrinse a fuggire non solo da Bologna, ma dall’intera penisola italiana, divenendo così un esule pro religionis causa.
Da allora il giovane senese viaggiò per l’Europa in lungo e in largo: stando a una lettera scritta da Nikolaus Maier nell’ottobre del 1548 a Ulrico e Cristoforo del Württenberg, andò prima ad Augusta, poi a Strasburgo, a Basilea, in Inghilterra, a Parigi e quindi di nuovo in Svizzera, a Ginevra e a Zurigo, dove si stabilì principalmente, entrando così in contatto con i maggiori esponenti della Riforma e ritornando in Italia solo nel 1552 e nel 1559 «non sine periculo animae et corporis»4. In seguito compì anche un lungo viaggio in Polonia, dove piantò un nuovo seme che poi il nipote Fausto avrebbe annaffiato e curato, facendone diventare l’albero rigoglioso della tradizione sociniana polacca.
Con i suoi interlocutori Lelio Sozzini mantenne una fitta corrispondenza, proponendo dubbi e questioni di natura teologica che testimoniano una grande cultura, un desiderio incessante di approfondire le proprie conoscenze e uno spirito critico fuori dal comune. Un esempio, in particolare, è lo scambio epistolare avuto con Giovanni Calvino, al quale, nel 1549, Sozzini espose dei quesiti sul comportamento che un vero cristiano che ha aderito alla Riforma dovrebbe tenere qualora fosse sposato con una cattolica che non volesse seguirlo nella conversione e sul problema della resurrezione dei corpi dopo la morte. Quest’ultimo tema dovette interessare molto l’esule senese, tanto che, in quello stesso anno 1549, a esso dedicò la sua prima opera, un trattatello De resurrectione giuntoci incompiuto, in cui riprende i dubbi esposti da Tertulliano nel De resurrectione carnis e critica la tesi di Calvino, secondo cui la resurrezione di Cristo è «pignus» della resurrezione dei morti, sostenendo che per Cristo la ragione è di gran lunga diversa, poiché resuscitò dai morti prima che il suo corpo si fosse deteriorato.
Un’altra tematica che attirò Sozzini fu quella dei sacramenti, filtrata però alla luce del Trattato del battesimo e della santa cena di Camillo Renato che, muovendo da una critica razionale, negava il loro valore oggettivo. Queste argomentazioni ebbero una forte influenza sull’esule senese, tanto che, quando i ventisei articoli del Consensus tigurinus, un accordo siglato nel maggio del 1549 tra le chiese di Ginevra e Zurigo, ratificarono il valore oggettivo attribuito ai sacramenti (contro cui aveva polemizzato Renato), lo sdegno dovette essere grande; tuttavia, l’opera che Lelio dedicò ai sacramenti venne scritta solo sei anni dopo la firma del Consensus, nel 15555, ed ebbe il titolo di De sacramentis dissertatio ad Tigurinos et Genevenses. Criticando le convinzioni degli zurighesi e dei ginevrini, i quali sostenevano che, mediante i sacramenti, Dio testimonia agli uomini la sua benevolenza e la sigilla, Sozzini si fa portavoce della tesi opposta, cioè che sono gli uomini che, mediante i sacramenti, testimoniano la benevolenza di Dio. Il testo prosegue con osservazioni filologiche e ragionamenti di natura teologica volti a scardinare punto per punto quanto espresso nel Consensus, terminando con una serie incalzante di interrogativi volti a porre dubbi sulle basi scritturistiche dei concetti esposti nell’accordo.
Nello stesso anno in cui Lelio scrisse la De sacramentis dissertatio, i sospetti che ormai stava facendo ricadere su di sé furono tali da indurre Calvino e altri a insistere presso Bullinger affinché richiedesse una sua professione di fede, cosa che il riformatore zurighese fece, ricevendo in risposta una Professio fidei in forma epistolare, dalla quale, però, non si ricavano elementi di dissonanza con la chiesa riformata.
In quegli anni, in particolare in seguito al rogo di Michele Serveto, avvenuto a Ginevra il 27 ottobre 1553, Sozzini iniziò a ragionare in merito al dogma trinitario, discutendone privatamente con il teologo zurighese Johannes Wolf, al quale scrisse le proprie tesi in forma dubitativa, senza esporsi troppo, ma lasciando trapelare una conoscenza approfondita del De trinitatis erroribus di Serveto (pubblicato nel 1531 e subito stigmatizzato da tutte le autorità ecclesiastiche). Negli ultimi anni della sua vita, Lelio continuò a ragionare su questi temi, scrivendo poi la Brevis explicatio in primum Iohannis caput nel 1561, resa nota solo a una strettissima cerchia di amici ed edita per la prima volta postuma, nel 1568, da Giorgio Biandrata, all’interno dell'opera intitolata De falsa et vera unius Dei Patris, Filii et Spiritus Sancti cognitione. La Brevis explicatio è considerata, a ragione, l’opera più significativa di Lelio Sozzini, nella quale mise per iscritto le proprie posizioni marcatamente antitrinitarie. Commentando il primo libro del Vangelo di Giovanni, l’esule senese espone alcuni concetti atti a minare i rapporti del Figlio con il Padre e lo Spirito Santo; negando l’eternità del Figlio, Lelio Sozzini trova il cesello adatto per poter scardinare l’intero concetto di Trinità.
La strada qui imboccata lo avrebbe portato certo molto oltre, se la morte non lo avesse colto a soli trentasette anni, il 14 maggio 1562, a Zurigo. Tuttavia, la sua opera venne continuata dal nipote Fausto e dal movimento antitrinitario da lui avviato, che avrebbe svolto un ruolo non secondario nello scenario religioso dell’Europa centro-orientale e in particolare in Polonia.

Bibliografia

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Article written by Vincenzo Tedesco | Ereticopedia.org © 2017

et tamen e summo, quasi fulmen, deicit ictos
invidia inter dum contemptim in Tartara taetra
invidia quoniam ceu fulmine summa vaporant
plerumque et quae sunt aliis magis edita cumque

[Lucretius, "De rerum natura", lib. V]

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